"Josef Mayr-Nusser, obiettore di coscienza e martire"

Articolo di padre Piersandro Vanzan, S.I., su “La Civiltà Cattolica”

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ROMA, sabato, 26 luglio 2008 (ZENIT.org).- Presentiamo l’articolo sul tema “Josef Mayr-Nusser, obiettore di coscienza e martire”, di padre Piersandro Vanzan S.I., pubblicato dalla rivista “La Civiltà Cattolica” nel numero 13 del 2008.

 

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JOSEF MAYR-NUSSER,

OBIETTORE DI COSCIENZA E MARTIRE

PIERSANDRO VANZAN S.I.

Il bolzanino Josef Mayr-Nusser era un semplice impiegato, padre di famiglia e cristiano fervente, il quale, durante gli anni della seconda guerra mondiale, quando i nazisti pretesero che giurasse fedeltà a Hitler, oppose un categorico no per restare fedele all’ideale che da sempre portava nel cuore: dare testimonianza al Vangelo (1). E fino alla morte volle dimostrare soprattutto a quanti rimanevano passivi o eseguivano acriticamente gli ordini, narcotizzando le proprie coscienze, la possibilità di scegliere Cristo e la bellezza di seguire il Vangelo anziché la follia nazista. Di fatto Josef morì il 20 febbraio 1945, nel carro bestiame di un treno che lo trasportava a Dachau.

Ci sono voluti molti anni perché quella storia uscisse dall’oblio, e la sua memoria inducesse la Chiesa a promuoverne la causa di beatificazione. Quello del bolzanino Josef Mayr-Nusser non è un caso raro. Molti altri cristiani, in luoghi e tempi diversi, con la stessa motivazione, fecero prevalere le ragioni del Vangelo su quelle della cieca obbedienza a Hitler (2), ma pochi hanno ricevuto sinora adeguato riconoscimento dalla Chiesa. Tra i pochi spicca Franz Jägerstätter, il contadino austriaco beatificato il 26 ottobre 2007.

Franz fu ghigliottinato perché, in nome dell’obbedienza a Cristo, si rifiutò di prestare servizio militare agli ordini di Hitler. E prima di morire vergò un testo che brilla nelle tenebre di quel periodo: Scrivo con le mani legate, ma meglio così che se fosse incatenata la volontà. Talvolta Dio ci mostra apertamente la sua forza, che egli dona agli uomini che lo amano e non preferiscono la terra al cielo. Né il carcere, né le catene e neppure la morte possono separare un uomo dall’amore di Dio e rubargli la sua libera volontà. La potenza di Dio è invincibile (3). Analoga fu la vicenda del martire Josef Mayr-Nusser e perciò anche di lui ora è stata avviata la causa di beatificazione (4).

Josef Mayr-Nusser, dirigente dell’Azione Cattolica

Nato a Bolzano il 27 dicembre 1910, da una famiglia di viticoltori profondamente religiosa e fortemente ancorata alle tradizioni, Josef Mayr-Nusser era il quarto di sette figli. Durante la guerra del 1915-18 perse il padre che, arruolato nell’esercito austro-ungarico, morì di colera. La situazione familiare lo costrinse a lasciare presto gli studi e a cercare un lavoro. Dopo varie esperienze, nel 1928 divenne cassiere presso l’impresa tessile Eccel, sempre a Bolzano. Richiamato alle armi nel 1931 dall’esercito italiano, trascorse 18 mesi nell’artiglieria di montagna, prima in Piemonte e poi in Sardegna. Congedato, riprese subito il lavoro alla Eccel e, proprio qui, conobbe Hildegard Straub, una segretaria con qualche anno più di lui, con la quale non solo frequentava i gruppi di Azione Cattolica (Ac) di Bolzano, ma intraprese anche un rapporto che diventò sempre più profondo grazie ai comuni interessi per le questioni di fede, di morale e, non da ultimo, per reagire all’inquietante ondata nazifascista che stava investendo l’Europa.

