Mons. Marchetto: l'accoglienza, chiave del turismo religioso

Interviene a un Master presso l’Università di Tor Vergata di Roma

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di Roberta Sciamplicotti

ROMA, venerdì, 5 dicembre 2008 (ZENIT.org).- Di fronte al fenomeno sempre più diffuso del turismo, la Chiesa deve dare un’adeguata risposta pastorale basata soprattutto sull’accoglienza di chi viaggia, ha affermato questo giovedì l’Arcivescovo Agostino Marchetto, Segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti.

Il presule è intervenuto nel contesto del Master in Economia e Management delle attività turistiche e culturali dell’Università di Tor Vergata di Roma pronunciando una conferenza sul tema “La Chiesa e il turismo religioso”.

Il turismo, ha spiegato, “non si può considerare una realtà isolata e indipendente dalle condizioni generali in cui si sviluppa la società”, ma una questione”trasversale e globale, che tocca vari ambiti e influenza diversi settori”, dalle costruzioni al trasporto, dal commercio all’intrattenimento e alla cultura.

“Un fenomeno di questa portata non poteva non suscitare l’attenzione pastorale della Chiesa e del suo Magistero”, ha riconosciuto, sottolineando che da ciò deriva la “pastorale del turismo”, fondata principalmente sull’accoglienza.

“È stato calcolato che in media un visitatore rimane 6 minuti in una chiesa: un tempo breve, di passaggio, quasi fuggitivo, ma che ugualmente – credo – lascerà un segno, più o meno profondo, secondo anche l’accoglienza che riceverà”, ha osservato.

“È per questo che l’ospitalità curata e preparata è uno degli aspetti più delicati e necessari della pastorale del turismo religioso”.

Secondo il presule, l’accoglienza “umanamente cordiale” al turista che visita un luogo religioso deve includere “l’offerta di una chiave di lettura della spiritualità del luogo e dell’evento appunto religioso che ha ispirato l’artista di un’opera d’arte o il costruttore di un edificio sacro”.

“Per alcuni che non hanno mai sentito parlare di Dio, è forse un primo contatto con la religione”, ha ricordato.

Per questo motivo, l’obiettivo non deve essere “semplicemente quello di far ammirare un pezzo di marmo ben scolpito”, “ma anche di aprire una pista che, pur rispettando la libertà di ciascuno, faccia trovare il senso religioso che l’opera esprime, cioè finalmente il mistero della morte e resurrezione di Gesù, che sta al centro della storia della salvezza”.

L’accoglienza dei turisti religiosi deve dunque essere fatta da “persone fortemente e umanamente motivate, e con sufficienti conoscenze religiose, storiche e artistiche, il che potrà essere completato poi da concerti, mostre, conferenze e visite guidate, supportate soprattutto da materiale informativo storico e culturale”.

Particolarmente importante è infatti la “comprensione” dei luoghi religiosi visitati, “giacché da essi emergono i valori di una società o di un credo che stimolano almeno la curiosità e portano forse alla riflessione”.

L’Arcivescovo ha quindi sottolineato altri aspetti rilevanti del turismo, come il ruolo che può svolgere “anche nel dialogo tra culture, religioni e civiltà” e la necessità che sia “sostenibile”, per poter soddisfare equamente i bisogni e le aspirazioni “non solo delle generazioni presenti ma anche di quelle future”.

Allo stesso modo, il presule si è fatto “portavoce dell’accorata invocazione che ci giunge di frequente da tanti fratelli e sorelle che vivono in Paesi dove non possono svolgere, come vorrebbero, il loro servizio pastorale o si trovano in situazione di estrema difficoltà a causa dell’intolleranza religiosa, sfociata recentemente anche in violenti fatti di sangue”.

“Essi ci chiedono implicitamente di visitarli per sostenere le loro comunità di fede”, ha sottolineato, ricordando che “in alcuni dei loro luoghi di culto sono custodite memorie della nascita e diffusione del Cristianesimo”.

Un’attenzione particolare è stata dedicata dal Segretario del dicastero vaticano ai monasteri, “luoghi di pace e serenità in cui riposare e ricaricarsi, spazi inusuali in cui trascorrere una vacanza nella quiete, scandita dal tempo lento della meditazione e dalla semplicità della vita religiosa”.

“Lontani dallo stress cittadino, dall’informazione martellante, dalla corsa frenetica al guadagno o dal correre ai ripari per la crisi finanziaria attuale”, ha osservato, i monasteri – “situati in genere in luoghi di grande fascino naturale e ricchi di opere d’arte” – “sono vere oasi per lo spirito e quindi anche per il corpo (siamo un’unità sostanziale), luoghi dove entrare in contatto con l’Assoluto”.

Monsignor Marchetto ha infine ricordato la nuova primavera che sta vivendo il pellegrinaggio, “cammino di fede, di penitenza, di conversione e di preghiera” che rappresenta un'”espressione comune a tutte le grandi religioni”.

Negli ultimi 30 anni, ha constatato, il pellegrinaggio “ha trovato una nuova vita e un significativo incremento, influenzato anche, dalla seconda metà del XX secolo, dai numerosi viaggi apostolici dei Pontefici Romani che hanno incluso visite ai santuari”.

“In questo itinerario religioso – ha concluso – è necessario uscire da se stessi, dalla routine delle abitudini, per incamminarsi verso l’orizzonte indicato dal Signore, come fece Abramo, nostro Padre nella fede”.

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ZENIT Staff

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