Chiesa cattolica e leggi razziali

E Pio XI disse: “Sono veramente amareggiato come Papa e come italiano”

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CITTA’ DEL VATICANO, sabato, 20 dicembre 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito un articolo apparso sul quotidiano “L’Osservatore Romano” (20 dicembre 2008).

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di Sergio Pagano*

Capita non di rado, da un osservatorio storico privilegiato come è quello dell’Archivio Segreto Vaticano, custode dei documenti dei Pontefici e della Chiesa dal XIII secolo a oggi, di leggere o ascoltare dichiarazioni concernenti fatti storici o personaggi in essi implicati che non rispondono affatto nel merito alla documentazione che si possiede, né alle valutazioni che di quei fatti medesimi si sono venute formando nel tempo in sede storiografica accreditata.

Ora è stato affermato che di fronte alle leggi razziali promulgate nell’Italia fascista fra settembre e novembre del 1938, «salvo talune luminose eccezioni» non vi furono «manifestazioni particolari di resistenza» nemmeno «da parte della Chiesa cattolica». Al di là delle intenzioni, bisogna rilevare — come pure è stato notato da più parti quasi subito — che per quanto attiene la posizione della Chiesa cattolica e dei Pontefici Pio XI e Pio XII nei confronti delle leggi razziali del 1938 l’affermazione sopra ripresa è certamente errata. Forse, quando si tratta di esprimere giudizi su argomenti tanto complessi e bisognosi del ricorso alla storiografia seria e ben fondata, sarebbe auspicabile maggiore prudenza e circospezione.

Infatti quanto alle vicende che riguardarono la Chiesa cattolica e le leggi razziali fasciste consta (e non da oggi) l’esatto contrario di quanto ora affermato. Non è questa la sede per riprendere le diverse panoramiche storiche riservate ai rapporti, dapprima rispettosi ma poi anche tesi, fra un robusto e risoluto Pontefice come Pio XI e Mussolini o il suo Governo; abbiamo del resto saggi storici nei quali appare in tutta evidenza, fra altri aspetti, anche la forte reazione di Papa Ratti e dell’episcopato cattolico di fronte alle leggi razziali, le quali poi — sia pure come conseguenza necessaria, anche se aspetto non primario nella durezza di quei provvedimenti — toccarono pure i matrimoni tra i cosiddetti ariani e persone di razza diversa e quindi il Concordato stesso. Su questi aspetti hanno ultimamente scritto pagine documentate e rilevanti, dopo l’apertura completa dei documenti del pontificato di Papa Ratti nel 2006 Emma Fattorini (Pio XI, Hitler e Mussolini. La solitudine di un Papa, Torino 2007), Alessandro Duce (La Santa Sede e la questione ebraica, 1933-1945, Roma 2007), Paul O’Shea (Politics and the Jews of Europe: 1917-1943, Kenthurst 2008) e il gesuita Giovanni Sale in due articoli apparsi su «La Civiltà Cattolica» e concernenti più da vicino il nostro tema: Il «Manifesto della razza» del 1938 e i cattolici (5 luglio 2008);I primi provvedimenti antiebraici e la dichiarazione del Gran Consiglio del fascismo (20 settembre 2008).

La lettura attenta di tali opere e dei documenti vaticani e italiani su cui esse si basano sarebbe da sola bastata a evitare l’errore di cui dicevamo. Nessuno degli storici menzionati ha alcun dubbio sulla risoluta presa di posizione di Pio XI di fronte alle leggi razziali; quanto poi a Pio XII, studiosi seri (come Alessandro Duce) pongono in risalto la continuità di pensiero con il suo predecessore. Se vi fu, come certamente vi fu, mutamento di azione diplomatica o di «tattica» di fronte alla questione razziale da parte di Papa Pacelli rispetto a Pio XI, «è bene non dimenticare il contesto nel quale i due Pontefici si trovano a operare: l’uno a fronte di movimenti emergenti che tendono a travolgere la Chiesa o a relegarla in un ruolo marginale di carattere spirituale, l’altro costretto ad assistere allo scoppio della guerra e al suo progressivo allargamento». Né va dimenticato, per restare a Pio XII, che nell’enciclica Summi Pontificatus (20 ottobre 1939), rifacendosi ai testi poi non pubblicati dell’enciclica di Pio XI Humani generis sulla razza umana, «limata» dal Papa di Desio fino alla sua morte, aveva parole chiare di anti-razzismo, riaffermando l’unicità della razza umana e la condanna dei moderni totalitarismi.

