CITTA’ DEL VATICANO, lunedì, 6 aprile 2009 (ZENIT.org).- Suscita sconcerto la candidatura alle prossime elezioni provinciali nello Stato indiano dell’Orissa di Dara Singh, responsabile nel 1999 dell’omicidio del missionario protestante australiano Graham Stewart Staines.
La candidatura “non annuncia nulla di buono per il futuro del nostro Paese”, ha spiegato il Cardinale Oswald Gracias, Arcivescovo di Mumbai e presidente della Conferenza Episcopale Indiana, come riferisce la “Radio Vaticana”.
Staines fu ucciso da un gruppo guidato da Dara, che bruciò la sua auto. Nell’attentato morirono anche i figli del missionario, di 7 e 9 anni.
Dara è stato condannato all’ergastolo. E’ uno strenuo sostenitore della cultura nazionalista e un fondamentalista indù, e si oppone ferocemente alle conversioni al cristianesimo. E’ coinvolto in diversi processi, tra cui quelli per gli omicidi del sacerdote cattolico Arul Doss e del commerciante musulmano Sheikh Rehman, avvenuti anch’essi nel 1999 durante le rivolte indù nel distretto di Mayurbhanj, sempre nell’Orissa.
Per il Cardinale Gracias, la democrazia ha bisogno di “leader che lavorino per la salvaguardia della Costituzione, per salvaguardare l’unità, la pluralità multietnica e multilinguistica dell’India, leader che siano puliti e lavorino per la comune armonia e lo sviluppo del popolo”.
La candidatura di Dara, dichiara, “non aiuterà l’India” né il distretto di Keonjhar, “un’area dominata dai tribali in cui la sua candidatura aumenterà le divisioni e la diffidenza”.
Dal canto suo, l’Arcivescovo di Cuttack-Bhubaneswar, Raphael Cheenath, ha denunciato il fatto che migliaia di cristiani nello Stato indiano dell’Orissa “non potranno esercitare nei prossimi giorni il proprio diritto al voto” per eleggere i nuovi rappresentanti dell’assemblea parlamentare nazionale e statale, ricorda “L’Osservatore Romano”.
Questa situazione “anomala ed eccezionale”, spiega il presule, richiede “un opportuno slittamento delle elezioni in Orissa”.
I cristiani esclusi dalle elezioni sono in gran parte fuggiti dai villaggi di origine a causa delle violenze dei fondamentalisti indù, e non hanno ancora documenti di identità e schede elettorali. Vivono nei campi di soccorso, concentrati soprattutto nel distretto di Kandhamal, epicentro della violenta persecuzione mossa a partire dallo scorso agosto contro la comunità cristiana.
Per l’Arcivescovo Cheenath, la richiesta di far slittare le elezioni “non ha per ora avuto risposta positiva” da parte delle autorità civili, che hanno invece fatto una generica promessa di far ottenere ai cittadini cristiani il duplicato dei documenti, bruciati o andati perduti durante gli attacchi dei fondamentalisti.
Di fronte a questa situazione, si pensa da più parti che si tratti di una strategia per diminuire l’influenza politica dei cristiani avvantaggiando i partiti di matrice fondamentalista.
L’Arcivescovo aveva chiesto alle autorità civili di far allestire nei campi per rifugiati dei seggi elettorali per consentire a coloro che hanno i documenti necessari di votare, ma anche a questo riguardo non ha finora ottenuto assicurazioni.
“La paura in Orissa è alta, tanto da spingere centinaia di persone a fuggire in altri Stati, dove peraltro non potranno votare perché hanno la residenza nei villaggi dai quali sono fuggiti”, ha confessato il presule.
A suo avviso, la speranza è che “alle prossime elezioni vinca una formazione politica che abbia nel suo programma la protezione della comunità cristiana e, in genere, di tutte le minoranze presenti nello Stato e nella Nazione”.
Il vicario generale dell’Arcidiocesi, Joseph Kalathil, ha ribadito che “il clima nella regione è molto teso perché i cristiani continuano a essere minacciati e, in tanti, preferiscono restare nei campi per rifugiati e non fare ritorno nei villaggi dai quali sono stati costretti a fuggire”.
In Orissa, constata, “sono assenti le condizioni per garantire un corretto svolgimento delle elezioni poiché c’è ancora incertezza nell’attuazione degli interventi per proteggere la comunità cristiana”.
Il presidente della Catholic Bishops’ Conference of India, il Cardinale Varkey Vithayathil, ha affermato che “sono momenti critici per il Paese e la Chiesa, pur non sostenendo partiti politici, ha l’obbligo morale di assicurarsi che il nostro popolo voti per chi garantirà la sovranità democratica e le credenziali laiche della nostra amata patria”.
Il porporato auspica che “il futuro Governo scoraggi il fondamentalismo religioso e promuova la libertà di professare e praticare la fede come garantito dalla Costituzione”. L’Esecutivo, osserva, “dovrebbe immediatamente porre rimedio” alla situazione di discriminazione subita soprattutto dai dalit (senza casta) cristiani, così come i poveri e gli emarginati “devono essere assimilati nel complesso della società”.