Eros, philia e agape (parte I)

COLLEVALENZA, martedì, 7 aprile 2009 (ZENIT.org).- Per la rubrica sull’Amore misericordioso pubblichiamo la prima parte dell’intervento pronunciato da padre Domenico Cancian, fam, al Convegno svoltosi a Collevalenza, dal 27 al 29 ottobre 2006, sulla prima Enciclica di Benedetto XVI, “Deus Caritas Est”.

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1. Eros – philia – agape

1.1. Dio e amore: le due parole più significative e più abusate

“Deus caritas est”. Il Papa pone a tema della sua prima enciclica questa affermazione netta, la più alta e sintetica della Rivelazione cristiana. In essa vengono unite in modo assoluto le due parole più essenziali e più fraintese nelle molteplici culture dell’umanità.

“L’intuizione che muove tutta la Lettera enciclica di Benedetto XVI è che l’abuso dell’amore umano e quello dell’identità divina siano tra loro misteriosamente collegati. Poiché non ci è dato di capire qualcosa di Dio senza seriamente fare i conti con l’amore che abbiamo conosciuto.

Vuoi sapere chi è Dio? Vedi alla voce amore, ci dice il Pontefice. Dire Dio è amore significa annunciarci nuovamente che Dio ci ama. Tu sei amato da Dio. Questa certezza dovrebbe fondare la tua esistenza e aprirti all’amore la cui sorgente la ricevi in Dio. Semplice, disarmante e disarmata nella sua essenzialità, questa Lettera arriva direttamente al cuore. Non è parola consolatoria. È Evangelo, buona notizia che ti sollecita a una scelta, che ti chiede di verificare il tuo vissuto e di rendere ragione dell’amore ricevuto” 1.

Il Papa manifesta la sua grande preoccupazione per due fatti che sono sotto i nostri occhi: quello di collegare al nome di Dio l’odio, la violenza e la vendetta e quello di constatare che il termine amore “è oggi diventato una delle parole più usate ed anche abusate, alla quale annettiamo accezioni del tutto differenti” 2.

Di qui l’urgenza e la necessità di questa riflessione che vuol far chiarezza sulle due parole più significative di ogni cultura. In questo modo il Papa apre un dialogo con tutti.

1.2. Qualche richiamo all’antropologia biblica

È necessario anzitutto un approccio alla concezione biblica dell’uomo, partendo dal vocabolario. L’enciclica contiene una sessantina di citazioni bibliche.

Secondo la Bibbia l’uomo è unità caratterizzata da un insieme di tre dimensioni, tra loro correlate.

“Tutto quello che è vostro, spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo” (1 Ts 5,33).

1. Corpo (basar-sarx, soma) è la dimensione corporea-carnale-fragile-peccatrice, come quella degli esseri creati. “Ogni carne è come l’erba e la sua gloria come il fiore dei campi: secca e appassisce” (Is 40,6). Yahvé crea l’uomo prendendo un po’ di terra, alla quale ritornerà con la morte. Proprio qui si colloca l’amore nel suo aspetto fisico-sessuale-pulsionale-passionale = eros.

2. Anima (nephes – psiche) è la dimensione della vita, delle relazioni, dell’intelligenza, delle capacità, della volontà, dei sentimenti. L’uomo non ha un’anima, è un’anima, è un essere vivente (cf Gen 2,7).

Nell’area dell’amore qui troviamo la parola phileo, philos = amore di amicizia, amico.

3. Spirito (ruach –pneuma) è la dimensione divina paragonata al vento–soffio–forza-vita divina. Yahvé “soffia un alito di vita” e l’uomo comincia ad esistere (cf Gen. 2,7). Lo Spirito del Signore fa risorgere l’umanità ridotta ad un cumulo di ossa aride (cf Ez 37). Il Signore ritira il suo soffio e l’uomo ritorna alla terra (cf Sal 104,29).

Per quanto riguarda l’amore qui troviamo la parola agape – agapao = amore divino.

La qualità di vita di un uomo è da valutare a partire dal cuore (leb –kardia). Dio guarda il cuore. Dal cuore esce il bene e il male. Il cuore, in senso biblico, è la sede delle tre dimensioni: emozioni e impulsi; sentimenti, affetti e desideri; pensiero, decisioni libere e responsabili. Nel cuore possiamo ospitare Satana o Dio. L’amore vero proviene dal “cuore intero”, totalmente rivolto al Signore e all’altro.