Restando però alle prime reazioni di Pio XI di fronte al cosiddetto Manifesto della razza vorremmo carpire i moventi dell’azione del Papa dalle udienze che il fedele e preciso segretario di Stato, cardinale Eugenio Pacelli, registrava nei suoi «Fogli di udienza» (tenuti dal 1930 al febbraio del 1939), la cui edizione è in preparazione a opera dell’Archivio Segreto Vaticano. Ci limiteremo qui a una semplice e scrupolosa ripresa dei testi che riportano, nelle udienze «di tabella» di Pio XI con il suo segretario di Stato, e in sua assenza con il vivacissimo monsignor Domenico Tardini, i moti del suo animo rispetto ai provvedimenti razziali che il Governo fascista cominciò ad adottare dall’estate del 1938. A coronamento di questi preziosi «Fogli di udienza», in grado di farci quasi ascoltare le stesse parole (qualche volta aspre e nervose) di Papa Ratti quando veniva a conoscenza di ciò che accadeva attorno a Mussolini, al suo Governo, in Italia e in Europa riguardo alle leggi razziali, citeremo altri documenti vaticani, in parte editi e in parte inediti, dai quali il lettore facilmente evincerà con quanta poca, anzi nessuna ragione si siano potute fare le affermazioni dalle quali siamo partiti.

E anzitutto qualche antefatto. È nota la circolare che la Congregazione dei Seminari e delle Università diramò a tutti i vescovi e ai rettori o superiori di tali istituti il 13 aprile 1938 contro calumnias atque doctrinas perniciosissimas che si stavano spargendo in Germania (ma vi erano fondati timori anche per l’Italia), chiedendo che i docenti, con la forza della filosofia, della biologia, della storia, dell’apologetica confutassero presso i giovani studenti tesi siffatte (ut perabsurda quae sequuntur dogmata valide sciteque refellant); fra le tesi condannate ben cinque su otto riguardavano la razza e le dottrine razziali hitleriane.

Prima di osservare il panorama italiano non sarà inutile, tuttavia, fare un inciso sui rapporti personali tra il duce e Pio XI, i quali, come vedremo, hanno avuto la loro rilevanza anche nel merito delle leggi razziali.

Mussolini, specie negli anni della Conciliazione, non aveva mancato di dichiararsi credente, e ciò in aperto contrasto con l’atteggiamento del suo futuro alleato, Hitler, apertamente non credente. Per esempio, nell’agosto del 1930, Mussolini aveva dichiarato a monsignor Borgongini-Duca: «Io pure sono credente: altro che! Ma gli uomini mi hanno fatto cattivo» (asv, aes, Italia, Pos. 739 p. o., fasc. 251, f. 76). Questa sua apertura alla fede, rappresentava agli occhi di Pio XI un’opportunità per avere accesso alla stessa coscienza di Mussolini, con il quale sarebbe stato quindi possibile usare anche il tono del dialogo «paterno», a differenza di altri capi di Stato o di Governo, atei o scettici, con i quali il Papa avrebbe potuto usare solo il linguaggio della diplomazia. In definitiva, Pio XI sentiva di poter trattare con Mussolini in maniera più aperta e diretta, instaurando un rapporto simile a quello che Papa Ratti ebbe con un una figura analoga a quella del duce, ovvero il maresciallo polacco Pi{l-lslash}sudski.

