L’innovazione nella ricerca medica e i suoi risvolti bioetici

Se ne è discusso all’Università di Tor Vergata

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di Luca Marcolivio

ROMA, domenica, 14 dicembre 2008 (ZENIT.org).- Il rapporto tra medicina e nuove tecnologie è ambivalente e pone una serie di problematiche di carattere etico. Se ne è discusso sabato mattina all’Università di Tor Vergata, nel corso del primo di una serie di incontri organizzati dalla cappella dell’ateneo romano.

Nell’introdurre gli ospiti, il cappellano di Tor Vergata, padre Mauro Oliva, ha ricordato la concomitanza con il sessantesimo anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e la necessità di un’attualizzazione della stessa carta alla luce della rapida evoluzione del progresso scientifico.

Il rapporto medico-paziente del resto, come sottolineato dal rettore dell’Università di Tor Vergata, il prof. Renato Lauro, può risultare “inaridito” dall’eccesso di tecnologia, mentre “la complessità dell’azione medica può creare contrasti e problematiche notevoli nel rapporto con la morte”.

A seguito della lezione introduttiva a cura del prof. Antonio Gioacchino Spagnolo, riguardante l’attività, la struttura e funzioni dei comitati etici, ha preso il via la tavola rotonda “Bioetica: limite o percorso della ricerca?”, moderata da Adriano Bompiani, presidente onorario del Comitato Nazionale di Bioetica.

Il primo intervento, inerente il rapporto tra bioetica e ricerca di base, è stato curato dal prof. Enrico Garaci, ordinario di microbiologia a Tor Vergata, che ha ricordato i quattro principali approcci dottrinali: 1) l’approccio pragmatico-utilitarista, in base al quale conta il bene della maggioranza; 2) l’approccio contrattualista che prevede una negoziazione sui valori alla quale però, obiettivamente, non tutti i soggetti possono partecipare; 3) l’approccio socio-biologico evoluzionista, improntato al più assoluto relativismo; 4) l’approccio personalista che privilegia la dignità dell’individuo rispetto all’interesse della collettività.

I limiti etici della ricerca, ad avviso di Garaci, non risiedono negli obiettivi, in quanto “non c’è barriera della conoscenza oltre il quale l’uomo non possa spingersi”, quanto nei mezzi. Ciò che il ricercatore deve mantenere è “l’indipendenza professionale rispetto ad impostazioni politiche o ideologiche”.

La scoperta del genoma umano è sicuramente una di quelle rivoluzioni scientifiche destinate a incidere di più sull’approccio etico verso il paziente. Come ha illustrato il prof. Giuseppe Novelli, preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Tor Vergata, “dal DNA umano ricaviamo notizie fondamentali sull’efficacia o sulla dannosità dei farmaci sui pazienti”.

Uno dei risvolti etici è dunque la possibile nascita di un ‘proletariato genetico’, ovvero la possibile discriminazione dei pazienti, nell’accesso ai farmaci, pertanto “è giusto spiegare con cura alla collettività i vantaggi della ricerca genomica, da utilizzare per il bene del paziente”.

Il rapporto tra ricerca clinica e bioetica è stato altresì analizzato da Domenico Arduini, docente di ginecologia ed ostetricia all’Università di Tor Vergata. “Il lavoro del medico – ha esordito Arduini – è solo in apparenza libero, essendo vincolato alla ricerca e ai paradigmi prodotti dai poteri forti, a partire dalle grandi case farmaceutiche”.

L’etica della necessità è dunque assolutamente complementare alla necessità dell’etica, laddove la prima implica “l’imperativo di sperimentare sul corpo umano”, mentre la seconda comporta “l’obbligo di rispettare la deontologia, insieme alla correttezza di una ricerca che conduca a conclusioni vere, neutre ed imparziali”.

Il quarto intervento, curato dal prof. Arnaldo D’Amico, ordinario di dispositivi elettronici a Tor Vergata, ha riguardato la ricerca nel campo delle bioetecnologie. “La problematica della medicina meccanizzata – ha affermato D’Amico – è in che misura essa possa trasmettere il senso della vicinanza e dell’amore tra medico e paziente. È necessario, quindi, educare il ricercatore all’uso della sensorialità aumentata”.

Conclusa la tavola rotonda, è intervenuto padre Gonzalo Miranda LC, già decano della facoltà di Bioetica all’Ateneo Pontificio “Regina Apostolorum”. Spiegando le posizioni della Dottrina Sociale della Chiesa, padre Miranda ha innanzitutto smentito l’affermazione “antistorica” secondo la quale “la bioetica sarebbe una disciplina nata in ambito laico e di cui i cattolici si sarebbero ‘appropriati’”.

“In realtà – ha proseguito Miranda – la Chiesa ha sempre avuto posizioni etiche molto precise sui temi della vita e, in tempi non sospetti, ha fondato istituzioni interamente impegnate nella ricerca in campo bioetico. Si pensi al ‘Kennedy Institute’, facente capo alla Georgetown University o all’Hastings Center, fondato da Daniel Callahan”.

La grande sensibilità della Chiesa in questo ambito storicamente ha origine anche dal grande impegno dei cattolici in campo sanitario e assistenziale, “unito ad una lunga tradizione di riflessione sul tema. I primi ospedali, lebbrosari e orfanotrofi nacquero dall’abnegazione cristiana, ispirata da Cristo che, pur soffrendo sulla croce, dà la vita per alleggerire le sofferenze agli uomini, pur non eliminandole”.

“La bioetica cattolica nasce dunque da tale lunga esperienza – ha aggiunto Miranda – e affonda le sue radici nel Quinto Comandamento: infatti, già nel II secolo, i cristiani consideravano l’aborto un delitto. La chiesa non ha mai avuto la pretesa di imporre la propria bioetica, l’ha sempre solo voluta proporre”.

Quanto al tentativo laicista di emarginare la Chiesa dal dibattito sui temi ‘eticamente sensibili’, padre Miranda ha affermato: “coloro che accusano la chiesa di ingerenza sono incoerenti, trattandosi, quasi sempre, delle stesse persone che lodano le prese di posizione della chiesa stessa su altri temi o pretendono che essa si esprima in modo manifesto in altri ambiti ancora: si pensi alla polemica sui ‘silenzi’ di Pio XII riguardo all’olocausto”.

L’altro pretesto utilizzato per mettere a tacere il punto di vista cattolico è l’“ispirazione spirituale”, ovvero “l’idea che la Chiesa debba esclusivamente curare la vita ascetica e la preghiera, evitando di ‘sporcarsi le mani’ nelle questioni materiali. Essa è però tenuta ad orientare i fedeli nelle loro scelte di ogni giorno”, ha aggiunto padre Miranda.

“La Dottrina Sociale Cattolica si sviluppa a partire da dati di fatto, in bioetica, come in economia e in tutte le altre discipline. Nel caso dell’embrione prendiamo atto di quanto dicono i biologi, ovvero che esso è scientificamente una vita umana, pertanto, come tale va rispettata. Laddove la ragione umana non arrivi da sola a comprendere tali principi, il Signore fornisce agli uomini uno strumento provvidenziale come il Magistero Ecclesiale”.

“Le posizioni della Chiesa sui temi etici e bioetici non sono dogmi ma convinzioni, fondate sulla scienza e sulla realtà. In linea teorica la Chiesa potrebbe anche cambiare idea, ad esempio, sulla possibilità dell’uso sperimentale degli embrioni ma, per farlo, dovrebbe arrivare un improbabile pronunciamento scientifico che neghi la natura umana degli embrioni stessi”, ha poi concluso padre Miranda.

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ZENIT Staff

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