Ordinario militare: “La sofferenza umana non sfigura ma trasfigura”

Ricorda la necessità di difendere strenuamente la vita

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ROMA, martedì, 7 aprile 2009 (ZENIT.org).- “La sofferenza umana non sfigura ma trasfigura”, ha osservato l’Arcivescovo Vincenzo Pelvi, Ordinario militare per l’Italia, nella celebrazione eucaristica in preparazione alla Pasqua svoltasi nel Pantheon di Roma sabato 2 aprile.

Citando l’affermazione di Gesù ai Giudei “In verità, in verità vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà mai la morte” (Gv 8,51), il presule ha ricordato “una verità semplicissima ma straordinaria: Gesù è risorto. La vita ha vinto. Cristo è vita e dà vita a chi la accoglie e la custodisce”.

“La fede ci aiuta a capire che la morte non ha l’ultima parola, ma Dio stesso e il suo amore, quell’amore che, attraverso la morte, introduce alla vita eterna”, ha osservato, sottolineando che “il cuore dell’esperienza cristiana” è quindi “la vittoria della vita sulla morte”.

Quest’ultima, ha constatato, “non è la fine di tutto e tutte le forme di morte quotidiana derivate dal proprio donarsi sono un assaggio di quella Pasqua misteriosa che sperimenteremo con Cristo, passando ad una vita diversa, ciò che è al di là di ogni possibile immaginazione umana”.

Secondo l’Ordinario militare, nel mondo di oggi a volte si è “avvolti, anche inconsapevolmente, da un individualismo liberale” che porta a reprimere la dimensione spirituale della vita, “per cui la responsabilità infastidisce e il sentimento religioso viene considerato superfluo”.

Così, “le persone vengono implicate in una rete di false e superficiali soddisfazioni, dove il narcisismo subentra al sacrificio; il possedere indebolisce la pazienza; l’immediatezza sostituisce la stabilità del dono”.

In un contesto di questo tipo, il presule si interroga su quale senso assuma la vita, “dove sono beati i ricchi, perché possono comprare ciò che vogliono; sono beati i duri di cuore, perché faranno carriera; sono beati coloro che hanno un immagine da offrire, perché saranno ammirati da tutti”.

“Come può aiutare questa visione esistenziale a comprendere e rispettare il dono della vita? – ha chiesto –. Si può proporre una visione cristiana della persona aperta all’eternità, per condividere la gloria di Cristo Risorto?”.

Secondo l’Arcivescovo Pelvi, “annunciare Cristo Risorto implica una decisa conversione al Vangelo della vita, che è di rottura con tanti convincimenti e scelte utilitaristiche”.

Difesa della vita

Il credente, ha proseguito il presule, “dice un costante, sia pur sofferto, sì alla vita, riaffermando il comandamento: Non uccidere, che non esclude soltanto l’omicidio ma anche il suicidio. Su ogni vita umana Dio, creatore dell’uomo, ha un progetto da compiere, che è sempre un disegno di amore, di cui Egli solo conosce le modalità e il compimento”.

Intervenendo nel processo vitale e concludendolo con la morte, l’uomo “si arroga il diritto di determinare il tempo e il modo del compimento di quel disegno”, così come chi si toglie la vita “rifiuta la sovranità di Dio e il Suo disegno di amore”.

Sotto questo profilo, ha ricordato, “il suicidio, sia compiuto da solo, sia compiuto con l’aiuto di altre persone è in radicale contraddizione con la morale cristiana e con la concezione cristiana della vita e della morte. La vita è un dono meraviglioso che Dio fa all’uomo, ma di cui l’uomo non è padrone, perciò non può disporre né del suo nascere né del suo morire”.

“Il diritto alla vita, diritto assoluto, condizione dell’esistenza di tutti gli altri diritti della persona umana, è un diritto naturale, quindi inviolabile, di ogni persona, così che nessuna legge umana può disporne”, ha ribadito l’Ordinario militare.

Osservando che qualcuno potrebbe chiedersi “Perché non aiutare a morire una persona quando la sua vita ha perduto salute, qualsiasi bellezza, significato e prospettiva di avvenire?”, il presule ha avvertito che “se la sanità, la bellezza, l’utilità danno valore alla vita, bisogna concludere che ci sono vite umane senza valore e ci sono persone – come i diversamente abili gravi – la cui vita sarebbe senza significato, un peso da eliminare. Chi si sente di accettare una simile conseguenza?”.

Allo stesso modo, ci si può chiedere “quale senso ha soffrire terribilmente, quando si è affetti da un male incurabile senza che ci sia nessuna speranza di guarigione”. “Non è forse inutile la sofferenza in una società così civilizzata?”.

Anche se “certamente il dolore deve essere combattuto con ogni mezzo onesto e ragionevole, e bisogna fare ogni sforzo per alleviarne il peso in coloro che soffrono”, “non è lecito eliminare la sofferenza eliminando con la morte la persona che soffre”.

“Per noi credenti non c’è mai una sofferenza inutile”, ha constatato l’Arcivescovo, perché “dopo che Gesù ha preso su di sé, con la sua passione e la morte in croce, la sofferenza umana non sfigura ma trasfigura”.

Di ciò, ha constatato, ha dato una “splendida testimonianza” Papa Giovanni Paolo II, che nella sofferenza “ha raccontato il Gesù della Pasqua, che non resta incatenato nei fondali della morte, ma risorge alla luce”.

“Nella tormenta della lotta estrema, ogni credente si aggrappa alla certezza della vita nuova, iniziata in quel lontano mattino della tomba trovata inaspettatamente vuota”.

Per l’Arcivescovo Pelvi, “tutti dobbiamo essere alunni del dolore e della morte”.

“Allora – ha concluso – comprenderemo che la Croce è la culla dell’uomo nuovo”.

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ZENIT Staff

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