Nell’ottica biblica l’uomo è essenzialmente uno, al punto che “anima, spirito, corpo, cuore” sono in reciproca relazione. Ciò significa che non sono parti del “composto umano”, ma manifestazioni dell’uomo. Non vi è nella Bibbia la concezione dualistica di tipo platonico per cui il corpo è la prigione dell’anima, che ha perduto le ali.

La violenza, la concupiscenza, l’egoismo, la contrapposizione sono il frutto del peccato che è fondamentalmente una divisione, mentre l’uomo è chiamato ad essere uno come il Signore.

La concezione biblica dell’uomo è positiva: è stata creata da Dio (cf Gen 1-2); “il Verbo si fece carne (sarx)” (Gv 1,14) e visse come noi, con tutti i nostri bisogni fisici-psichici-spirituali; Gesù è stato molto attento a tutte le necessità dell’uomo (ha moltiplicato i pani, senz’essere richiesto, ha guarito i malati, ha perdonato, ha cacciato i demoni); Cristo risorto non è “un fantasma”: può essere “toccato” e può mangiare (cf Lc 24,30-43); il giudizio finale sarà sulle concrete opere di misericordia a partire da quelle corporali. Confessare Gesù “venuto nella carne” è criterio per distinguere tra fede e incredulità (cf 1 Gv 4,2; 2 Gv 7). “Masticare la carne e bere il sangue di Cristo” è condizione per avere la vita eterna, per rimanere in Gesù (cf Gv 6,53.56).

1.3. Vocabolario sull’amore rivelato

La caratteristica essenziale dell’ahabâ israelitica, cioè dell’amore, è il suo esclusivismo. L’Eros greco è un amore cosmico, vasto, indiscriminato, incurante della fedeltà; l’amore celebrato nell’A.T. è l’amore geloso che sceglie il suo oggetto fra migliaia d’altri, lo domina con tutta la forza della passione e della volontà e non ammette infrazioni alla fedeltà. Proprio nella qin’â (gelosia) si manifesta la potenza divina dell’ahabâ 3.

Quindi l’amore biblico, espresso normalmente con agapao-agape include anche il significato dell’amicizia (phileo) e della passionalità erotica (erao). Si tratta di un amore che nella forma ideale è globale, integrato e ordinato. Tutte e tre le componenti dovrebbero convergere in maniera armonica, nel senso che si rafforzano, si completano, sempre nell’ordine: spirito, anima, corpo. È quello che esprime lo shema. “Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze” (Dt 6,4-5).

Gesù porta al massimo compimento l’amore nei confronti del Padre (“Io e il Padre siamo una cosa sola“: Gv 10,30) e nei nostri confronti (“ci ha amati fino alla fine”: Gv 13,1). La sua Passione contiene davvero l’Amore appassionato di Dio: “Ho desiderato ardentemente mangiare questa pasqua” (Lc 22,15). “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra…” (Lc 12,49). “Lo zelo per la tua casa mi divora” (Gv 2,17). È questo Amore appassionato e totale, ossia il fuoco dello Spirito di Dio, che porta Gesù a consumarsi come olocausto sulla croce e a farsi nostro pane.

L’amore “appassionato” porta Gesù ad accettare liberamente e coraggiosamente la sua “Passione, morte e risurrezione”, ossia la sua Pasqua, che Egli chiama la sua Ora (secondo l’evangelista Giovanni). Gesù è l’Agnello immolato che consente l’esodo pasquale dell’umanità dalla morte alla vita. Il passaggio di Cristo da questo mondo al Padre è anche la nostra pasqua. S. Paolo esclama con gioia: “Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato!” (1 Cor 5,7). Gesù, con la sua Passione e morte, cioè con la sua sofferenza fino all’immolazione (verbo greco: páschein = soffrire: cfr Lc 24,46) che comporta un amore “appassionato”, apre e conduce l’esodo dell’umanità o la pasqua dell’umanità verso il Padre (cf Eb 2,9).

L’amore puro di Cristo ha saputo armonizzare eros-filia-agape in modo profondo e stupendo, portando così a compimento l’amore (cf Gv 19,1 con 19,28-30). Un amo
re davvero smisurato, non razionale, esagerato, eccessivo. Secondo Paolo lo scandalo e la follia di Cristo crocifisso è la vera sapienza e potenza di Dio (cf 1 Cor 1,20-25).