Fin dal 1933 Josef si era iscritto al neonato gruppo giovanile dell’Ac bolzanina, fondato da don Friedrich Pfister (5) e, nonostante l’indole taciturna, l’anno successivo fu eletto presidente della sezione maschile dei giovani di Ac per la parte tedesca dell’arcidiocesi di Trento, grazie alla sua preparazione e alla profondità dei suoi interventi, che richiamavano con forza alla testimonianza. Nella lettera circolare del giugno 1934, inviata ai gruppi parrocchiali di Ac per ringraziarli della fiducia che gli avevano espressa, scriveva: L’organizzazione è necessaria, sì, più necessaria che mai in un periodo in cui il pensiero e l’operato del cattolicesimo sono gravemente minacciati da diversi internazionalismi come il liberismo, il bolscevismo, il capitalismo, l’imperialismo e così via, comunque essi si chiamino, quelle potenze delle tenebre che rifiutano di riconoscere valori più alti e sono volti totalmente alla vita terrena (6). E per andare incontro alle richieste di quei giovani che esigevano un cristianesimo più vivo e rispondente alle sfide dei tempi, intraprendeva una stretta collaborazione con don Josef Ferrari, il nuovo assistente spirituale dell’Ac, per tenere viva l’attenzione delle coscienze sui principali temi di attualità.

I due organizzavano incontri e dibattiti sulle questioni sociopolitiche del tempo e l’avanzare dei regimi autoritari in Europa – comunismo, fascismo, nazismo -, richiamando l’attenzione dei partecipanti sulla violenza intrinseca a quei regimi e sulla pericolosa idea che a una sola razza, quella ariana, spettasse il compito di reggere il mondo. Durante la Pentecoste del 1936, sicuro che il mito hitleriano nascondesse, dietro la cultura dell’unità, una fatale violenza, Josef tenne un discorso al convegno di formazione per i giovani dirigenti di Ac, nel quale, dopo aver esaminato il tema della leadership, denunciava, con evidenti riferimenti a Hitler, la dedizione cieca e assoluta verso un leader e sollecitava tutti a lasciarsi guidare unicamente da Cristo, nell’ascolto orante del Vangelo.

Con impressionante lungimiranza affermava: Dopo tutto il caos dei primi anni postbellici nella politica, nell’economia e nella cultura, vediamo oggi con quanto entusiasmo, anzi, spesso con dedizione cieca, passionale e incondizionata, le masse si votano ai leader. Ci tocca assistere a un culto del leader che rasenta l’idolatria. […] Senza dubbio possiamo considerarlo un sintomo che indica che ci avviciniamo a capovolgimenti di enormi dimensioni. E con l’usuale spirito combattivo domandava ai presenti: Siamo noi giovani cattolici in grado di distinguere correttamente questi segni di una nuova epoca? Siamo in grado di cogliere, per così dire, l’opportunità che oggi si offre al cattolicesimo? Più che mai nell’Ac di oggi è necessaria una cattolicità pratica, vissuta. Oggi si tratta di indicare di nuovo alle masse la guida che sola ha diritto al dominio e alla leadership illimitata: Cristo, il nostro “condottiero”. Non conta il successo esterno, perché, continuava, lo Spirito di Dio agisce di nascosto e avremo raggiunto molto se la nostra parola e il nostro esempio porteranno l’una e l’altro nella nostra sfera di azione un più vivo coinvolgimento nella fede. Quel che conta davanti a Dio non è il nostro successo esterno, che dipende tutto dalla sua grazia, ma la nostra volontà pura e giusta, se riusciamo a mantenerla nonostante tutti gli insuccessi (7).

