CITTA’ DEL VATICANO, mercoledì, 10 dicembre 2008 (ZENIT.org).- Di seguito pubblichiamo l’intervento del Segretario di Stato vaticano, il Cardinale Tarcisio Bertone, che ha introdotto il solenne atto celebrativo per il 60° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, svoltosi questo mercoledì pomeriggio nell’Aula Paolo VI in Vaticano.
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Eminenze, Eccellenze,
Signori Ambasciatori,
Graditissimi Ospiti, Signore e Signori,
Sono lieto di prendere la parola in questo atto solenne che celebra il 60mo Anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo adottata dalle Nazioni Unite. Si tratta di un momento significativo al quale si unirà personalmente il Santo Padre Benedetto XVI per sottolineare, ancora una volta, l’importanza che la Santa Sede assegna al riconoscimento e alla tutela dei diritti fondamentali della persona umana. È ancora vivo in noi l’eco della Sua Parola rivolta all’Assemblea Generale dell’ONU, lo scorso 18 aprile, che indicava la Dichiarazione come “il risultato di una convergenza di tradizioni religiose e culturali, tutte motivate dal comune desiderio di porre la persona umana al cuore delle istituzioni, leggi e interventi della società, e di considerare la persona umana essenziale per il mondo della cultura, della religione e della scienza”.
Vorrei anche esprimere la mia sentita gratitudine al Cardinale Renato Raffaele Martino e al Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace per l’organizzazione di questo significativo evento.
1. Nel momento in cui veniva adottata, la Dichiarazione Universale esprimeva il primato della libertà contro l’oppressione, dell’unità della famiglia umana rispetto alle divisioni ideologiche e politiche, come pure alle differenze di razza, di sesso, di lingua e di religione. Si voleva difendere la persona dall’idolatria dello Stato che i totalitarismi avevano addirittura divinizzato, proponendo un modo ulteriore per costruire la “città degli uomini”, fondandola sulla convinzione che “il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana, e dei loro diritti uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia, della pace” (Dichiarazione Universale, Preambolo).
La Dichiarazione Universale, infatti, testimonia un rinnovarsi della speranza di fare della persona umana il segno di un futuro capace di liberarsi del peso del passato, quasi a voler purificare la memoria della famiglia umana. Sessanta anni or sono, infatti, le vittime delle barbarie, gli orrori della guerra, gli atti di genocidio erano tutte contraddizioni da superare per ricercare nelle relazioni internazionali e nella vita interna degli Stati quel necessario equilibrio capace di proiettare l’umanità verso un futuro degno dell’uomo.
2. La Dichiarazione, proponendo un insieme di diritti e di facoltà della persona, ne esalta la libertà e l’appartenenza alla famiglia umana, coniugando l’idea di giustizia con le affermazioni del primato della vita, l’idea della socialità, l’apprezzamento del metodo democratico inteso come insieme di regole, istituzioni e strutture in grado di esprimere e veicolare valori.
Non siamo di fronte solo ad una proclamazione, ma piuttosto ad una nuova considerazione e collocazione della dignità umana da parte della Comunità internazionale e delle diverse Comunità politiche che la animano, fino ad allora poco inclini ad ammettere la persona come protagonista. Un approccio che si presenta ancora valido e non sostituibile perché chiama la persona a vivere i propri diritti con un atteggiamento di condivisione dei diritti altrui, e a guardare ogni suo simile non come termine di contrapposizione o di limite, ma riconoscendone la “sostanziale uguaglianza” e impegnandosi a vivere in “spirito di fratellanza” (Cfr. Dichiarazione Universale, art. 1).
3. La Chiesa, che da parte sua considera con grande rispetto quanto di vero, buono e bello si trova nella comunità degli uomini (Cfr. Gaudium et Spes, 42), ha visto nella Dichiarazione un “segno dei tempi”, ritenendola “un passo importante nel cammino verso l’organizzazione giuridico-politica della comunità mondiale” (Enc.Pacem in Terris, 75). Un atto in grado di sintetizzare il senso della libertà umana coniugando a principi immutabili le esigenze attuali, capace di offrire indicazioni antropologicamente fondate e giuridicamente in grado di rispondere ai bisogni umani più profondi.
La stessa idea dei diritti fondamentali ha una radice profonda nella tradizione cristiana sin dall’iniziale annuncio della “Buona Novella”, che arricchisce i precetti del Decalogo con l’invito ad essere solidali verso ogni persona (Cfr. Mt 25, 35-36), senza alcuna distinzione: “non conta più l’essere giudeo o greco, né l’essere schiavo o libero, uomo o donna, perché tutti sono una sola cosa in Cristo Gesù” (Gal 3,28).
