La Chiesa, tra buon giornalismo e “notiziabilità”

Intervista al prof. José María La Porte

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di Mercedes de la Torre

ROMA, domenica, 5 aprile 2009 (ZENIT.org).- Padre José María La Porte, professore aggiunto di Fondamenti della Comunicazione Istituzionale presso la Pontificia Università della Santa Croce di Roma, ha curato un libro pubblicato recentemente dal titolo “Introduzione alla comunicazione istituzionale della Chiesa” (EDUSC 2009).

Il volume affronta la comunicazione in contesto ecclesiale dalla prospettiva teologica e giornalistica e dal punto di vista degli uffici di comunicazione delle diocesi e delle Conferenze episcopali.

Per saperne di più, ZENIT ha intervistato padre La Porte.

Interessa veramente al mondo ciò che la Chiesa ha da dire?

Prof. José María La Porte: Mi sembra di sì. I fatti recenti ci mostrano che ciò che la Chiesa dice può diventare un contrappunto morale in una società che pur essendo secolarizzata è al tempo stesso assettata di riposte alle domande profonde che l’uomo si pone.

Non si tratta di un messaggio cristiano che genera conflitto?

Prof. José María La Porte: Benedetto XVI è in questo momento storico una delle persone che più incoraggiano l’uso della ragione nella ricerca della verità, senza paure e senza preconcetti. Forse questo potrebbe generare scalpore in una società relativista che dubita delle capacità dell’uomo nel trovare risposte e mette sullo stesso piano atteggiamenti etici che sono a favore o contro la persona. La fede cristiana ha un messaggio propositivo e accattivante che ha arricchito generazioni d’intellettuali e contadini, di artisti e operatori manuali, di bambini e adulti di tutti tempi.

Perché alcuni operatori della comunicazione dicono che la Chiesa non comunica bene?

Prof. José María La Porte: È vero che alle volte, come lo stesso Papa ha riconosciuto, è possibile comunicare meglio, ma in realtà molti operatori sono ugualmente soddisfatti del modo di comunicare della Chiesa, ne condividano il messaggio cristiano o meno. L’altro problema è che alcuni cercano la “notiziabilità” secondo criteri diversi dal buon giornalismo, e allora è logico che avvertano frustrazione.

La Chiesa non entra in una logica del “reality” e del conflitto per il conflitto, perché nella pratica quella logica è lontanissima da ciò che accade veramente. La realtà è varia, complessa, difficile da inquadrare in preconcetti, da spiegare in soli 2 minuti nel corso di un programma perché poi bisogna lasciar spazio alla pubblicità. Bisogna ridurre il gap tra la realtà e ciò che di essa si racconta nei media. Un giornalismo profondo e appassionato potrebbe aiutare i media ad uscire dalla crisi economica, perché riuscirebbe a risvegliare l’interesse di comprare un giornale, di visitare un blog o di guardare un programma televisivo. Il pubblico risponde alla qualità, come ha dimostrato il programma sulla Divina Commedia realizzato da Benigni sulla RAI.

Cosa deve fare la Chiesa per comunicare meglio?

Prof. José María La Porte: Cercare di far vedere la bellezza del suo messaggio e di Chi lo ha proposto.

Soltanto questo?

Prof. José María La Porte: Non è poco. Questo implica creare degli ambiti di dialogo e di condivisione di idee e al tempo stesso canali di informazioni che offrano alle persone la possibilità di cercare la verità sul mondo che le circonda, di trovare in maniera personale le proprie risposte alle domande radicali dell’esistenza. I mezzi di comunicazione ecclesiali, i programmi religiosi e gli uffici di comunicazione sono alcune delle risposte da affiancare ad una valorizzazione della professione giornalistica.

In che senso?

Prof. José María La Porte: Dobbiamo promuovere un giornalismo appassionato, vero, attraente, rispettoso delle persone, riuscire a produrre un rinnovamento della professione, una “catarsi” dove cadono i preconcetti e chi parla è la realtà stessa con la voce del giornalista, anche quando quella realtà è una realtà religiosa.

Perché parla della realtà religiosa? È diversa l’informazione sulla Chiesa o sulla fede?

Prof. José María La Porte: Si tratta di fare vero giornalismo, seguire criteri professionali quando si coprono i diversi ambiti della realtà. Così come ad esempio per fare informazione finanziaria o sportiva bisogna conoscere in profondità l’ambito economico o il mondo dello sport, allo stesso modo anche per informare sulla Chiesa occorre avere una conoscenza approfondita di questo settore.

Ma nella realtà il messaggio della Chiesa può diventare notizia?

Prof. José María La Porte: È notizia da duemila anni, da quando è diventata fonte d’ispirazione per l’arte, la letteratura, la scienza. Nel XXI secolo le diocesi e le diverse realtà ecclesiali si sono attrezzate con nuovi strumenti tecnologici e nuove conoscenze per realizzare la stessa attività comunicativa dei venti secoli precedenti, ma in un mondo globalizzato, in un’era della informazione dove non basta pensare ai media in modo “funzionalista” ma come parte di una società mediatica: i media non servono soltanto a diffondere un messaggio ma creano cultura, sono parte essenziale della cultura.

Qual è l’obiettivo del suo libro?

Prof. José María La Porte: Si tratta di offrire una sintesi introduttiva per quanti sono interessati alla comunicazione istituzionale della Chiesa, in particolar modo alunni di seminari e centri di formazione. Offrire quindi uno strumento di aiuto agli uffici di comunicazione delle diocesi e delle Conferenze episcopale, per capire la dinamica dell’opinione pubblica, per realizzare un piano di comunicazione, per un uso creativo dei media…

Lei pensa che questo sia un momento adeguato per parlare di comunicazione o piuttosto di non-comunicazione?

Prof. José María La Porte: Le situazioni di conflitto aiutano a imparare a comunicare meglio. Inoltre, durante i momenti di crisi scopriamo alcuni dei nostri limiti ma troviamo anche le vie per migliorare e comunicare ancora meglio la grandezza della fede.

Per comunicare la Chiesa non basta volerle bene, è molto importante conoscere le regole del mondo mediatico e saper adattare il messaggio cristiano alle caratteristiche di “notiziabilità” e semplicità insite in un giornale orario, in una pagina web o un’intervista televisiva. Adattare non significa annacquare o cambiare l’essenza, ma riuscire a spiegare i concetti più meravigliosi e apparentemente irraggiungibili con un linguaggio visivo, semplice, tangibile, alla mano.

E’ possibile mettere a confronto Papa Giovanni Paolo II, grande comunicatore, e Papa Benedetto XVI, professore universitario, ma anche lui interessato alla comunicazione?

Prof. José María La Porte: Mi sembra che entrambi guardino con simpatia al mondo della comunicazione. Giovanni Paolo II premeva forse di più sul linguaggio dei gesti e sul suo rapporto personale con i media; Benedetto XVI, invece, dedica il suo sforzo ad articolare il contenuto, a lasciar parlare il messaggio per se stesso. Entrambi hanno messo le loro qualità al servizio del Vangelo, e lo si vede dalla quantità di fedeli che vanno ad ascoltare il Papa a san Pietro. Molto probabilmente, uno sottolineava con i gesti la necessità di aprire i cuori al messaggio di Cristo e l’altro, con un sorriso caldo, timido e sincero, preme sulla ragionevolezza dell’esperienza cristiana.

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ZENIT Staff

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