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Due notizie dagli Stati Uniti offrono un importante spaccato dell’approccio, in quel contesto, all’imperversante “cultura di morte” che affligge da tempo il mondo occidentale e, attraverso questo, l’intero pianeta.
Una è la sentenza emessa dalla Suprema Corte il 18 aprile 2007, con cui viene confermato il bando per l’aborto a nascita parziale, introdotto durante l’amministrazione Clinton e abolito nel 2003 dall’attuale amministrazione, con una legge denominata Partial Birth Abortion Ban Act. Tale legge era stata dichiarata incostituzionale nei precedenti gradi di giudizio, finché la Suprema Corte ha appunto rovesciato la sentenza (Abortion Ruling Brings Ray of Hope to Pro-Lifers Decision May Imply “Better Reasoning” in the Future , cfr. ZENIT, 19 aprile 2007).
La dichiarazione di illiceità dell’aborto tardivo può sembrare ovvia e scontata, e tuttavia assume un significato tutt’altro che scontato nel momento in cui, come si legge nella sentenza, essa ribadisce non soltanto che la restrizione introdotta dal presidente Bush era del tutto legittima e costituzionale, ma anche che in realtà non è mai esistito nella legislazione statunitense un diritto di aborto, il quale possa costituire in qualche modo un fondamento giustificativo per l’aborto a nascita parziale.
Non è superfluo ricordare, infatti, che negli USA l’aborto non è mai diventato una legge federale, bensì è scaturito da una sentenza – la famosa Roe vs. Wade del 1973 – a cui è seguita la consuetudine di accettazione della pratica abortiva in casi analoghi e successivamente la sua estensione. Non a caso, alcuni commentatori hanno visto nella recente sentenza la possibilità di incrinare la legalità stessa dell’aborto volontario. In realtà, siamo ben lungi da ciò: la sentenza non contesta l’ammissibilità dell’aborto “ordinario”. Eppure, rappresenta effettivamente un segnale di arresto per l’irrefrenabile deriva autonomista dei gruppi pro-choice, e nel contempo un segnale di speranza per i pro-life.
In questo senso, è apparso chiarissimo il commento di Bush: “La decisione della Corte Suprema rappresenta un’affermazione dei progressi che abbiamo compiuto negli ultimi sei anni per difendere la dignità umana e sostenere la santità della vita. Continueremo a lavorare perché un giorno ogni bambino sia accolto alla vita e sia protetto dalla legge”.
La seconda notizia è anche più significativo: il presidente Bush ha annunciato che porrà nuovamente il veto ad una proposta di legge che autorizza la ricerca con le cellule staminali embrionali, appoggiandone invece un’altra che si presenta più rispettosa della vita embrionale.
Afferma la Dichiarazione del presidente americano dell’11 aprile 2007 (http://www.whitehouse.gov/news/releases/2007/04/20070411-8.html): “la S.5 [la legge negativa proposta dal Senato, n.d.a.] è molto simile alla legge a cui ho già posto il veto lo scorso anno. Questo disegno di legge varca un confine morale che il sottoscritto e molti altri trovano problematico. Se compirà tutto il percorso dal Congresso alla mia scrivania, porrò il veto. Nel frattempo, sono stati riportati negli ultimi anni progressi significativi sull’uso delle cellule staminali che non comportano la distruzione di embrioni. Questi progressi che utilizzano le cellule adulte ed altre forme di cellule sono entusiasmanti. Alcuni di essi hanno già prodotto terapie e trattamenti per le malattie. E tutto senza distruggere vite umane.
“Il secondo disegno di legge che oggi è passato in Senato, denominato Hope Act, si basa su tale ricerca eticamente corretta, incoraggiando gli sviluppi delle tecniche alternative di produzione di cellule staminali senza creare e distruggere embrioni. Sostengo con forza questo disegno e incoraggio il Congresso a portarlo avanti e a mandarmelo per la firma finale, così da permettere il progresso della scienza con le cellule staminali, senza conflitti etici e culturali”.
