Frère Alois: più necessario che mai scoprire il senso dell'esistenza

I giovani di Taizé mediteranno sulla Lettera dal Kenya nel loro incontro annuale

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di Inma Álvarez

BRUXELLES, mercoledì, 24 dicembre 2008 (ZENIT.org).- Scoprire Dio nella propria esistenza e poterla donare agli altri, soprattutto a chi soffre, è il messaggio contenuto nella Lettera dal Kenya, il testo scritto da frère Alois che sarà il filo conduttore della meditazione dell’incontro mondiale di Taizé a Bruxelles per questa fine d’anno.

Il XXXI incontro europeo riunirà circa 40.000 giovani di tutto il continente. Tra gli altri, Papa Benedetto XVI, l’Arcivescovo di Canterbury Rowan Williams, il segretario della Federazione Luterana Mondiale Ishmael Noko e il segretario generale dell’Alleanza Mondiale delle Chiese Riformate Setri Nyomi hanno fatto giungere il loro sostegno all’evento.

La Lettera si riferisce all’incontro che il movimento ecumenico ha celebrato a Nairobi (Kenya) dal 26 al 30 novembre scorso, che ha riunito circa 7.000 giovani in un “pellegrinaggio di fiducia sulla terra”.

Nella Lettera, frère Alois si chiede quale sia la “sorgente di vita” di fronte alla stanchezza e allo sconcerto di molti per la rapida modifica della società e l’inquietudine per il futuro.

“Molte più persone, rispetto al passato, non trovano questa sorgente. Anche il nome di Dio è caricato di ambiguità o del tutto dimenticato. Può esserci un legame fra questa rimozione della fede e la perdita del gusto di vivere?”, si chiede il superiore di Taizé.

La grande rivelazione, spiega frère Alois, è che “Dio è presente in ciascuno, credente o non credente”.

“Attraverso la sua presenza sulla terra, Gesù ha rivelato l’amore infinito di Dio per ciascuna persona. Donandosi fino in fondo, ha scritto il sì di Dio nel più profondo della condizione umana. Dopo la resurrezione di Cristo, non possiamo più disperarci del mondo e di noi stessi”.

Per frère Alois, ogni uomo sente “il desiderio di un assoluto verso il quale tendiamo con tutto il nostro essere, corpo, anima, intelligenza”, una sete che molti uomini percepiscono “come un vuoto”.

Accogliendo questa sete come un dono anziché un’“anomalia”, si può scoprire “l’invito di Dio all’apertura di noi stessi”.

Il superiore di Taizé propone ai giovani due orizzonti per realizzare questa donazione agli altri, iniziando dall’aiutarsi reciprocamente, integrandosi nelle parrocchie e nelle Chiese locali: “troppi giovani si sentono soli nel loro cammino interiore. In due o tre è già possibile sostenersi, condividere e pregare insieme, anche con chi dice di essere più vicini al dubbio che alla fede”.

“Una tale condivisione trova un grande appoggio se integrata nella Chiesa locale”, aggiunge. “La Chiesa è la famiglia di Dio: quella comunione che ci porta fuori dall’isolamento. In essa siamo accolti, in essa è reso attuale il sì di Dio alla nostra vita e troviamo l’indispensabile consolazione di Dio”.

Dall’altro lato, propone di superare “il rischio dell’indifferenza” che cresce nelle società, soprattutto nei confronti dei più deboli.

“Andiamo oltre l’incomunicabilità delle nostre società! Andiamo verso coloro che soffrono! Andiamo a visitare coloro che sono emarginati, maltrattati! Pensiamo agli immigrati, così vicini e tuttavia spesso così lontani!”, esorta.

Sulla situazione dell’Africa

Anche se nella Lettera frère Alois non si riferisce ad alcun luogo concreto, nelle note esprime preoccupazione per la situazione del continente africano.

“In numerosi Paesi, nonostante la crescita mondiale e le speranze di sviluppo, le bidonville si allargano anziché diminuire e la disoccupazione colpisce duramente, in particolare i giovani. In Africa, la rapidità del progresso tecnico rischia di soffocare il senso di maturazioni lente, così fecondo nella vita tradizionale. D’altro canto, la solidarietà familiare ed etnica si affievolisce”.

Per il priore di Taizé, è necessario “ridare vita a questo valore ed allargarlo al di là dei confini della famiglia o del gruppo etnico”, perché ciò “potrebbe contribuire a diminuire le partenze di tanti giovani, attirati dai paesi con livelli di vita maggiormente sviluppati, senza poter sempre misurare le conseguenze di tale decisione”.

Frère Alois ricorda anche molti valori della cultura africana, in cui “i cristiani si riuniscono non solo nelle parrocchie, ma anche per quartiere, per villaggio, in piccole comunità ecclesiali. Pregano insieme e si sostengono mutuamente. C’è un calore umano ed un impegno personale di ciascuno che contribuisce a fare della Chiesa un autentico luogo di comunione”.

“In Africa, la Chiesa è spesso vista come la famiglia di Dio, e Dio come una madre che consola”. “Considerare la Chiesa con questo sguardo stimola a ricercare la sua unità. Non possiamo rassegnarci passivamente al fatto che la famiglia di Dio resti divisa in molteplici confessioni”.

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ZENIT Staff

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