Riscoprire ciò che è giusto nella liturgia

Intervista al rev. prof. Massimo del Pozzo

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ROMA, mercoledì, 3 dicembre 2008 (ZENIT.org).- L’aspetto giuridico è intrinseco al culto cristiano e può contribuire a cogliere la pienezza e la chiarezza del bene liturgico. È la tesi di fondo del libro La dimensione giuridica della liturgia. Saggi su ciò che è giusto nella celebrazione del mistero pasquale (Giuffrè Editore, Milano 2008), recentemente apparso nella collana delle monografie giuridiche della Pontificia Università della Santa Croce (PUSC). 

ZENIT ha intervistato l’autore, il rev. prof. Massimo del Pozzo, docente di Profili giuridici della liturgia della Chiesa presso la PUSC, per fare il punto sul delicato rapporto tra scienza liturgica e canonica.

L’incarico di docenza, da cui è nata la raccolta di saggi ed una serie di ulteriori pubblicazioni, ha motivato uno specifico interesse per le questioni epistemologiche trattate. 

Parlare di una dimensione giuridica “intrinseca” alla liturgia non significa riproporre un’istanza giuridicista ormai superata? 

Massimo del Pozzo: Il giuridismo è un’esperienza del passato che ha comportato un evidente riduzionismo ecclesiologico, liturgico e giuridico al contempo. La coscienza dei limiti e delle insufficienze di quell’impostazione però può servire ad evitare gli stessi errori. Anche un andamento sbilanciato e altalenante che da un estremo (troppo diritto) passa a quello opposto (assenza di diritto) d’altro canto conduce ugualmente ad esiti assai negativi. Le malintese conseguenze dell’antigiuridismo sono sotto gli occhi di tutti e sono state denunziate anche dal Papa. Il problema in definitiva non è quantitativo ma eminentemente qualitativo: il vero nemico della liturgia non è il diritto ma il “cattivo diritto”. Come già rilevava Bouyer: «il giuridismo non è il diritto, è la sua caricatura (…) il diritto correttamente compreso, è la giustizia applicata alle situazioni concrete». 

In che cosa consisterebbe, dunque, il buon diritto liturgico? 

Massimo del Pozzo: Proprio per evitare equivoci preferisco parlare di dimensione giuridica della realtà liturgica anziché di “diritto liturgico”. La definizione della relativa disciplina (abbastanza diffusa) come complesso delle leggi o delle norme che regolano la liturgia appare infatti insufficiente e sminuente. Il giurista non studia primariamente le leggi ma la realtà sub specie iusti. La dimensione giuridica della liturgia ecclesiale costituisce pertanto lo specifico dover essere connesso alla natura della celebrazione del mistero pasquale. Il profilo di giustizia è quindi parte integrante dello splendor liturgiae. D’altronde la stessa Sacrosanctum concilium invita a insegnare la sacra liturgia sia sotto l’aspetto teologico che sotto quello storico, spirituale, pastorale e giuridico (n. 16). Il diritto concorre quindi a percepire e penetrare l’insondabile ricchezza del dato. Purtroppo l’illuminante indicazione conciliare non ha avuto finora troppo seguito. 

Tra i liturgisti però il fattore giuridico è visto spesso con diffidenza e con sospetto, quale pensa sia la ragione? Intravede vie di soluzione a questa frequente incomprensione? 

Massimo del Pozzo: La comunicazione interdisciplinare appare come un’esigenza imprescindibile per avvicinare sensibilità diverse ed evitare una sorta di “dialogo tra sordi”. Il giurista frequentemente trascura la radice sacramentale del diritto canonico ed il liturgista ignora che cosa sia realmente il giusto. Superate magari le antiche prevenzioni, resta la sensazione di una sfiducia di fondo. La chiave ermeneutica del realismo canonico mira allora a proporre una visione del fenomeno giuridico completamente diversa rispetto al diritto liturgico di matrice formalistica e normativistica imperante. Lo stesso Benedetto XVI ha ricordato che lo ius ecclesiale non è tanto un insieme di norme quanto un complesso di realtà giuridiche: doveri e diritti che si fondano sui sacramenti, nati dall’istituzione di Cristo stesso. 