Nella dottrina della Chiesa, poi, la tutela della persona umana evoca la sussidiarietà quale principio regolatore dell’ordine sociale e che partendo dalla persona garantisce diritti e libertà individuali come pure quelli legati alla dimensione comunitaria con la libertà di associarsi, di dar vita alle formazioni sociali, agli enti intermedi, fino alla realtà dello Stato e quindi alla Comunità internazionale con le sue istituzioni.
4. I Sommi Pontefici hanno espresso in molte occasioni l’apprezzamento della Chiesa per il grande valore della Dichiarazione Universale dei Diritti umani del 10 dicembre 1948. Vorrei almeno ricordare qui gli insegnamenti di Paolo VI, di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI in occasione dei loro interventi davanti all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Il 4 ottobre 1965, Paolo VI così si espresse di fronte ai Rappresentati delle Nazioni: «Perché voi qui proclamate i diritti e i doveri fondamentali dell’uomo, la sua dignità, la sua libertà e, per prima, la libertà religiosa». Giovanni Paolo II parlò per due volte davanti all’Assemblea delle Nazioni Unite. Nella prima, il 3 ottobre 1979, a proposito della Dichiarazione Universale sui diritti umani, egli affermò: «Questo documento è una pietra miliare posta sul lungo e difficile cammino del genere umano. Bisogna misurare il progresso dell’umanità non solo col progresso della scienza e della tecnica, dal quale risalta tutta la singolarità dell’uomo nei confronti della natura, ma contemporaneamente e ancor più col primato dei valori spirituali e col progresso della vita morale». Nella seconda, il 5 ottobre 1995, Giovanni Paolo II definì la Dichiarazione come «una delle più alte espressioni della coscienza umana nel nostro tempo» e sottolineò con forza come «vi siano realmente dei diritti umani universali, radicati nella natura della persona, nei quali si rispecchiano le esigenze obiettive e imprescindibili di una legge morale universale. Ben lungi dall’essere affermazioni astratte, questi diritti ci dicono anzi qualcosa di importante riguardo alla vita concreta di ogni uomo e di ogni gruppo sociale. Ci ricordano anche che non viviamo in un mondo irrazionale o privo di senso, ma che, al contrario vi è una logica morale che illumina l’esistenza umana e rende possibile il dialogo tra gli uomini e tra i popoli. Se vogliamo che un secolo di costrizione lasci spazio a un secolo di persuasione, dobbiamo trovare la strada per discutere, con un linguaggio comprensibile e comune, circa il futuro dell’uomo. La legge morale universale, scritta nel cuore dell’uomo, è quella sorta di “grammatica” che serve al mondo per affrontare questa discussione circa il suo stesso futuro».
Benedetto XVI, parlando a sua volta davanti all’Assemblea delle Nazioni Unite, il 18 aprile 2008, e ricordando esplicitamente l’evento che oggi celebriamo, ossia il 60mo anniversario della Dichiarazione, ha detto: «È evidente che i diritti riconosciuti e delineati nella Dichiarazione si applicano ad ognuno in virtù della comune origine della persona, la quale rimane il punto più alto de
l disegno creatore di Dio per il mondo e per la storia. Tali diritti sono basati sulla legge naturale iscritta nel cuore dell’uomo e presente nelle diverse culture e civiltà. Rimuovere i diritti umani da questo contesto significherebbe restringere il loro ambito e cedere ad una concezione relativistica, secondo la quale il significato e l’interpretazione dei diritti potrebbero variare e la loro universalità verrebbe negata in nome di contesti culturali, politici, sociali e persino religiosi differenti».
5. Oggi, di fronte ad un preoccupante quadro globale che è anzitutto il riflesso di strutture economiche non rispondenti al valore dell’uomo, i diritti basilari sembrano dipendere da anonimi meccanismi senza controllo e da una visione che si rinchiude nel pragmatismo del momento, dimenticando che la cifra del futuro della famiglia umana è la solidarietà.
Ci si chiede, allora, se siano le strutture economiche e i loro recenti mutamenti la causa del diniego dei diritti o se non si tratti piuttosto di un abbandono della visione della persona che da soggetto è diventata sempre più un oggetto dell’agire economico, spesso ridotta a rivendicare i soli diritti legati alla sua funzione di consumatore e non di persona.
6. Di fronte alla dimensione globale che segna la nostra era, è l’universalità della persona – come ricordava il Santo Padre all’ONU – il criterio che fornisce ai diritti umani la caratteristica di essere universali, così da evitare applicazioni parziali o visioni relative. Questo significa che ogni Comunità politica è chiamata a dare realizzazione ai contenuti della Dichiarazione Universale analizzando obiettivamente la propria situazione, ma avendo chiaro che quell’atto non è privo di forza perché adottato ed elaborato in un contesto sociale, politico e giuridico differente da quello in cui oggi operiamo: anzi, trae tutta la sua permanente efficacia dalla “connaturalità” alla storia di ogni persona umana.