Questa sorta di confidenza, incrinatasi negli anni dei contrasti sull’Azione cattolica e della guerra in Etiopia, tornò utile nel momento della punta massima del conflitto tra la Santa Sede e il regime hitleriano, ovvero quando si decise la promulgazione dell’enciclica Mit brennender Sorge (1937). Mussolini mantenne in quella circostanza un atteggiamento ambiguo, riguardoso nei confronti della Chiesa cattolica ma, al tempo stesso, sempre più vicino alle posizioni dell’alleato tedesco; tale ambiguità emerse palesemente in occasione del viaggio di Mussolini in Germania del settembre 1937 (cfr. asv, aes, Germania, Pos. 724 p. o., fasc. 339).

Nel tempo Pio XI ebbe sempre più sentore del doppio li
nguaggio di Mussolini, tuttavia spererà ancora, e a lungo, nella possibilità di avere una qualche influenza sul duce, e che questa potesse valere a impedirgli di seguire la rotta di Hitler («Il nunzio riferisce di avere confidenzialmente ripetuto al ministro Ciano una frase del Papa: “Mi rincresce che Hitler abbia chiamato Mussolini il suo più grande amico, perché Hitler è nemico di Dio!”. Il Santo Padre scatta: «Ma non è così che ho detto io ! (…) Io ho detto grande amico non il più grande amico. C’è differenza!”»; asv, aes, Stati Ecclesiastici, Pos. 560 p. o., fasc. 592, f. 118).

Tornando al nostro tema, noteremo come negli stessi mesi in cui si approntavano le leggi razziali italiane, Pio XI — che si trovava a Castel Gandolfo nella sua deliberata «vacanza» per stare lontano dall’Urbe che accoglieva Hitler — nel giugno del 1938 incaricava il gesuita John La Farge di redigere una bozza di lettera enciclica sull’«unità del genere umano» (che sarà poi la Humani generis unitas); testo assolutamente avverso al razzismo fascista e nazista, la cui pubblicazione non avvenne per la prematura morte del Papa, ma il cui testo ci è noto (Georges Passelecq – Bernard Suchecky, L’Encyclique cachée de Pie XI, Paris 1995; traduzione italiana Milano 1997; Giovanni Miccoli, L’enciclica mancata di Pio XI sul razzismo e l’antisemitismo, in «Passato e presente», 15, 1997, pp. 35-54; Giovanni Sale, «Humani generis unitas». L’enciclica mai pubblicata di Pio XI sul razzismo, in «La Civiltà Cattolica», 2-16 agosto 2008, pp. 213-226).

Il 15 luglio 1938, ricevendo in udienza la suore di Nôtre-Dame du Cénacle (legate a lui dai tempi del suo ministero sacerdotale milanese), Pio XI raccontò di essere venuto a conoscenza proprio in quel giorno di «qualcosa di ben grave» che assumeva i contorni di una «vera apostasia» — è ovvio pensare alManifesto degli scienziati razzisti che recava la data del giorno precedente) e ribadiva (non certo per le suore presenti, quanto per chi stava a Roma intento ad assecondare i desideri di Hitler) che «cattolico vuol dire universale» e che discriminare gli uomini secondo la nazionalità o la razza «non è più soltanto un’altra idea errata, è tutto lo spirito della dottrina che è contrario alla fede di Cristo» (Fattorini, p. 176: Sale in «La Civiltà Cattolica», 5 luglio 2008, p. 17). È evidente che qui Papa Ratti si riferiva alle serpeggianti tesi razziste.

Pochi giorni dopo la pubblicazione del citato Manifesto, ricevendo in udienza il 21 luglio gli assistenti dell’Azione cattolica, Pio XI, ben conscio ormai di quanto stava per succedere, ribadiva: «Cattolico vuol dire universale, non razzistico, nazionalistico, separatistico (…). C’è purtroppo cosa che è assai peggio che una formula o un’altra di razzismo e di nazionalismo, ossia lo spirito che le detta» («L’Osservatore Romano», n. 169, 23 luglio 1938, p. 1).