Fondamenti dell’opposizione al male

Josef sentiva che qualcosa di terribile stava accadendo in Europa e, per questo, volle assumersi l’arduo impegno di scuotere le coscienze. “Forse è l’ultima volta che il Signore ci invita alla conversione, rendendo vane tutte le nostre speranze in un aiuto terreno. Respingerà il nostro popolo anche questa volta la mano piena di grazia dell’Onnipotente? Resterà esso ancora indurito e si chiuder di fronte alla Grazia?”, scriveva su Il Segno, settimanale della diocesi di Bolzano, per spingere i cattolici a schierarsi e a uscire dallo stato di torpore in cui erano caduti, per opporsi al dilagare dell’ideologia nazista, che per lui era del tutto opposta al Vangelo (8). Proprio in quegli anni cominciò a leggere sia Tommaso Moro, in particolare le lettere dal carcere scritte dopo essere stato condannato a morte per aver scelto di obbedire a Dio, anziché a Enrico VIII, il sovrano che voleva assumere il controllo della Chiesa inglese , sia Tommaso d’Aquino e la sua concezione cristiana del mondo, sia Francesco d’Assisi, che divenne l’ispiratore della sua attività a favore dei poveri all’interno della Conferenza di San Vincenzo
(9) ai Piani di Bolzano, della quale nel 1937 assumeva la presidenza.

Per Josef, la testimonianza informava ogni aspetto della vita: egli riteneva che soltanto attraverso una testimonianza concreta fosse possibile stemperare i conflitti, ridurre le tenebre e incrementare lo splendore della verità. Così, mentre Hitler predicava l’odio razziale e l’eliminazione dei deboli, Mayr-Nusser in un articolo pubblicato il 15 gennaio 1938 su Jugendwacht, periodico della Gioventù Cattolica sudtirolese, parlando di san Giovanni Battista affermava: “Era chiamato a dare testimonianza della luce”. Si trovava fra due mondi: da una parte il mondo avviato al disfacimento, o meglio, al compimento dell’Antico Testamento, dall’altra l’inizio della nuova era cominciata con Cristo, la soglia del Nuovo Testamento. “Era chiamato a dare testimonianza della luce”. Poche parole. Quale compito! Testimoniare la luce, annunciare Cristo al mondo. Un’impresa che richiede coraggio. Intorno a lui il buio, orecchie sorde e tuttavia doveva dare testimonianza. “La testimonianza è allo stesso tempo il nostro compito e la nostra arma. […] Intorno a noi c’ il buio: il buio della miscredenza, dell’indifferenza, del disprezzo, forse della persecuzione. Ciononostante dobbiamo dare testimonianza e superare questo buio con la luce di Cristo, anche se non ci ascoltano, anche se ci ignorano. Dare testimonianza oggi la nostra unica arma efficace”.

E concludeva: “E’ un fatto insolito. Né la spada, né la forza, né finanze, né capacità intellettuali, niente di tutto ciò è posto come condizione imprescindibile per erigere il regno di Cristo sulla terra. E’ una cosa ben più modesta e allo stesso tempo ben più importante che il Signore ci richiede: dare testimonianza”. Concetti ribaditi nella lettera alla Conferenza di San Vincenzo dello stesso anno: “Né denaro, né influenza, né cultura, né prestigio possono essere determinanti in una comunità che è una comunità di confratelli e per la quale vale una sola legge: quella dell’amore. […] Se il Salvatore stesso, l’Infinito, si chinato verso la nostra piccolezza, anzi ha fatto di noi i suoi fratelli, dovrebbe essere un dovere scontato per tutti noi servire i nostri fratelli in Cristo pieni d’amore (10).

La solidarietà verso il prossimo e la responsabilità del singolo di fronte alle minacce che si andavano prospettando nell’imminente futuro divennero per Josef l’obiettivo da raggiungere, ma anche la coscientizzazione da promuovere, per contrastare l’ondata di odio e di violenza che in quel periodo travolgeva l’Italia e specialmente il Sud Tirolo. Fin dal 1930, infatti, la popolazione di quella regione si era trovata tra due fuochi: da un lato la paura di un’assimilazione forzata all’Italia a motivo della politica di italianizzazione messa in atto dal fascismo (11), e dall’altro la suggestione di potersi liberare aderendo alla Grande Germania proclamata da Hitler. A risolvere il dilemma giunse l’intesa tra Hitler e Mussolini (23 giugno 1939), che prevedeva l’opzione. Ossia, i cittadini tedeschi ed ex-austriaci considerati tedeschi etnici (Volksdeutsche), che abitavano nel Sud Tirolo (12), potevano rientrare nel Reich entro il 31 dicembre 1942 o scegliere di rimanere nelle proprie terre.