La mancata tutela dei diritti umani che spesso si evidenzia nell’atteggiamento di tante istituzioni e funzioni dell’autorità, è il frutto della disgregazione dell’unità della persona intorno alla quale si pensa di proclamare diritti diversi, di costruire ampi spazi di libertà che però rimangono privi di ogni fondamento antropologico.
Trascorsi ormai sessant’anni da quel 10 dicembre 1948, non sembra più possibile garantire i diritti se si trascura la loro indivisibilità e non si abbandona la convinzione che la tutela dei diritti civili e politici passa per un “non fare” degli apparati istituzionali, mentre l’impegno per quelli economici, sociali e culturali è da considerare solo programmatico.
7. Un’attenzione particolare la Chiesa sente di doverla rivolgere alla libertà religiosa che la Dichiarazione Universale nel suo articolo 18 ha reso esplicita in significati e limiti, prevedendo altresì i diritti e le situazioni che a tale libertà sono connessi. Oggetto di quel diritto non è il contenuto intrinseco di una determinata fede religiosa, ma l’immunità da ogni coercizione, quasi una zona di sicurezza in grado di garantire l’inviolabilità di uno spazio umano in cui il singolo credente e la comunità in cui egli esprime la propria fede sono liberi di agire, senza pressioni esterne di singoli, di gruppi sociali o di qualsivoglia autorità.
È un dato di tutta evidenza che il fatto religioso abbia un’influenza diretta nello svolgersi della vita interna degli Stati e di quella della Comunità internazionale. Questo nonostante si percepiscano sempre di più indicazioni e tendenze che sembrano voler escludere la religione e i diritti ad essa connessi dalla possibilità di concorrere alla costruzione dell’ordine sociale, pur nel pieno rispetto del pluralismo che contraddistingue le società contemporanee.
La libertà religiosa rischia di essere confusa con la sola libertà di culto o comunque interpretata come elemento appartenente alla sfera privata e sempre più sostituita da un imprecisato “diritto alla tolleranza”. E questo ignorando che la libertà religiosa quale diritto fondamentale segna il superamento della tolleranza religiosa, che era saldamente ancorata ad una visione relativa della verità e ad un individualismo senza limiti.
Analogamente, proprio la prospettiva internazionale lascia emergere la tendenza a relegare il fatto religioso alla dimensione della cultura o ad accomunarla alle pratiche ed ai saperi tradizionali ai quali non è estranea una visione sincretista, dimenticando che la religione, e le libertà e i diritti ad essa collegati, sono un’esperienza di vita, un indicatore delle aspirazioni più profonde che la persona attraverso il suo agire vuole raggiungere.
8. Un aspetto sul quale diventa necessario volgere la nostra attenzione è quello dell’esatta natura dei diritti che la Dichiarazione fa discendere dalla dignità che è comune ad ogni essere umano. Un aspetto verso il quale è necessario che possano convergere rivendicazioni, pensieri, proposte per dar loro un ordine, senza far dilagare la domanda di diritti verso ogni direzione. Difendere i diritti fondamentali significa, infatti, non confonderli con semplici e spesso limitati bisogni contingenti. Poter ricondurre all’originaria impostazione della Dichiarazione anche le nuove situazioni è possibile e può essere una strada da seguire per dare rinnovato vigore alla causa dell’uomo.
Anche una volta riconosciuti e perfino fissati in una eventuale convenzione, i diritti umani hanno sempre bisogno di essere difesi. Hanno bisogno di fedeltà da parte nostra, perché possono essere persi di vista, reinterpretati in modo restrittivo o addirittura negati. La pedagogia alla quale dobbiamo la loro formulazione è la stessa di cui hanno bisogno per essere conservati. Il Santo Padre ci ricorda spesso che il progresso morale dell’umanità ha bisogno di essere sempre nuovamente intrapreso. Non essendo un fatto materiale esso non può avvenire per accumulo. Ciò vale anche per i diritti umani, che hanno bisogno di essere ogni giorno ribaditi, rifondati nella nostra consapevolezza e rivissuti.
9. Rispettare e rinvigorire i diritti fondamentali sarà un modo concreto attraverso cui contrastare le forme, differenti e diffuse, di abbandono dei cardini di ordine morale nei rapporti sociali, dalla dimensione interpersonale sino a quella delle relazioni internazionali. Infatti, è sempre più difficile prevedere una tutela dei diritti, efficace e universale, senza un collegamento a quella legge naturale che feconda i diritti medesimi ed è l’antitesi di quel degrado che in tante nostre società ha interesse a mettere in discussione l’etica della vita e della procreazione, del matrimonio e della vita familiare, come pure dell’educazione e della formazione delle giovani generazioni, introducendo unicamente una visione individualistica su cui arbitrariamente costruire nuovi diritti non meglio precisati nel contenuto e nella logica giuridica.