Il 28 luglio Pio XI si rivolgeva agli alunni di Propaganda Fide con parole che suscitarono poi le ire di Mussolini: «Si dimentica che il genere umano, tutto il genere umano, è una sola, grande, universale razza umana. L’espressione genere umano denota appunto la razza umana (…). Né può tuttavia negarsi che in questa razza universale non vi sia luogo per razze speciali, come per tante diverse variazioni come per molte nazionalità che sono ancora più specializzate. (…) Ci si può chiedere come mai l’Italia abbia avuto bisogno di andare a imitare in Germania (…). Bisogna chiamare le cose con il loro nome se non si vuole incorrere in gravi pericoli, in quello, tra gli altri, di perdere anche proprio il nome, anche la nozione delle cose» («L’Osservatore Romano», n. 176, 30 luglio 1938, p. 1). Mussolini, che si trovava allora a Forlì, accuserà il colpo e si lamenterà con il ministro Ciano e questi con Borgongini Duca, usando parole irrispettose verso il Pontefice (asv, Arch. Nunz. Italia, b. 9, fasc. 5, ff. 81-96); al contrario, associazioni di ebrei, come l’Alliance Israélite universelle, ringraziarono Pio XI per il suo coraggioso discorso: Aujourd’hui Rome a parlé, c’est-à-dire la plus haute autorité morale qui soit dans l’univers civilisé. L’Alliance Israelite est heureuse d’adresser son hommage, avec son espérance, à un langage aussi élevé (asv, aes,Italia, Pos. 1054 p. o., fasc. 730, f. 46). E nuovamente, il 12 agosto, «L’Osservatore Romano» ospitava in prima pagina un articolo intitolato «Una citazione berlinese» che smentiva le interpretazioni faziose del discorso pontificio apparse sul giornale tedesco «National Zeitung» e ammoniva gli italiani a informarsi opportunamente sulle direttive pontificie in fatto di razza, così come facevano organi di stampa inglesi, svizzeri e francesi.

A Milano intanto vi era chi si occupava di censurare il discorso del Papa, eseguendo certo gli ordini di Mussolini, e Pacelli registra l’udienza con Pio XI del 20 agosto in questi termini: «Scrive P. Gemelli al S. Padre che il Prefetto di Milano (era questi Giuseppe Marzano, che fu Prefetto di Milano dal giugno 1937 ad agosto 1939) ha chiamato il redattore capo delle pubblicazioni dell’Università del S. Cuore e lo ha obbligato a sottoscrivere la dichiarazione che non pubblicherà il discorso del S. Padre sul razzismo del 28 luglio. La cosa è tanto più enorme trattandosi di una Università e di una parola pontificia. Pur troppo fu fatto anche in altri casi, ma questi possono tenersi rappresentati dal caso presente quando si pensi che cosa è l’Università cattolica per il Papa. Quindi o lui provvede, o provvederà il S. Padre parlando e scrivendo come crederà bene. Lo si deve alla Chiesa» (asv, aes, Stati Ecclesiastici, Pos. 430a, fasc. 355, ad diem).

In questo contesto, Pio XI non cessò di far sentire la sua voce. Subito dopo il discorso di luglio era stato preparato un lungo articolo per «L’Osservatore Romano», che avrebbe dovuto spiegare il senso delle sue parole. Il testo, forse per le reazioni che avrebbe potuto suscitare, non venne pubblicato sul quotidiano vaticano, ma Pio XI volle che fosse ripreso all’estero, dove trovò spazio tra le colonne del giornale elvetico «La Liberté» del 6 agosto (cfr. asv, aes, Italia, Pos. 1054 p. o., fasc. 729, ff. 8-13).

