Dolore e speranza ai funerali delle vittime del terremoto

di Chiara Santomiero

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L’AQUILA, venerdì, 10 aprile 2009 (ZENIT.org).- Duecentocinque bare coperte di cuscini di rose rosse, margherite bianche, gerbere gialle e di tutto ciò che l’affetto di parenti consumati dal dolore ha saputo o potuto suggerire per i funerali dei propri cari, vittime del terremoto de L’Aquila.

A cinque giorni dalla tragedia “che ha colpito al cuore l’Abruzzo e l’Italia intera” – come si è espresso l’imam venuto a benedire le salme di religione musulmana -, oggi è arrivato il momento di salutare coloro che il sisma ha strappato improvvisamente alla vita.

Quaranta delle vittime erano studenti universitari. Non nasconde la commozione don Luigi Epicoco, il giovane cappellano della parrocchia universitaria de L’Aquila. “Subito dopo la scossa di domenica – racconta – ci siamo messi alla ricerca dei ragazzi: le famiglie che non riuscivano a contattarli, chiamavano noi per avere notizie”.

Fortunatamente, sottolinea, “molti erano ripartiti dopo la celebrazione delle Palme, ma gli altri…”.

“Spesso – aggiunge – i genitori che lasciavano i ragazzi la domenica sera dopo aver portato loro abiti o provviste, mi dicevano ‘li affidiamo a lei’: mi sento come in colpa per non averli potuti salvare. Avverto fortemente la paternità spirituale verso i ragazzi dell’Università e la loro perdita è straziante”. Tuttavia “sono convinto che questa sofferenza è destinata a cementare la nostra chiesa, quella non fatta di pietre, la comunità viva”.

“Dobbiamo attingere – ha concluso Epicoco – alla virtù teologale della speranza e ricominciare subito con la vita universitaria perché L’Aquila senza studenti non sarebbe più la stessa città”.

Molte delle vittime erano del paesino di Onna. Don Cesare Cardozo, il parroco, è originario di Maracaibo, in Venezuela. “Su un totale di 250 abitanti ci sono stati 43 morti: ogni famiglia è stata colpita negli affetti”.

Anche tutte le case sono distrutte o gravemente lesionate, si è salvata solo qualcuna tra le più nuove.

“Più che per dire parole – spiega Cardozo – sono presente per stringere una mano, offrire incoraggiamento”. Soprattutto: “ho cercato di non far mancare mai la presenza dell’Eucarestia. Fin dall’inizio, abbiamo celebrato la Messa, all’aperto, – il primo giorno accanto alle salme che a mano a mano venivano allineate sul prato -, insieme ai parenti”.

“Pregate per noi – chiede a tutti Cardozo – e non mancate di farci arrivare la vostra vicinanza”.

L’immagine che colpisce di più nell’enorme piazza d’armi della scuola della Guardia di Finanza per sottufficiali e sovrintendenti di Coppito, dove si svolgono i funerali, è quella delle piccole bare appoggiate su quelle più grandi della mamma o del papà. Le bare dei piccoli morti nel terremoto sono bianche, come le cime innevate del Gran Sasso che fanno da sfondo.

Don Ulisse Marinucci è il parroco di S. Giuliano – in Molise – dove, a causa del sisma del 2002 crollò una scuola e morirono ventisette alunni con una loro maestra. Oggi è qui per esprimere la vicinanza di quella comunità alla chiesa de L’Aquila.

“E’ inevitabile – afferma – tornare con la mente alle immagini dell’altro straziante funerale. Mi rendo conto, oggi come allora, che non ci sono parole umane davanti a certi dolori. Occorre silenzio e una presenza discreta per far parlare la Grazia del Signore, l’unica veramente capace di consolare”.

Alle immagini di un altro terremoto, ancora più lontano nel tempo, torna anche mons. Mariano Crociata, segretario della Conferenza episcopale italiana, giunto a L’Aquila per testimoniare al vescovo, mons. Giuseppe Molinari, la “mia personale solidarietà, quella di mons. Angelo Bagnasco e di tutta la Chiesa italiana”.

Mons. Crociata ha vissuto da vicino la tragedia del terremoto del Belice: “Come in quest’occasione, anche allora ci fu un grande sforzo di solidarietà, un senso diffuso tra gli italiani di sentirsi fratelli, come in una grande famiglia e questo è molto bello e significativo”.

“Spero – ha proseguito mons. Crociata – che in Abruzzo non ci siano le stesse difficoltà nella ricostruzione – causate da una serie di ragioni – che ci sono state nel Belice: da come appare oggi qui la situazione, non sembra possano ripetersi”.

“Da queste tragedie – ha concluso mons. Crociata – è importante imparare ad essere solidali nell’ordinario, senza aspettare eventi tragici”.

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ZENIT Staff

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