I diritti, dunque, non possono essere dei contenitori che secondo i momenti storici, culturali e politici si riempiono di significati e di elementi diversi. Anzi è l’assenza di valori a cui legare i diritti la causa principale della loro inefficacia e della loro violazione. La legge naturale, invece, consente a tutti di trovare una radice comune, anche di fronte a posizioni che pur avendo un diverso fondamento etico non sono disposte a cedere di fronte all’abbandono di quella verità che è comune al genere umano.
Solo una visione debole dei diritti umani può ritenere che l’essere umano sia la risultante dei suoi diritti, non riconoscendo che i diritti restano uno strumento creato dall’uomo per dare piena realizzazione alla sua dignità innata.
10. La Dichiarazione del 1948 è un punto di arrivo. Essa deve essere però anche sempre un nuovo punto di partenza; mantiene ancora tutto il suo potenziale che non va consumandosi, anzi richiede una maggiore condivisione in grado di tradursi in atti concreti. La Dichiarazione Universale, infatti, è chiamata non solo a difendere la libe
rtà e le sue regole, ma anche ad impedire che esse possano degenerare nella negazione del primato dell’essere umano.
Tra i diritti umani, a rigor di termini, non esiste una gerarchia. Essi sono un tutt’uno, sono come un unico diritto: il diritto a poter diventare uomo o, come scriveva Paolo VI, a poter diventare più uomo. La Chiesa, insieme con la saggezza politica e giuridica, ha sempre sostenuto il principio della indivisibilità dei diritti umani: ognuno di essi rispecchia tutti gli altri e rimanda ad essi come a elementi complementari e insostituibili di se stesso. La sua insistenza sull’importanza del diritto alla vita e del diritto alla libertà religiosa non deriva, quindi, dalla volontà di voler inserire una qualche divisione tra i diritti dell’uomo, una gerarchia. L’insistenza nasce piuttosto dal bisogno di esplicitare il fatto che gli stessi diritti non si fondano da soli, ma sono espressione del volto della persona umana e della sua dignità. Aver ricevuto la vita in dono e poter ringraziare l’Autore della vita sono i primi due diritti umani. Ciò non significa collocare gli altri diritti a un livello inferiore, anzi, tutti i diritti umani vengono con ciò innalzati indivisibilmente a essere espressione di una dignità ricevuta per amore e non prodotta da tecniche umane. Il discorso può essere anche rovesciato. Si constata che quando viene meno il riconoscimento del diritto alla vita e alla libertà religiosa anche il rispetto per gli altri diritti vacilla.
Tutti i diritti dell’uomo si sostengono insieme, “simul stabunt, simul cadent”, ma anche le loro violazioni, purtroppo, si sostengono insieme. Il principio della indivisibilità vale sia nel bene sia nel male. La Chiesa afferma che le ragioni di chi lotta per il diritto alla vita e alla libertà religiosa devono allargarsi fino a comprendere anche tutti gli altri diritti e afferma che chi è sensibile a qualche altro diritto non può disinteressarsi di quello alla vita né del diritto alla libertà religiosa. Non possiamo dividere tra loro i diritti umani, scegliere ideologicamente quale preferire, oppure attribuire all’uno o all’altro delle connotazioni politiche.
Nei discorsi pronunciati all’ONU che ho brevemente ricordato, Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno precisato che il motivo ultimo e fondamentale per il quale la Chiesa ha a cuore i diritti umani è di ordine etico-religioso e riguarda la sua stessa missione. Nella comunità internazionale la Chiesa così esprime in modo ancor più multiforme il proprio contributo alla promozione e al rispetto dei diritti umani.
Come ha ribadito Benedetto XVI domenica scorsa, «Per le popolazioni sfinite dalla miseria e dalla fame, per le schiere dei profughi, per quanti patiscono gravi e sistematiche violazioni dei loro diritti, la Chiesa si pone come sentinella sul monte alto della fede e annuncia: “Ecco il vostro Dio! Ecco il Signore Dio viene con potenza” (Is 40,11)».
Per il credente, e per quanti ripongono la loro fede nella dignità umana, la piena tutela dei diritti non può che coincidere con un modello di vita e di ordine sociale in cui si realizza l’attesa di quei nuovi cieli e quella terra nuova nei quali trova stabile dimora la giustizia (Cfr. 2 Pt 3, 13). E’ questo il nostro comune augurio.