Tra settembre e novembre del 1938 vide la luce il gruppo di decreti fascisti inerenti le leggi razziali e il 5 settembre il Governo pubblicava ilProvvedimento per la difesa della razza nella scuola fascista (gli ebrei e gli insegnanti ebrei non poterono tornare nelle scuole statali e parastatali alla fine delle vacanze estive). Pio XI il 6 settembre riceve un pellegrinaggio della radio cattolica del Belgio e di getto pronuncia un discorso rimasto celebre: «Ascoltate attentamente. Abramo è definito il nostro patriarca, il nostro avo (…). L’antisemitismo è un movimento odioso, con cui noi cristiani non dobbiamo avere nulla a che fare (…). L’antisemitismo è inammissibile. Spiritualmente siamo tutti semiti» (Miccoli, p. 309; Fattorini, p. 181). Tre giorni dopo, nel verbale di udienza del 9 settembre con Papa Ratti, Pacelli registrava: «Il P. Tacchi Venturi dica a Mussolini: che il S. Padre come italiano si contrista veramente di vedere dimenticata tutta una storia di buon senso italiano per aprire la porta o la finestra a un’ondata di antisemitismo tedesco. Vi è un tesoro altissimo e verissimo del quale la Chiesa in un documento più sacro e solenne ci dice: tutti quanti nel seno di Abramo, e Abramo patriarca nostro, di tutti quanti. Qui filii sunt promissionis aestimantur in semine (Romani, 9, 8); Patriarchae nostri Abrahae (Canon Missae)» (asv, aes, Italia, Pos. 1054 p. o., fasc. 727).

Ricevendo in udienza di tabella monsignor Tardini il 16 ottobre — il cardinale Pacelli si trovava allora in Svizzera, come sua abitudine, per le sempre operose vacanze estive — accennando al «razzismo italiano», Pio XI disse «l’Italia e gli italiani sono un branco di pecore! Di quest
o non dobbiamo proprio esser grati a Mussolini» (asv, aes, Stati Ecclesiastici, Pos. 560 p. o., fasc. 592, Appunti di Tardini, p. 15). È ancora Tardini che registra, nell’udienza del 19 ottobre, una ferma reazione di Papa Ratti che ci interessa: «Leggo al Santo Padre un rapporto del Nunzio [Borgongini-Duca, nunzio in Italia] circa un reclamo del Governo italiano per alcune frasi che sarebbero state dette in un congresso eucaristico a Chiari (Brescia) contro il razzismo. Ascoltando le frasi incriminate Sua Santità commenta: Benissimo! Giustissimo! Queste cose bisognerà pur che qualcuno le dica» (ibid., p. 23). Le due frasi pronunciate dai cattolici al congresso di Chiari erano le seguenti: «Oggi si vuole la robustezza fisica come quella dei tori e degli allevamenti nelle stalle, mentre la nostra educazione deve mirare allo spirito», «Iddio certamente punirà il popolo tedesco e tutti coloro che si mettono per la sua strada» (colloquio del nunzio Borgongini-Duca con il ministro Ciano del 6 ottobre 1938 in asv, Arch. Nunz. Italia, b. 9, fasc. 14, ff. 160-163).

Sempre sotto la data del 19 ottobre abbiamo nei verbali di udienza di Tardini: «Per la questione del matrimonio degli ebrei Sua Santità ordina di fare presto un promemoria ufficiale, perché gli scritti e le trattative del P. Tacchi Venturi sono piuttosto cose private» (asv, aes, Stati Ecclesiastici, Pos. 560 p. o., fasc. 592, Appunti di Tardini, p. 22); sempre Tardini ricorda: «Il 20 ottobre vedo di nuovo S. E. Mons. Borgongini, il quale si è assunto l’incarico di preparare due promemoria per il Governo italiano: uno circa il matrimonio, l’altro circa la questione degli ebrei. Sua Santità, infatti, ha ieri deciso che si prepari subito un documento ufficiale perché rimanga dimostrato che la S. Sede ha prevenuto il Governo italiano circa le dolorose conseguenze delle sue nuove leggi» (ibidem, p. 25).