Conseguenza: nonostante la propaganda fascista, il 69,4% dei cittadini scelse la Germania, l’11,9% l’Italia e il 18,7% rifiutò di dichiararsi (13). Tra questi ultimi – i cosiddetti non optanti – c’era Josef, il quale, ai primi del 1940, era entrato nell’associazione clandestina Andreas-Hofer-Bund, che si opponeva tanto alle ragioni pro-opzione, quanto all’ideologia nazista e fascista. E quando il flusso di sudtirolesi verso il Reich raggiunse quota 56.800, insieme ai militanti dell’Andreas-Hofer-Bund Josef andò di casa in casa per dissuadere quanti erano ancora indecisi se aderire alla follia di Hitler. Sicuro che optare non significasse risollevarsi, ma cadere ancora più in basso, egli cercò di far comprendere ai sudtirolesi il male nascosto tra le pieghe del sistema nazionalsocialista.

Le sue argomentazioni erano coraggiose e ineccepibili: Optare significa abbandonarsi alle tenebre, perdere la luce di Cristo, sostituire l’orizzonte della vita, della pace, della santità, con la follia distruttiva dell’impero. Ogni singolo uomo che oltrepassa il confine diventa un numero nelle mani del Führer, questo idolo terribile capace di sacrificare le masse per perseguire un fine preciso: impossessarsi del mondo e poter dire “è mio”. “Questo enorme potere della violenza in forte contrasto con il cristianesimo, come non capirlo!” (14). Le sue parole, come quelle degli altri membri dell’associazione, non rimasero inascoltate e, dopo il 1940, il numero degli optanti cominci a diminuire, anche per le notizie negative che giungevano da quanti si erano trasferiti in Germania, sicché alla fine i cittadini che lasciarono il Sud Tirolo furono 78.000.

Sulla strada di Dachau per amore di Cristo

Nel 1941 Josef veniva assunto dalla Ammon, una delle più importanti imprese di Bolzano, sempre con la mansione di cassiere, e nel maggio 1942 sposava Hildegard, l’amica di vecchia data che in quegli anni gli era rimasta sempre a fianco. Da quella felice unione il 1 agosto 1943, nel pieno della guerra, nasceva il figlio Albert. Purtroppo la situazione dell’Italia, dopo la caduta di Mussolini, andava peggiorando di giorno in giorno, finché, dopo l’armistizio dell’8 settembre, avvenne l’occupazione del centro-nord da parte dell’esercito tedesco. Il 10 settembre Hitler istituiva la Zona di Operazioni Prealpi che comprendeva il Sud Tirolo, il Trentino e il Bellunese sotto la guida del Gauleiter Franz Hofer. La maggioranza di lingua tedesca guardò con favore quella che a prima vista sembrava una liberazione dall’oppressione fascista, ma Josef, consapevole del peggio e non potendo accettare l’occupazione nazista, intensificò la sua presenza nell’Andreas-Hofer-Bund, senza però partecipare alle operazioni militari del gruppo, che nel frattempo si era alleato con i gruppi armati della resistenza partigiana e con le missioni degli Alleati in Svizzera.

Intanto l’esercito tedesco, indebolito da anni di combattimenti, aveva bisogno di uomini, e il Führer, nonostante le convenzioni internazionali vietassero alle potenze occupanti di arruolare nel proprio esercito uomini di un Paese occupato (15), impose l’arruolamento forzato a tutti quelli che in precedenza non avevano optato per il trasferimento in Germania. E così Josef, il 5 settembre 1944, si trovò arruolato nelle SS, nonostante fosse un cittadino italiano, e due giorni dopo partiva su un vagone bestiame con le altre reclute alla volta di Könitz, località della Prussia Orientale designata per l’addestramento, dove giunsero dopo quattro giorni di viaggio estenuante. Sistemati in un vecchio manicomio dismesso, cominciarono le tre settimane di addestramento al termine delle quali era previsto il giuramento a Hitler. Sicuro che mai l’avrebbe pronunciato, essendo l’ideologia nazista contraria alla propria coscienza e alla profonda fede in Dio che da sempre l’aveva guidato, il 27 settembre scriveva alla moglie, preparandola alle gravi conseguenze di tale rifiuto: soprattutto al dolore che la sua testimonianza cristiana avrebbe provocato a lei e al figlio.

