Il sacerdote sia capace di “dare ospitalità a Dio”

Chiede l’Ordinario militare nella Messa Crismale

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ROMA giovedì, 9 aprile 2009 (ZENIT.org).- Il sacerdote, “ministro della Parola, è mandato ad annunciare il Regno”, “ma per essere tale deve diventare ascoltatore assiduo, portato e abitato dalla Parola, accettando di farle spazio in sé fino ad essere dimora dell’Altro, diventando capace di dare ospitalità a Dio”.

Lo ha osservato l’Arcivescovo Vincenzo Pelvi, Ordinario militare per l’Italia, nell’omelia per la Messa Crismale celebrata nell’Ordinariato questo mercoledì.

La vita di Gesù, ha spiegato il presule, è il graduale dispiegamento della Parola affidata ai sacerdoti.

La Parola di Dio, ha aggiunto, “edifica la verità e rende pienamente sinceri, facendoci preoccupare unicamente di quello che Dio pensa delle nostre azioni. Significa non assumere atteggiamenti diversi secondo gli ambienti; non pensare in un modo quando si è soli e in un altro quando si è con qualcuno, ma parlare ed agire sotto lo sguardo di Dio che legge nei cuori”.

La sincerità “consiste nello sforzo di rendere l’esterno in noi sempre più simile all’interno, senza falsare la verità per timore di dispiacere agli altri”, e “richiede la purezza dell’intenzione, ossia il fatto di preoccuparsi, nell’agire, del giudizio di Dio, e non del giudizio degli uomini, di agire preoccupandosi più di quel che piace o dispiace a Dio che di quel che piace o dispiace agli uomini”.

“Questo è davvero essenziale per la santificazione dell’evangelizzatore e la qualità dell’evangelizzazione”, ha osservato.

L’Arcivescovo Pelvi ha quindi ricordato la grande differenza esistente “fra chi parla in virtù della grazia e chi lo fa per umana sapienza”: “nella predicazione o nella catechesi Cristo insegna, mentre il presbitero lo fa nella misura in cui è il suo portavoce”.

Per questo motivo, rimanere in Cristo è “la condizione perché il messaggio sia gioiosamente trasmesso, realmente compreso e la vita sia trasformata in preghiera”.

Il sacerdote, allora, “non deve semplicemente vivere il rapporto con la Parola, pregare prima di annunciarla, ma anche predicare in modo da suscitare la preghiera, perché solo così si può imparare chi è Dio, chi siamo noi, che cosa significa la nostra vita in questo mondo”.

“Amate la Parola di Dio e amate la Chiesa, che vi permette di accedere a un tesoro di così alto valore introducendovi ad apprezzarne la ricchezza – ha detto il presule a quanti l’ascoltavano –. Amate e seguite la Chiesa, che ha ricevuto dal suo Fondatore la missione di indicare agli uomini il cammino della vera felicità”.

Riconoscendo che non è facile “riconoscere ed incontrare l’autentica felicità nel mondo in cui viviamo, in cui l’uomo è spesso ostaggio di correnti di pensiero, che lo conducono, pur credendosi libero, a perdersi negli errori o nelle illusioni di ideologie aberranti”, l’Arcivescovo ha sottolineato l’urgenza di “’liberare la libertà’, rischiarare l’oscurità in cui l’umanità sta brancolando”.

A questo proposito, ha anche ricordato la “viva accoglienza” che merita l’Anno Sacerdotale proclamato da Benedetto XVI (19 giugno 2009-19 giugno 2010), definito dal presule “un tempo di ulteriore grazia” “per annunciare Gesù di Nazaret, Signore e Cristo, crocifisso e risorto, Sovrano del tempo e della storia, nella lieta certezza che tale verità coincida con le attese più profonde del cuore umano”.

“A Maria, Madre della Chiesa, affidiamo quella doverosa consapevolezza presbiterale che ci spinge ad essere presenti, identificabili e riconoscibili sia per il giudizio di fede, sia per le virtù personali, sia anche per l’abito nel mondo militare”, ha concluso.

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ZENIT Staff

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