Circa l’udienza accordata al padre Tacchi Venturi dal Papa il 23 ottobre seguente, monsignor Tardini annota: «Padre Tacchi Venturi ripete al Santo Padre che il Governo intende punire coloro che — contro le sue leggi — celebreranno il matrimonio religioso. Sulla questione razzista c’è assoluta intransigenza da parte del Governo. A questo punto io faccio notare che il Ministero della Cultura Popolare ha proibito a tutti i giornali, periodici e riviste di riprendere dall’Osservatore Romano articoli contro il razzismo e di pubblicare anche altri articoli di propria iniziativa, sia pure contro il razzismo tedesco. Il Santo Padre scatta e dice al Padre Tacchi Venturi: Ma questo è enorme! Ma io mi vergogno… mi vergogno di essere italiano. E lei, Padre, lo dica pure a Mussolini! Io, non come Papa, ma come italiano mi vergogno! Il popolo italiano è diventato un branco di pecore stupide. Io parlerò, non avrà paura. Mi preme il Concordato, ma più mi preme la coscienza. Non avrò paura! Preferisco andare a chiedere l’elemosina. Neppure chiedo a Mussolini che difenda il Vaticano. Anche se la piazza sarà piena di popolo, non avrò paura! Qui sono diventati tutti come tanti Farinacci. Sono veramente amareggiato, come Papa e come italiano!» (ibidem, pp. 37-38; Fattorini, pp. 183-184).

E ognuno sa quante difficoltà creò poi Mussolini, furibondo per l’atteggiamento di Pio XI, alla Santa Sede riguardo ai matrimoni misti e come il cardinale Pacelli fosse costretto a protestare ufficialmente con l’ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede Bonifacio Pignatti Morano di Custoza nel 1938 e nel 1939 (asv, Arch. Nunz. Italia, b. 9, fasc. 5, ff. 143-189).

La posizione di risoluto rigetto delle leggi razziali fu ribadita da Pio XI nell’udienza di tabella del 30 ottobre, questa volta registrata dal cardinale Pacelli, rientrato a Roma: «Sulla legge del matrimonio circa la razza. Istruzione al P. Tacchi Venturi. Non essendosi data nessuna risposta alla domanda di far conoscere alla S. Sede il testo della nuova legge nella parte concernente il matrimonio fra persone di diversa razza, la S. Sede viene a trovarsi nella impossibilità di prendere una risoluzione qualsiasi circa un testo ad essa ignoto. Parlando il P. Tacchi Venturi potrebbe dire: se voi proprio volete pubblicare la vostra legge, la S. Sede e l’Episcopato si troveranno nelle necessità di fare quello che il dovere del loro ministero esigerà» (asv, aes, Italia, Pos. 1063, fasc. 755, f. 127).

A questo punto si consuma la rottura personale fra Mussolini e il Papa, che ormai trova sordo il suo interlocutore, definito infine come «scortese e fedifrago»; sarà proprio la questione dei matrimoni «misti», vietati con inusitata severità dalle leggi italiane, che diverrà il centro della protesta di Pio XI, il quale dai toni sfumati passerà alle vie della diplomazia per ventilare l’ipotesi di un vulnus perpetrato da quelle leggi al Concordato e si arriverà così alla celebre allocuzione concistoriale che avrebbe dovuto aver luogo l’11 febbraio 1939; in essa il Papa avrebbe protestato contro il clima apertamente contrario alla Chiesa che ormai si respirava in Italia.