Sentiva infatti che ormai l’impellenza di tale testimonianza ineluttabile: “due mondi si stanno scontrando. I miei superiori hanno mostrato chiaramente di rifiutare e di odiare quanto per noi cattolici vi è di più sacro e intangibile. Prega per me, Hildegard, affinché nell’ora della prova io agisca senza timori o esitazioni, secondo i dettami di Dio e della mia coscienza. […] Qualsiasi cosa possa avvenire, ora mi sento sollevato, perché so che sei preparata e la tua preghiera mi darà la forza di non fallire nell’ora della prova” (16). Il 4 ottobre, al termine dell’addestramento, quando il maresciallo delle SS spiegava alle reclute il significato del giuramento di fedeltà al regime nazista “Giuro a te, Adolf Hitler Führer e Cancelliere del Reich, fedeltà e coraggio. Prometto
solennemente a te e ai superiori designati da te l’obbedienza fino alla morte. Che Dio mi assista”, Josef alzò la mano e dichiarò ad alta voce: “Signor maresciallo, io non posso giurare fedeltà a Hitler” (17). Il maresciallo, allibito, chiamò il comandante della compagnia e gli fece spiegare il motivo di tale rifiuto, che soltanto altri sei osarono compiere durante il nazifascimo. Mayr-Nusser in quel momento di grande tensione, sapendo che era giunta l’ora della testimonianza, rispose senza esitazione che lo faceva per motivi religiosi. Quindi, posta per iscritto tale decisione, confessava ai compagni spaventati per quel gesto: “Se mai nessuno trova il coraggio di dire loro che non d’accordo con la loro ideologia nazista, allora le cose non cambieranno mai” (18).

Rinchiuso in una piccola cella, il 12 novembre riusciva a scrivere questa struggente lettera alla moglie: “Ciò che mi ha particolarmente riempito di gioia nella tua lettera è quanto scrivi sul nostro amore. Sì, era veramente il primo amore, profondo, autentico. E siccome ti conosco e so che cosa ci unisce più intimamente, sono certo che questo amore reggerà anche alla dura prova rappresentata dal passo impostomi dalla mia coscienza!”. E poi, ricordando la Messa della domenica nella piccola chiesa di St. Johann a Bolzano e i momenti di raccoglimento con gli amici più cari, continuava: “Ma quanto significa ora per me sapere che a casa ci sono uomini buoni e giusti che pregano per me! E’ davvero una grande e profonda consolazione. ‘Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Né fuoco, né spada’! Mai finora ho avvertito così intensamente il significato di queste parole. Oggi, domenica, continuo a pensare come passerei questa giornata a casa con te e il bimbo nostro tesoro e questo ricordo mi riempie di malinconia. Ma la speranza ha un potere consolatorio indicibile e ci fa sopportare con pazienza anche l’insopportabile. Nella lontananza questi ricordi appaiono come immersi in una luce ultraterrena” (19).