Questo secondo disegno (S. 30, http://www.govtrack.us/congress/billtext.xpd?bill=s110-30), si pone come obiettivi a) “di incrementare la ricerca scientifica in vista di una migliore conoscenza e terapia delle varie patologie e di altre condizioni avverse per la salute”; b) di promuovere la derivazione di linee cellulari staminali pluripotenti che escludano la creazione di embrioni umani a scopo di ricerca e che escludano la distruzione, lo scarto o il rischio di ingiuria di uno o più embrioni umani, tranne quelli naturalmente morti”.
Il testo si sofferma anche sulla definizione di morte embrionale, definendola come la perdita naturale e irreversibile da parte dell’embrione “della capacità di divisione, di crescita e di differenziazione cellulare, tipiche degli organismi, anche qualora alcune cellule dell’organismo defunto fossero ancora vive in uno stato di disordine”.
É indubbio che la definizione di morte dell’embrione vada ulteriormente approfondita, e per questa ragione si possono individuare, dal punto di vista tecnico, possibili rischi dell’eventuale legge S. 30 nell’applicazione, nelle linee guida e nella successiva interpretazione giudiziaria. Tuttavia, in sé, non si presenta immorale. Anche perché si attiene a criteri rigorosi di prudenza, invocando esplicitamente la necessità del ricorso alla sperimentazione animale prima di intraprendere la ricerca sull’uomo, precisando senza ombra di equivoco la volontà di tutelare ogni vita embrionale umana e, infine, esprimendo comunque il suo favore per quelle forme di ricerca sulle staminali che hanno già prodotto risultati concrete, ovvero le staminali adulte e fetali (ma potremmo ora aggiungere anche quelle del liquido amniotico).
Il disegno di legge alternativo (S. 5) ha come evidente intento ideologico la liberalizzazione della ricerca che utilizza embrioni umani. La S. 30, al contrario, nell’impossibilità di prevenire del tutto la creazione e la distruzione di embrioni umani – che negli USA è già legale e avviene negli istituti di ricerca privati – , cerca almeno di impedire la strumentalizzazione dell’embrione negando a tale ricerca i fondi federali.
In questo senso, la battaglia ingaggiata dall’attuale amministrazione americana ha due obiettivi strategici: il primo è assicurare alla buona ricerca i fondi derivanti dalle tasse dei cittadini. Poiché, oltre a costituire un grave delitto, le cellule staminali embrionali non danno risultati incoraggianti, la distruzione degli embrioni può essere vista infatti come un tragico e delittuoso spreco di tempo e di risorse, assai meglio spendibili all’interno di altri filoni di ricerca terapeutica.
Il secondo obiettivo è una conseguenza del primo: svelare la maschera ideologica dei detrattori della vita umana. Coloro che hanno votato contro la S. 30 hanno in larga parte votato a favore della S. 5, mostrando così che il loro intento era unicamente avere la disponibilità legale degli embrioni umani, e non veramente procedere nella ricerca scientifica. Diversamente, tali senatori avrebbero almeno votato per entrambe le leggi.
Da questi e da altri provvedimenti si evince una possibile strategia “incrementale” di contrasto alle leggi contrarie alla vita umana. Come si vede anche dalle violente reazioni da parte della stampa e dei gruppi di pressione ai fatti descritti, non è tanto il immediato impatto pratico ed immediato che importa, quanto la loro capacità di smentire la pretesa ineluttabilità del “progresso” verso la statuizione giuridica del soggettivismo etico.
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resì un forte potere di sostegno e di indirizzo del dibattito all’interno dell’opinione pubblica, che i sostenitori della disponibilità assoluta della vita umana sperano sempre di isolare tra un impianto giuridico sganciato da una sana prospettiva morale e una propaganda tanto più massiccia quanto più inconsistenti sono le basi etiche e scientifiche dei suoi proclami.
[I lettori sono invitati a porre domande sui differenti temi di bioetica scrivendo all’indirizzo: bioetica@zenit.org. La dottoressa Navarini risponderà personalmente in forma pubblica e privata ai temi che verranno sollevati. Si prega di indicare il nome, le iniziali del cognome e la città di provenienza]