Infine, come ulteriore atto pubblico che manifestò la contrarietà della Chiesa cattolica alle leggi razziali (s’intende prima della mancata allocuzione concistoriale del febbraio 1939), si deve annoverare la risposta data alla lettera del cardinale Arthur Hinsley, arcivescovo di Westminster. Il 26 novembre del 1938 il porporato aveva scritto a Pacelli comunicando che «il 9 dicembre ci sarà una riunione pubblica a Londra allo scopo di chiedere aiuto e assistenza per tutti coloro che soffrono della persecuzione per motivi di razza o di religione», e chiedeva «una parola autentica del Santo Padre dichiarando il principio che in Cristo non esiste discriminazione di razza e che la grande famiglia umana deve essere unita in pace per mezzo di rispetto della personalità dell’individuo» (asv, aes, Stati Ecclesiastici, Pos. 575 p. o., fasc. 606bis, ff. 3-4).

Nell’udienza del 3 dicembre concessa al cardinale Pacelli, Pio XI decideva che: «Se la cosa fosse di carattere sostanzialmente privato, sarebbe più facile. D’altra parte, occorre togliere l’apparenza di aver paura di ciò che non si deve temere. Si potrebbe incaricare il cardinale Hinsley a parlare e, dicendosi sicuro di interpretare il pensiero del Sommo Pontefice, dicendo che la cosa coglie il Papa in un momento di tanta preoccupazione, non soltanto per la sua salute, ma anche per la quantità di cose. (…) Egli, cardinale di Santa Romana Chiesa, però dica di interpretarne il pensiero, che vede con occhio umano e cristiano ogni assistenza a quanti (sono) infelici e ingiustamente sofferenti» (ibidem, f. 8). Lo stesso 3 dicembre, queste parole del Papa vennero comunicate per telegrafo a Hinsley, perché se ne facesse portavoce in quell’assemblea (ibidem, f. 9).

Ci si può chiedere, di fronte a così chiare espressioni di riprovazione, se Pio XI fosse sorretto dalla sua curia e dall’episcopato cattolico oppure, come qualcuno ha scritto, fosse lasciato solo nella lotta contro le ideologie totalitarie. Certo vi furono uomini di Chiesa meno coraggiosi e meno «profeti» di Papa Ratti (fra questi bisogna ascrivere, almeno per alcuni periodi e per limitati aspetti, lo stesso nunzio in Italia Borgongini-Duca, il padre Gemelli e il gesuita Tacchi Venturi o taluni scrittori de «La Civiltà Cattolica»); questi degni ecclesiastici e religiosi, pur mossi dall’intento di ammorbidire i toni di uno scontro a volte aspro fra Pio XI e il Governo fascista e quindi di raggiungere, per quella strada, una auspicata modifica delle posizioni razziali fasciste, non videro — come invece aveva visto Papa Ratti — le pericolose premesse e le scontate funeste conseguenze della dottrina fascista sulla razza, che finì per preparare il terreno alle deportazioni naziste degli ebrei, tristemente note. Altri prelati però, nell’epifania del 1939, si pronunciavano apertamente contro la discriminazione degli ebrei in ragione della loro razza; si ricordano l’arcivescovo di
Bologna Giovanni Battista Nasalli Rocca, l’arcivescovo di Milano Ildefonso Schuster e l’allora delegato apostolico in Turchia Angelo Giuseppe Roncalli, che aveva parole chiarissime contro il razzismo nell’omelia tenuta nella chiesa francese dello Spirito Santo a Istanbul (Fattorini, p. 203). Queste prese di posizione non sembrano dovute a una semplice coincidenza di tempo e di argomento, quanto piuttosto una direttiva che per le solite vie riservate e allusive della diplomazia vaticana si era rivolta ai presuli.

