Ill.mo Signor Procuratore Generale,
Appresa dalla stampa la disponibilità di un collega neurologo a interrompere l’idratazione e la nutrizione assistita con cui è alimentata e mantenuta in vita Eluana Englaro, i sottoscritti neurologi operanti nelle Università e negli Ospedali del Servizio Sanitario Nazionale esprimono una posizione fortemente alternativa alla decisione del collega ed alle sentenze della Corte di Cassazione e della Corte di Appello di Milano che lo autorizzerebbero all’interruzione della alimentazione, con conseguente inevitabile morte della paziente.
Sentono inoltre il dovere di riaffermare alcune fondamentali evidenze scientifiche ed etiche, senza le quali il vivere civile, l’organizzazione sociale e la nostra professione corrono il rischio di allarmanti derive.
Il paziente in stato vegetativo non necessita di alcuna macchina per continuare a vivere, non è attaccato ad alcuna spina.
Non è un malato in coma, né un malato terminale, ma un grave disabile che richiede solo un’accurata assistenza di base, analogamente a quanto avviene in molte altre situazioni di lesioni gravi di alcune parti del cervello che limitano la capacità di comunicazione e di auto-sostentamento.
La nutrizione e l’idratazione del paziente, per quanto assistite, non sono assimilabili a una terapia medica, ma costituiscono da sempre gli elementi fondamentali dell’assistenza, proprio perché indispensabili per ogni persona umana, sana o malata. La cannula attraverso cui la nutrizione viene fornita non altera tale elementare verità, essendo al massimo assimilabile ad una protesi o ad un ausilio.
La stessa Corte di Cassazione, nella sua sentenza, riconosce che l’alimentazione assistita “non costituisce oggettivamente una forma di accanimento terapeutico e che rappresenta, piuttosto, un presidio proporzionato al mantenimento del soffio vitale…”. La nutrizione e l’idratazione assistite, infatti, possono essere praticate nelle persone che lo necessitano senza causare sofferenza o violenza alcuna e senza addirittura interferire con l’eventuale attività lavorativa. Queste persone sono decine e decine di migliaia (centinaia di volte di più dei Pazienti in stato simile a quello della Sig.ra Englaro che in Italia si stimano essere circa 1500) e per una parte la loro incapacità a nutrirsi è anche associata ad un deficit cerebrale marcato che non le differenzia molto dallo stato di Eluana.
Ci chiediamo cosa faremo con tutte loro e su che base sarà possibile scegliere. Dobbiamo lo Stato, la Comunità, i Medici, eliminarle tutte?
Dal punto di vista antropologico, inoltre, desideriamo ribadire che il paziente in stato vegetativo non è un vegetale, ma una persona umana. Come la stessa Cassazione riconosce, “chi versa in stato vegetativo permanente è, a tutti gli effetti, persona in senso pieno, che deve essere rispettata e tutelata nei suoi diritti fondamentali, a partire dal diritto alla vita e dal diritto alle prestazioni sanitarie, a maggior ragione perché in condizioni di estrema debolezza e non in grado di provvedervi autonomamente”.
Proprio per questo, afferma la Cassazione, la persona in stato vegetativo ha in campo sanitario gli stessi diritti degli altri cittadini (diritti che per la Englaro sono stati rispettati, facendole trascorrere questi anni curata ed assistita amorevolmente in un centro specializzato) e “la tragicità estrema di tale stato patologico – … che nulla toglie alla sua dignità di essere umano – non giustifica in alcun modo un affievolimento delle cure e del sostegno solidale, … a prescindere da quanto la vita sia precaria e da quanta speranza vi sia di recuperare le funzioni cognitive”.
Dal punto di vista neurologico, il paziente in stato vegetativo non è in morte cerebrale, perché il suo cervello, in maniera più o meno imperfetta, non ha mai smesso di funzionare, respira spontaneamente, continua a produrre ormoni che regolano molte delle sue funzioni, digerisce, assimila i nutrienti.
Non è neanche in coma, perché ha un ciclo relativamente conservato di veglia e di sonno, riesce a muoversi anche se non a camminare o stare in piedi, ed in una qualche misura (a noi ancora ampiamente sconosciuta, ma che le più recenti metodiche di analisi della funzione cerebrale stanno portando alla luce) ha una sua – per quanto grossolana – modalità di percezione.
E’ infatti utile ricordare che studi recenti di imaging funzionale e di neurofisiologia clinica dimostrano con chiarezza che in alcuni di tali pazienti è possibile evocare risposte che testimoniano di una residua possibilità, più o meno elementare, di percepire impulsi dall’ambiente con susseguente analisi e discriminazione delle informazioni. In ogni caso, allo stato attuale delle conoscenze, le esatte basi anatomiche e fisiologiche della coscienza non sono conosciute, mentre sono sempre maggiori le evidenze che collocano i processi della coscienza anche in sedi del sistema nervoso centrale diverse dalla corteccia cerebrale (principale sede di danno nello stato vegetativo). Non vi è certezza assoluta neanche sul fatto che il paziente in stato vegetativo non possa provare qualche forma di sofferenza e la stessa sentenza dei giudici di Milano si preoccupa che alla Englaro vengano somministrati sedativi durante il processo di morte per disidratazione.