Potremmo ben dire che Gesù ha portato ad una inimmaginabile perfezione l’eros-filia-agape. “Il Logos, la ragione primordiale, è al contempo un amante con tutta la passione di un vero amore. In questo modo l’eros è nobilitato al massimo, ma contemporaneamente così purificato da fondersi con l’agape4.

Questo è il cammino dell’uomo, chiamato ad amare come Gesù: coniugare in termini sempre più armoniosi eros-philia e agape.

È molto interessante la riflessione dello psichiatra V. Andreoli, laico non credente, su alcuni testi mistici di S. Gemma Galgani, nei quali si leggono espressioni di tipo erotico, molto cariche di amore passionale nel rapporto con Gesù. Scrive Andreoli: “Confesso di essere meravigliato che sia dominata nella Chiesa la tendenza a dare poco spazio a queste espressioni straordinarie di amore che Gemma esprime nei confronti di Gesù… Io le trovo una testimonianza di come una ragazza possa manifestare il proprio amore, l’unica via per poterlo esprimere pienamente. L’amore che comprende il corpo, la psiche (e certo per i cristiani l’anima) non può essere che così e se non è così non è grande amore… Insomma la partecipazione del corpo testimonia la potenza e la forza con cui si sentiva legata a Dio. Io confesso, reciterei queste espressioni d’amore in chiesa come parte importante della liturgia del legame tra fedele e Dio5. Scrive un noto esegeta, concludendo il commento al Cantico: “Solo degli innamorati sono in grado di diventare dei partners di un Signore che è innamorato di Israele, della Chiesa e dell’umanità” 6.

2. Storia d’amore di Dio nei confronti dell’umanità (cf Gen 1-11).

2.1 La creazione del mondo e dell’uomo

È la prima prova che Dio è amore. Le creature parlano del suo amore e della sua eterna misericordia (cf Sal 136). Come un ritornello è detto: ” E Dio vide che era cosa buona”, mentre la creazione dell’uomo e della donna fu cosa “molto buona” (Gen 1,31).

Il Dio biblico è colui che creando “lascia spazio” alle sue creature e allo stesso tempo Colui che se ne prende amorevolmente cura, come Creatore provvidente, come un padre e una tenera madre che per amore mettono al mondo i figli. I primi 11 capitoli della Genesi ci parlano di questo Amore misericordioso di Dio per tutte le sue creature, per ogni uomo.

2.2 “Una carne sola” (Gen 2,24)

Il racconto più antico della creazione “si conclude con una profezia su Adamo: «Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne» (Gen 2,24)” 7. Il male della solitudine è superato nella comunione uomo-donna. “Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile” (Gen 2,18). Solo insieme, l’uomo e la donna, “rappresentano l’interezza dell’umanità, diventano «una sola carne»” e quindi “l’eros è come radicato nella natura stessa dell’uomo” 8.

Ma occorre aggiungere un altro aspetto strettamente connesso: nella creazione biblica ” l’eros rimanda l’uomo al matrimonio, a un legame caratterizzato da unicità e definitività… all’immagine del Dio monoteistico corrisponde il matrimonio monogamico. Il matrimonio basato su un amore esclusivo e definitivo diventa icona del rapporto di Dio con il suo popolo e viceversa: il modo di amare di Dio diventa la misura dell’amore umano”9.

Già nella creazione dell’uomo e della donna eros e agape si richiamano e si illuminano a vicenda. È scritto nella natura dell’uomo e della donna creati a immagine di Dio. La vocazione dell’uomo e della donna è quella di seguire la forza dell’eros – agape per formare “una carne sola”. Questa vocazione originaria troverà il suo compimento nella preghiera di Gesù affinché i suoi siano una “cosa sola” come lui e il Padre (cf. Gv 17).