Né questi furono soli, perché proteste contro le leggi razziali vennero anche da diversi pastori, come il vescovo di Trieste, Antonio Santin, o dal cardinale arcivescovo di Torino Maurilio Fossati (asv, Arch. Nunz. Italia, b. 9, fasc. 5, ff. 97-106), per tacere di altri. Vanno ricordate poi anche le accoglienze riservate dai presuli italiani alla circolare della Congregazione degli Studi contro le degenerazioni della dottrina della razza; circolare ripubblicata in lingua italiana in numerosissimi bollettini diocesani con commenti degli stessi vescovi o di ecclesiastici in piena sintonia con le direttive di Pio XI. In taluni casi fu necessario combattere contro la censura che il fascismo voleva imporre anche ai bollettini diocesani sull’argomento della razza e sui discorsi del Papa, come fu il caso di Padova, con le proteste del vescovo Carlo Agostini, o di Brescia, come scriveva il vescovo Giacinto Tredici al segretario di Stato il 19 agosto, di Nicosia, con rimostranze del vescovo Agostino Addeo, o ancora di Cremona, con la lettera del vescovo, Giovanni Cazzani, a Farinacci dell’8 agosto 1938 («Questa parola ebbe corso e senso dal culto esagerato, pagano, anticristiano e antiromano della razza — scriveva il presule — professato e attuato in provvedimenti legislativi nella Germania di Hitler»); persino alcuni fascisti cattolici di Reggio Calabria inviarono a monsignor Tardini una «lettera aperta» a Mussolini molto critica sul contegno del duce verso il Papa e anche verso le leggi razziali (asv, aes, Italia, Pos. 1054 p. o., fasc. 730, ff. 10-28).

Il consenso con le prese di posizione anti-razziste di Papa Ratti giungeva a Roma da varie nazioni del mondo: «Impressione in Costarica circa razzismo è generalmente sfavorevole Governo Italiano e di simpatia verso Santo Padre», telegrafava da San José di Costarica il nunzio Chiarlo in data 9 agosto 1938 (asv, aes, Italia, Pos. 1054 p. o., fasc. 730, f. 4); stesso atteggiamento abbiamo da parte di cattolici in Inghilterra, Austria, Belgio, Francia, Stati Uniti, Brasile, Argentina, Ungheria e da diverse altre nazioni. Persino dalla Polonia un certo Maurycy Widerszal il 13 agosto 1938 scriveva a Pio XI (tradotto in italiano in Segreteria di Stato): «Santità, chi scrive è un ebreo di nascita, ma di anima, di cuore e di sangue il cento per cento polacco, amante la propria patria, dove morirono i suoi antenati. Ringrazio Vostra Santità perché ha voluto coraggiosamente ammonire i potenti, perché ha avuto parole di conforto per gli oppressi» (ibid., ff. 59-61).

Un gruppo di ebrei di Roma presentò al Papa i propri auguri per le feste natalizie del 1938 con queste parole: «Nella imminenza del Santo Natale, Beatissimo Padre, vogliate renderVi interprete di tutti i cuori che soffrono e di tutte le anime che trepidano, indirizzando a tutti, popoli e reggitori, l’autorevole parola di una Vostra Enciclica per ricordare l’amore, la carità, la fratellanza cristiana, il disarmo spirituale nell’angelicato saluto natalizio: Gloria a Dio nel più altro dei Cieli, pace in terra agli uomini di buona volontà. E questo saluto, questa invocazione, questa preghiera sia la migliore strenna natalizia del 1938 per la Umanità tutta che in Voi si affida, Padre Santo. Prostrati ai Vostri piedi, questi voti umiliano i Figli Vostri d’Israele» (ibid., f. 72). Già da diversi mesi Papa Ratti, quasi presagendo istanze consimili, aveva dato ordine che si lavorasse a preparare appunto una enciclica — poi ripresa dalla Summi pontificatus — che servisse a unire, non a dividere le razze, a cementare la concordia, non la divisione settaria, a esaltare la Croce di Cristo, non la croce uncinata tedesca verso la quale Mussolini e l’Italia fascista si erano pericolosamente incamminati.

*Vescovo prefetto dell’Archivio Segreto Vaticano

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ZENIT Staff

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