Pur essendo le possibilità di recupero sempre minori con il passare del tempo dall’insulto cerebrale, oggi il concetto di stato vegetativo permanente è da considerarsi superato e sono documentati casi, benché molto rari, di recupero parziale di contatto con il mondo esterno anche a lunghissima distanza di tempo. E’ pertanto assurdo poter parlare di certezza di irreversibilità.
Sulla base di queste considerazioni, riteniamo che la sentenza sul caso Englaro non rappresenti un intervento per por fine ad un accanimento terapeutico o a pratiche assistenziali improprie, ma il tentativo di far entrare per vie giudiziarie nella nostra legislazione il potere assoluto di autodeterminazione da parte del paziente o – in questo caso – di chi lo rappresenta o crede di rappresentarlo, fino alla scelta della morte, se la vita viene ritenuta indegna di essere vissuta.
Riteniamo ancor più inaccettabile che la volontà di terzi (fossero anche i genitori) possa sostituirsi, interpretandola, alla volontà del paziente, innescando il rischio, in simili casi, di pratiche discriminatorie basate sulla percezione esterna della qualità della vita altrui.
Per quanto riguarda la nostra professione, riteniamo che in tale contesto, il rapporto medico-paziente è ridotto a mero contratto ed il medico a prestatore d’opera tecnicamente qualificata, intesa, nel caso specifico, ad affrettare la morte del paziente, contravvenendo ai fondamenti della professione medica e le regole basilari della società civile.
Siamo anche molto preoccupati che le considerazioni della magistratura sulla possibilità di por fine ai pazienti in stato vegetativo come Eluana Englaro possano finire per estendersi ad altre categorie di pazienti neurologici, come i dementi o i cerebropatici gravi che, in fase avanzata di malattia, possono trovarsi in condizioni cliniche non dissimili da quelle dei pazienti in stato vegetativo.
Infine, riteniamo disumano il modo proposto di mettere a morte la paziente, attraverso il digiuno e la sete, in una lenta agonia che porterà alla morte attraverso la lenta devastazione di tutto l’organismo.
Per tutti questi motivi, Signor Procuratore Generale, le chiediamo un intervento urgente che blocchi, prima che sia troppo tardi, l’esecuzione di quella che sempre più appare come una sentenza di condanna a morte.
A nome e per conto degli aderenti sottoelencati, confidando nella sua attenzione, le porgo i più distinti saluti e ossequi
Prof. Gian Luigi Gigli
329-7506275
Sergio Barbieri
Direttore
Neurofisiopatologia, Ospedale Maggiore, Milano
Professore Associato di Neurologia, Università di Milano
Paolo Bergonzi
Professore Ordinario di Neurologia, Università di Udine
Dario Caldiroli
Direttore Neuro-Anestesia e Rianimazione, Istituto Neurologico Besta, Milano
Massimo Camerlingo
Direttore Neurologia, Zingonia-Osio Sotto (BG)
Antonio Carolei
Professore Ordinario di Neurologia, Università dell’Aquila
Gerardo Ciardo
Direttore Neurologia e Riabilitazione, Ospedale di Tricase (LE)
Giancarlo Comi
Professore Ordinario di Neurologia, Universit Vita e Salute, Milano
Domenico Consoli
Direttore Neurologia, Ospedale di Vibo Valentia
Erminio Costanzo
Direttore Neurologia, Azienda Ospedaliera “Cannizzaro”, Catania
Giuliano Dolce
Direttore Scientifico, Istituto Sant’Anna, Crotone
Gian Luigi Gigli
Professore Straordinario di Neurologia, Università di Udine
Mario Guidotti
Direttore Neurologia, Ospedale Valduce, Como
Nicola Latronico
Direttore Neuroanestesia e Neurorianimazione Azienda Ospedaliera Spedali Civili di Brescia
Professore Associato di Anestesia e Rianimazione Università di Brescia
Matilde Leonardi
Coordinatore Progetto Nazionale Funzionamento Disabilit e Stato Vegetativo, Istituto Neurologico Besta, Milano
Maria Grazia Marciani
Professore Ordinario di Neurologia, Università di Roma “Tor Vergata”
Anna Mazzucchi
Direttore, IRCCS Fondazione Don Gnocchi, sede di Parma
Arrigo Moglia
Professore Ordinario di Neurologia
Direttore del Dipartimento di Scienze Neurologiche dell’Università di Pavia
Alessandro Padovani
Professore Ordinario di Neurologia, Università di Brescia
Aldo Ragazzoni
Dirigente Neurologo Azienda Sanitaria di Firenze
Professore a contratto, Clinica Neurologica, Università di Firenze
Paolo Rossini
Professore Ordinario di Neurologia, Università “Campus Bio-Medico”, Roma
Walter Sannita
Professore Associato di Neurologia, Università di Genova
Roberto Sterzi
Direttore Neurologia, Ospedale Niguarda, Milano
Danilo Toni
Direttore Unità Terapia Neurovascolare
Università di Roma “La Sapienza”
Emilio Ubiali
Direttore Neurofisiopatologia, Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti di Bergamo
Davide Zarcone
Direttore Neurologia, Azienda Ospedaliera di Gallarate