Quando si trova dinanzi la donna, l’uomo l’accoglie col primo canto d’amore: “È carne della mia carne e osso dalle mie ossa” (Gen 2,23). La prima parola umana nella Bibbia è il canto d’amore di Adamo per Eva (Gen 2, 23). L’ultima parola è l’invocazione di un incontro, rivolto da una donna a un uomo: “Lo Spirito e la sposa dicono: “Vieni!”, a cui segue la risposta affermativa di Lui: “Sì, vengo presto!” (Ap 22, 17). E quindi l’ultima invocazione, l’«Amen! Vieni, Signore Gesù!» (Ap 22, 20), il grido di attesa impaziente che riempirà i secoli. Così nel Cantico, e in tutta la Bibbia, risuona la voce di Lui: “Alzati, amica mia, mia bella, e vieni!” (Ct 2, 13) a cui lei replica: “Vieni, mio diletto!” (Ct 7, 12).

Un ritorno al paradiso perduto o una profezia del tempo avvenire?

L’uomo lascerà suo padre e sua madre “e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola” (Gen 2, 24). È nel dialogo d’amore con l’altro sesso che l’uomo ritrova se stesso. Nel dono di sé ci si ritrova. Uscendo da sé, dalla solitudine, si incontra non solo il tu, ma anche l’io. È questa la legge di base che Gesù svilupperà così: “Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà” (Mc 8,35).

Il verbo “unirsi a” (dabaq) designa una comunione profonda che va dal rapporto sessuale (cf Gen. 34,3), all’unione affettiva (cf Sal 63,9), alla comunione spirituale dell’alleanza (cf Ger 13,11; Dt 10,20: Dio si unisce totalmente al suo popolo) 10. L’uomo “si attacca, si unisce” alla sua donna e i due diventeranno una carne sola. C’è chiaramente la dimensione erotica, ma anche quella dell’amicizia (vedi il canto) e dell’agape (quest’unione è voluta e benedetta da Dio).

L’unica carne significa allora unità completa, inseparabile ed esclusiva. È questa “la rivelazione ed insieme la scoperta del significato sponsale del corpo” 11.

La nudità senza vergogna è l’affermazione che il corpo, la psiche e lo spirito sono in perfetta armonia.

Dio ha chiamato l’uomo all’esistenza per amore e allo stesso tempo l’ha chiamato all’amore. “Dio iscrive nell’umanità dell’uomo e della donna la vocazione e quindi la capacità e responsabilità dell’amore e della comunione. L’amore è , pertanto, la fondamentale e nativa vocazione di ogni essere umano” 12.

Il peccato rompe la comunione con Dio, la relazione di coppia e il rapporto col creato (cf Gen 3). L’amore diventa ambiguo, si confonde col piacere, possedere, dominare, soddisfare il proprio egoismo sfruttando l’altro.

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1 L. MAGGI, “Plasmati dall’amore”,in AAVV, Dio amore, Paoline 2006, pp 80s.

2 DCE, nn. 1 e2.

3 E. STAUFFER, Agapao, GLNJ, 1 (Brescia 1965), col 102.

4 DCE, n. 10.

5 La follia del mondo, Marietti, 2003, pp 213s.

6 F. ROSSI DE GASPERIS, Prendi il libro e mangia, edb Bologna 18, 2003, p.64.

7 DCE, n. 11.

8 Ibid.

9 Ibid.

10 Il verbo dabaq, che ricorre una cinquantina di volte nell’A. T., significa “attaccarsi fortemente, saldamente a qualcuno” sia a livello erotico-sessuale (es Gen 34,3), sia a livello affettivo (Rut 1,14b: “si attaccò a Noemi” e non volle lasciarla), sia a livello religioso-spirituale: attaccarsi al Signore, obbedendo ai suoi comandi. Si veda Dt 10,20; 11,22; 13,5; 30,20; Gios. 22,5; 23,8; 2 Re 18,6: Ezechiele si mantenne attaccato al Signore, senza minimamente staccarsi da Lui; Sal 63,9: “A te si stringe, si attacca, l’anima mia” in senso religioso-affettivo-erotico; Sal 119,31.
Particolarmente interessante Ger 13,11: “Così come si attacca la cintura ai fianchi dell’uomo, così io avevo fatto attaccare a me l’intera casa d’Isra
ele e di Giuda perché fosse mio popolo, mia fama, mia lode e mia gloria… ma non hanno ascoltato”

11 Giovanni Paolo II, L’amore umano nel piano divino, EditriceVaticana 1980, p. 67.

12 Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, n. 11.

[La seconda parte verrà pubblicata il 14 aprile 2009]

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ZENIT Staff

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