Venendo al fronte canonistico, accennava anche a un limite nell’impostazione attuale: qual è lo stato della speculazione giusliturgica? 

Massimo del Pozzo: Non parlerei di fronti perché l’espressione dà adito ad una contrapposizione o separazione gnoseologica che bisognerebbe definitivamente superare. La realtà della liturgia è unica anche se può essere vista da prospettive differenti e, nel caso del giurista, in maniera necessariamente settoriale. L’approccio giuridico non ha certo la pretesa di esaurire il “tutto liturgico”, si limita a coglierne solo la doverosità intersoggettiva.

Due mi sembrano i limiti principali della produzione canonistica contemporanea. In primo luogo la scarsa attenzione per il munus sanctificandi. L’invito conciliare a riconsiderare la scienza canonica alla luce del mysterium Ecclesiae (OT 16) esigerebbe una maggior sensibilità per il nucleo stesso della giuridicità canonica. Al poco interesse per la teoria fondamentale, si aggiunge poi una visione, per così dire, legalistica limitata al dato normativo: sembra quasi che senza il codice il giurista si perda… La povertà e la debolezza della concezione offerta dagli specialisti non aiuta certo il dialogo e la comprensione reciproca. 

Che cosa intende per una “purificazione delle memorie” come presupposto per una riconciliazione tra scienza liturgica e giuridica? 

Massimo del Pozzo: Un’autentica e duratura riconciliazione è possibile solo nel ristabilimento critico congiunto della verità storica. Inoltre più che esaltare i momenti di rottura e di contrasto bisognerebbe evidenziare i tantissimi punti di contatto e di convergenza. Mi sembra viceversa fuorviante e banalizzante supporre quasi un nesso di causalità tra l’ascesa della scienza canonica e il declino o l’eclissi dello spirito liturgico: la storia va letta probabilmente con più profondità e rispetto. Se è innegabile un comune riduzionismo ecclesiologico nell’epoca moderna non si può nascondere peraltro l’estrema perniciosità dell’agiuridismo postconciliare. Ricordare il passato remoto e dimenticare il passato prossimo è un preoccupante sintomo di senescenza. Senza eccessive e improprie idealizzazioni, la felice esperienza del primo millennio cristiano dimostra chiaramente la possibilità dell’armonica integrazione dell’aspetto dottrinale, cultuale e giuridico. Riscoprire ciò che è giusto nella liturgia è quindi un punto d’arrivo o, piuttosto, di ripartenza della sinergia diritto-liturgia. 

Nell’ultimo saggio affronta lo spinoso problema degli abusi liturgici, quali tendenze si sono registrate negli ultimi anni? 

Massimo del Pozzo: La maggior serenità e obiettività con cui si parla della creatività anarchica e della sperimentazione gratuita nel postconcilio è già un dato incoraggiante. Gli abusi liturgici non sono però un ricordo del passato ma una minaccia sempre incombente e purtroppo abbastanza diffusa. Basti pensare anche all’analiticità e minuziosità della descrizione contenuta nell’istr. Redemptionis sacramentum. La gravità dell’attentato all’autenticità del culto ecclesiale inoltre non risiede tanto in episodi eclatanti quanto nella capillarità delle più minute deviazioni dalla correttezza celebrativa: si tratta delle piccole volpi che distruggono la vigna. Il passaggio dalla logica della tolleranza e della limitazione del danno alla cultura della promozione e del ripristino della giustizia ecclesiale è una svolta molto significativa. Accrescere la formazione liturgica dei fedeli e quella giuridica dei pastori mi pare possa rappresentare un’ulteriore meta del cammino del popolo di Dio in preghiera.

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ZENIT Staff

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