Due giorni dopo veniva trasferito nel carcere di Danzica in attesa del processo, e qui le condizioni di vita si presentarono ancora più dure: sia per il poco cibo che trovava nelle razioni giornaliere, sia per il freddo pungente dal quale non riusciva a difendersi. Infine, nel gennaio 1945, giunse la sentenza del tribunale: condanna per disfattismo militare, avendo tentato di sovvertire l’ordine imposto dal regime. Per un tale reato era prevista la condanna a morte, ma le autorità competenti optarono per il trasferimento nel campo di Dachau. Perciò, all’inizio di febbraio Josef si ritrovò con altre 40 persone, accusate dello stesso crimine, sul carro bestiame di un treno che prima di raggiungere definitivamente Dachau, fece sosta nel campo di concentramento di Buchenwald. Rinchiuso per dieci giorni nel cosiddetto campo grande (20), insieme ai prigionieri di guerra russi e ai prigionieri politici, vide l’orrore degli ebrei spinti nelle camere a gas, confermandosi nella sua decisione: l’opporsi alla crudeltà del regime nazista in nome dei principi e dei valori del cristianesimo non solo era la cosa giusta da fare, ma rappresentava l’unico modo per non tradire la propria coscienza lasciando prevalere il male.

Quando il treno ripartì per Dachau le sue condizioni di salute erano gravissime. Debilitato dalla dissenteria e febbricitante, durante il viaggio non smise di leggere il Vangelo e continuò a pregare fino a che ebbe la forza di parlare. Poi, il 20 febbraio, durante una sosta alla stazione di Erlangen, i compagni di prigionia preoccupati per le sue pessime condizioni decisero di rivolgersi alle guardie che, impietosite, lo fecero ricoverare. Ci vollero tre ore di strada a piedi, sorretto dai prigionieri suoi compagni per raggiungere il più vicino ospedale ma, una volta arrivati, il medico nazista lo rimandò indietro affermando che non c’era pericolo di sorta (21).

Quella stessa notte Josef Mayr-Nusser moriva, a 35 anni, stringendo tra le mani il Vangelo, il messale e un rosario (22). Quelle, insieme al coraggio e alla fede, furono le armi della sua battaglia contro la dittatura hitleriana, nata e cresciuta sulle macerie di un mondo che non aveva saputo lottare contro la violenza, il silenzio e la cieca obbedienza. Uomo semplice e insieme autentico cristiano, Josef è uno di quegli obiettori di coscienza italiani che hanno riscattato, col sacrificio della propria vita, tutti gli altri italiani credenti in Dio o semplicemente dotati di morale naturale , che non alzarono il capo e preferirono rassegnarsi alla follia dei totalitarismi.

Perciò anche per lui valgono, esattamente come per Franz Jägerstätter, le parole che questi scrisse durante la sua prigionia: “A noi non resta che questa alternativa: o progredire sempre nel bene, oppure affondare sempre più nel male; impossibile rimanere immobili a lungo. Amiamo i nostri nemici, benediciamo coloro che ci maledicono, preghiamo per coloro che ci perseguitano. L’amore vincer e vivrà per sempre. Fortunati coloro che hanno vissuto nella carità divina e muoiono in essa”. E oggi si avvera quanto disse 60 anni fa, alla Messa esequiale per Josef, il suo amico e guida spirituale don Josef Ferrari: “Quando si scriverà la storia recente dei testimoni della fede e dei martiri sudtirolesi, il nome di Josef apparirà con onore tra i primi” (23).

1 Cfr F. Comina, Non giuro a Hitler. La testimonianza di Josef Mayr-Nusser, Cinisello Balsamo (Mi), San Paolo, 2000, 100.

2 Per conoscere i nomi di quanti, a costo della vita, si opposero al nazismo cfr, fra gli altri, H. Moll (ed.), Testimoni di Cristo. I martiri tedeschi sotto il nazismo, Cinisello Balsamo (Mi), San Paolo, 2007; M. Gilbert, I Giusti. Gli eroi sconosciuti dell’Olocausto, Roma, Città Nuova, 2007; A. Palini, Testimoni della coscienza. Da Socrate ai nostri giorni, Roma, Ave, 2006; I. Gutman – B. Rivlin (eds), I Giusti d’Italia. I non ebrei che salvarono gli ebrei: 1943-1945, Milano, Mondadori, 2005 (cfr, rispettivamente, Civ. Catt. 2005 IV 478-487; 2006 IV 366-373 e 515 s: 2007 IV 259-266 e 2008 I 50-59).

