CITTA’ DEL VATICANO, mercoledì, 1° aprile 2009 (ZENIT.org).- All’indomani della prima visita apostolica di Benedetto XVI come Pontefice in Africa (in Camerun e Angola dal 17 al 23 marzo), sono stati presentati questo lunedì a Roma due libri sul continente africano opera di Jean-Baptiste Sourou, giornalista e docente di Comunicazione all’Università Gregoriana.
I due volumi, intitolati “Jean-Paul II: Pape blanc et Africain” ed “Ecclesia in Africa à la lumière de l’esprit d’Assise”, appaiono a pochi mesi dalla celebrazione del secondo Sinodo dei Vescovi per l’Africa, che si svolgerà in Vaticano dal 4 al 25 ottobre sul tema “La Chiesa in Africa a servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace. Voi siete il sale della terra… Voi siete la luce del mondo (Mt 5, 13.14)”.
Nel Sinodo, ha spiegato Sourou alla “Radio Vaticana”, “si parlerà di giustizia, pace, riconciliazione”. Se la Chiesa vuole testimoniare questo, ha osservato, può prendere esempio da San Francesco d’Assisi.
“Lo spirito di Assisi è prima di tutto l’esperienza di San Francesco a contatto con il Vangelo di Gesù Cristo”, ha ricordato, sottolineando che “se siamo fedeli al Vangelo, possiamo dire davvero che stiamo diventando altri San Francesco per la Chiesa in Africa”.
L’esperto ha riconosciuto che Papa Wojtyła è stato e rimane un punto di riferimento per gli africani, che “come hanno accolto Giovanni Paolo II, così hanno accolto anche Benedetto XVI”, perché la sua è la figura del successore di Pietro.
<p>“Lo hanno accolto come la persona che assicura unità, come il padre di famiglia che viene a visitare i suoi figli. C’è stata grande gioia ovunque: nelle strade, nelle liturgie”.
Circa le polemiche sulla questione del preservativo, Suorou ha dichiarato che “i media europei hanno perso un’occasione di tacere”.
“Non possono continuare a pensare per gli africani, a voler rispondere sempre al posto degli africani – ha denunciato –. Siamo abbastanza adulti e capaci di riflettere con il nostro cervello. Siamo in grado di aprire la bocca e dire cose sensate. Ne abbiamo abbastanza, siamo stanchi di questo. Siamo adulti, siamo capaci”.
“E’ il momento di prendere in mano il nostro destino e di pensare ad altri modi per far sentire la nostra voce”.
In occasione della presentazione dei due libri, il segretario della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, l’Arcivescovo Robert Sarah, si è soffermato sui titoli dei testi.
“Giovanni Paolo II: Papa bianco e africano”, ha constatato, “colpisce subito i lettori” perché il Pontefice polacco in effetti “ha amato e s’è lasciato coinvolgere, e per così dire, integrare dal e nel continente africano”.
L’altro libro, invece, “presenta la via maestra del dialogo, interreligioso ed ecumenico, a partire dalla povertà che Assisi ispira – ha spiegato –. Cioè, un distacco da tutto e da tutti che permetta di abbracciare in Cristo, tutto e tutti”.
Il fatto che Giovanni Paolo II abbia visitato ben 16 volte l’Africa dal 1980 al 2000 “dimostra un interesse, addirittura un affetto preferenziale, una immedesimazione crescente nello stile di vita del mondo africano”, ha affermato il presule, secondo quanto riportato da “L’Osservatore Romano”.
“Incoraggiava chi soffriva o veniva perseguitato a causa della fede o della carità”. “A ogni costo, egli voleva rendersi conto delle situazioni; e con questo ruolo, voleva che le Chiese locali da lui visitate, fossero coinvolte in prima persona per il recupero della carità e della pace e la propagazione della fede cristiana. Desiderava che le rispettive gerarchie e anche le rispettive autorità civili cogliessero il suo stile di servizio”.
“Percepiva la profonda influenza delle religioni tradizionali africane e delle culture che ne sono maturate, a monte del cristianesimo e dell’islam; e ne voleva il rispetto”, “ma sentiva pure l’imperativo di Cristo, anzi del Figlio di Dio stesso fattosi anche uomo, alfa e omega di ogni rivelazione e di ogni profeta”.
“Pensando a quanti in Africa non conoscono il Cristo a quanti potrebbero, anzi dovrebbero far conoscere il Cristo”, Papa Wojtyła “ha sollecitato dei Sinodi per l’Africa stessa, come coesione di forze autoctone per uno slancio missionario o meglio, per un rilancio della missione nel continente stesso così che il Vangelo raggiunga e, se possibile, penetri nel cuore di ogni africano. Anche in quelle terre dove il cristianesimo è stato fatto sparire”.
Secondo monsignor Sarah, “le aperture di Giovanni Paolo II non potevano che essere accolte e sviluppate dal suo successore”, che lo fa “con la promozione di ‘cantieri di teologia e di solidarietà’ che, d’altra parte, non devono svilupparsi che a partire da ciascuna Chiesa locale africana”.
“Da ciascuna di esse, devono a poco a poco maturare risorse umane, intellettuali ed economiche per una autosufficienza tale che possa in breve diventare dono a chi è o ha ancora meno di loro”, ha spiegato.
In questo modo, la speranza “diventa fiducia e coraggio a dispetto della scarsità dei mezzi economici e la non sovrabbondanza delle persone. Fiducia e coraggio delle persone e nelle persone già disponibili a rischiare tutto. Persone pronte a essere adulte; non più ‘oggetto da assistere o da sostenere’ ma ‘soggetti responsabili’ che si slanciano in nuove avventure missionarie innanzitutto nello stesso continente africano”.