La persecuzione dei cristiani in Cina

Conferenza a Roma di padre Bernardo Cervellera

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di Omar Ebrahime

ROMA, lunedì, 6 aprile 2009 (ZENIT.org).- Sono ormai cinquant’anni che la Chiesa cattolica cinese è costretta a vivere in condizioni di semi-clandestinità. Per parlarne e sensibilizzare si è svolta il 1° aprile a Roma, organizzata dalla Fondazione Lepanto, una conferenza sulle persecuzioni nei confronti dei cristiani in Cina.

All’incontro, moderato dal professor Roberto de Mattei, docente all’Università Europea di Roma e Vicepresidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche, hanno partecipato Antonello Brandi, fondatore e presidente dell’Italian Laogai Research Foundation (www.laogai.it), un centro di ricerca che si occupa di informare l’opinione pubblica sull’esistenza dei terribili campi di concentramento cinesi del Terzo millennio, e padre Bernardo Cervellera, missionario del PIME (Pontificio Istituto Misioni Estere) e direttore responsabile dell’agenzia di notizie Asia News (www.asianews.it).

Presentando una ricerca del suo centro studi, dal titolo “I laogai, le esecuzioni capitali e la vendita degli organi umani in Cina”, Brandi ha spiegato che attualmente in Cina diversi milioni di persone sono detenute, sfruttate e torturate nei laogai.

Con questo termine (che letteralmente in cinese significa “riforma attraverso il lavoro”) si designano infatti dei moderni campi di concentramento in cui esseri umani, costretti a vivere in condizioni di assoluta prostrazione, fisica e morale, vengono obbligati a lavorare anche 16 ore al giorno con lo scopo di fabbricare prodotti per il regime comunista cinese in spregio di ogni tutela sociale.

Nel 2008 ne sono stati censiti circa 1400, ma nessuno è al corrente del numero esatto. La loro creazione risale a Mao Zedong (1893-1976) che li istituì nel 1950, sotto consiglio degli alleati sovietici. Vi sono rinchiusi dissidenti del regime (politici e civili) nonché religiosi di ogni genere (monaci tibetani, Vescovi cattolici, pastori protestanti), oltre a criminali comuni.

Per il regime di Pechino i laogai hanno un duplice obiettivo: da una parte opprimere i dissidenti politici e fiaccare la resistenza all’ideologia del partito unico, dall’altra avvalersi di forza-lavoro a costo-zero.

Padre Cervellera si è invece soffermato sui problemi più specificamente religiosi, denunciando che la Cina di oggi “è ancora un Paese comunista perché si rileva ovunque un forte controllo sociale sulla vita delle persone”.

E’ una pressione che tocca tutti gli aspetti più intimi della vita delle persone: dalla libertà di associazione (sottoposta ad autorizzazione governativa) a quella di culto (ugualmente limitata) arrivando perfino ad internet (molti siti considerati non in linea con l’ideologia del regime vengono oscurati).

Particolarmente allarmanti sono le condizioni in cui i Vescovi cattolici che vogliono restare fedeli al Papa devono vivere: l’obbedienza ‘spirituale’ di un cittadino cinese a uno Stato straniero (la Santa Sede) viene infatti considerata come un tradimento della Patria e punita con pene severissime.

A tal proposito va osservato che numerosi sono i vescovi scomparsi da decenni e di cui non si sono più avute notizie: per molti di loro l’ipotesi più probabile è quella della morte violenta con l’immediata cremazione del corpo per far perdere ogni traccia del crimine commesso.

Nonostante tutto, però, all’orizzonte sembra profilarsi comunque la speranza. Cervellera ha infatti sottolineato come negli ultimi anni, a fronte di questa situazione di persecuzione, o forse proprio per questa, ci sia stata una “impressionante rinascita religiosa” che ha visto le chiese riempirsi come non mai.

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ZENIT Staff

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