3 F. Jägerstätter, Scrivo con le mani legate. Lettere dal carcere e altri scritti dell’obiettore-contadino che si oppose ad Adolf Hitler, a cura di G. Girardi, Piacenza, Berti, 2005, 48. Cfr anche Civ. Catt. 2006 II 345-354.

4 Cfr J. Innerhofer, Un santo scomodo: Josef Mayr-Nusser, Roma, Pro Sanctitate, 2007, 97.

5 Per non attirare troppo l’attenzione delle autorità fasciste, gli incontri si tenevano nel convento dell’Ordine Teutonico di Lana, presso Merano, oppure nei monasteri benedettini.

6 F. Comina, Non giuro a Hitler, cit., 30.

7 A. Palini, Voci di pace e libertà nel secolo delle guerre e dei genocidi, Roma, Ave, 2007, 204 s.

8 Ivi, 209; cfr anche J. Innerhofer, Un santo scomodo, cit., 39-45.

9 Cfr ivi, 46-51. Notevole l’insistenza di Josef sulla fedeltà al carisma vincenziano, proprio della Conferenza di San Vincenzo de’ Paoli, fondata da Federico Ozanam a Parigi nel 1833.

10 Cfr F. Comina, Non giuro a Hitler…, cit., 99-104.

11 Ricordiamo che il regime fascista aveva intrapreso una politica di degermanizzazione e stabilito un dominio culturale e linguistico fino al Brennero, proprio per ridurre al minimo la presenza e l’influenza tedesca. I sudtirolesi di madrelingua tedesca, spaventati da quell’assimilazione, non solo si erano rivolti alla Germania ma, dal 1936, avevano dato sempre maggiore consenso al partito nazista sudtirolese, ritenendolo l’unica via per salvare la cultura tedesca.

12 L’intesa riguardava le Province di Bolzano, Trento, Belluno e Udine.

13 Cfr A. Palini, Voci di pace e libertà, cit., 227.

14 F. Comina, Non giuro a Hitler, cit., 44.

15 La Convenzione dell’Aia del 1907 consentiva a una forza di occupazione di reclutare uomini dai territori occupati soltanto per il servizio di polizia e non per azioni di guerra.

16 H. F. Comina, Non giuro a Hitler…, cit., 110.

17 A. Palini, Voci
di pace e libertà, cit., 234.

18 R. Iblacher, Non giuro a questo Führer. Josef Mayr-Nusser, un testimone della libertà di pensiero e vittima del nazismo, Bolzano, Sono, 2000, 171.

19 F. Comina, Non giuro a Hitler…, cit., 111 s.

20 A Buchenwald c’era anche un campo piccolo nel quale si trovavano gli ebrei e tutti coloro che erano destinati alle camere a gas.

21 Una delle guardie, Fritz Habicher, rimase sconvolto dall’atteggiamento del medico nazista e dopo la morte di Josef dichiarò: In quel momento capimmo che non poteva essere un traditore (F. Comina, Non giuro a Hitler, cit., 87).

22 Il corpo di Josef rimase nel cimitero di Erlangen fino al 10 febbraio 1958, quando le spoglie furono trasferite a Bolzano e deposte nella chiesetta in periferia, a Lichtenstern/Ritten (Stella del Renon). Nel 1990, con l’approvazione del vescovo di Bolzano-Bressanone, mons. Wilhelm Egger, cominciò l’iter per la causa di beatificazione e il 24 febbraio 2006 ne è stata ufficialmente aperta la fase diocesana. Nell’aprile 1980 il Consiglio comunale di Bolzano stabilì che il maso Nusser ai Piani di Bolzano fosse conservato a ricordo del locale testimone della fede. Cfr J. Innerhofer, Un santo scomodo, cit., 94-98 e A. Palini, Voci di pace e di libertà, cit. 242-251.

23 Cfr rispettivamente F. Comina, Non giuro a Hitler, cit., 88 e J. Innerhofer, Un santo scomodo, cit., 7

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ZENIT Staff

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