Di Padre John Flynn
ROMA, domenica, 29 aprile 2007 (ZENIT.org).- La povertà globale è in diminuzione, secondo i dati pubblicati recentemente dalla Banca mondiale. Dalle nuove stime contenute nel documento “World Development Indicators 2007”, risulta che la percentuale di persone che vivono con meno di un dollaro al giorno, nel 2004, è scesa a 18,4%, ha spiegato la Banca mondiale in un comunicato stampa del 15 aprile.
In termini concreti questo significa che circa 985 milioni di persone vivono in condizioni di estrema povertà. Sebbene si tratti di un numero ancora molto grande, esso rappresenta comunque di un miglioramento. Nel 1990, infatti, questo dato era di ben 1,25 miliardi.
Nonostante i progressi compiuti, la povertà costituisce ancora un problema enorme. Se quella percentuale venisse allargata alle persone che vivono con 2 dollari o meno al giorno, allora il numero complessivo arriverebbe a circa 2,6 miliardi di persone.
Ciò nonostante, i Paesi in via di sviluppo hanno fatto registrare una media solida del 3,9% di crescita annua del prodotto interno lordo pro capite sin dal 2000, come riporta la Banca mondiale. Un altro fattore importante nella riduzione della povertà è la forte crescita economica della Cina.
L’Africa subsahariana rimane un’area problematica. Nel 2004, vi sono state 298 milioni di persone che hanno vissuto in condizioni di estrema povertà. Si tratta, come ha osservato la Banca mondiale, praticamente della stessa cifra registrata nel 1999.
La Banca mondiale ha anche osservato che la crescita economica non è sempre sufficiente a ridurre la povertà, considerato che in alcuni Paesi la diseguaglianza si è aggravata, impedendo che i poveri potessero beneficiare del progresso economico.
Anche gli stessi programmi della Banca mondiale sono stati oggetto di critiche. Un rapporto interno pubblicato lo scorso anno dall’Independent Evaluation Group della stessa Banca mondiale, ha osservato che solo 2 Paesi debitori su 5 hanno fatto registrare una crescita continua del proprio reddito pro capite nell’arco dei 5 anni terminati con il 2005.
Secondo il rapporto “Annual Review of Development Effectiveness 2006”, l’assistenza della Banca mondiale ha spesso contribuito a migliorare la crescita economia, ma meno a potenziare la creazione di posti di lavoro. Questo rapporto evidenzia anche il problema dell’aggravamento dei livelli di diseguaglianza nella distribuzione del reddito, che rischia anche di impedire che la crescita economica possa contribuire alla riduzione della povertà.
Solo promesse
Intanto, da alcuni dati pubblicati ai primi di aprile dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) risulta che i Paesi ricchi stanno riducendo l’ammontare dei loro aiuti destinati al Terzo mondo.
I 22 Paesi membri del Comitato di aiuto allo sviluppo (DAC) dell’OCSE, ovvero i maggiori donatori al mondo, hanno destinato 103,9 miliardi di dollari (76 miliardi di euro) in aiuti nel 2006, secondo i dati dell’Organizzazione pubblicati il 3 aprile scorso. Si tratta di somme inferiori del 5,1% rispetto al 2005 (in prezzi del 2005). I 103,9 miliardi di dollari in aiuti rappresentano lo 0,3% del reddito nazionale lordo complessivo dei Paesi interessati.
Gli unici Paesi che hanno raggiunto e superato l’obiettivo dello 0,7% posto delle Nazioni Unite sono Svezia, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi e Danimarca. In termini di trasferimenti in denaro, i maggiori donatori nel 2006 sono gli Stati Uniti, seguiti da Regno Unito, Giappone, Francia e Germania.
La diminuzione si spiega in parte con i livelli di aiuto straordinariamente alti del 2005, dovuti soprattutto alle operazioni di cancellazione del debito in Iraq e Nigeria. Escludendo quindi la cancellazione del debito, il calo degli aiuti nel 2006 si riduce all’1,8%.
L’OCSE ha inoltre osservato, in un comunicato stampa, che gli aiuti destinati all’Africa subsahariana, esclusa la cancellazione del debito, è rimasta stabile nel 2006. Questo, nonostante un impegno, preso dai Paesi del G8 durante il vertice di Glengeales del luglio 2005, diretto al raddoppiamento degli aiuti all’Africa entro il 2010.
L’OCSE aveva precedentemente avvertito della diminuzione degli aiuti, nel suo Rapporto sullo sviluppo e la cooperazione. In un comunicato stampa reso noto il 22 febbraio, l’OCSE ha spiegato che se i Paesi vogliono mantenere gli impegni presi per il 2010 in favore dei Paesi in via di sviluppo, dovranno essere previsti notevoli aumenti nei rispettivi stanziamenti.
Oltre all’impegno per raddoppiare gli aiuti all’Africa, le nazioni ricche si sono anche poste l’obiettivo di raggiungere entro il 2010 la quota di 130 miliardi di dollari (95 miliardi di euro) in aiuti.
Anche il problema del commercio internazionale stenta a trovare una soluzione. Sulla questione si è soffermato l’Osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite a New York, l’Arcivescovo Celestino Migliore.
In un discorso pronunciato davanti ad una commissione delle Nazioni Unite lo scorso 17 ottobre, il presule ha affermato che non si è registrato alcun progresso sostanziale nel raggiungimento degli impegni presi nel 2001 durante la IV Conferenza ministeriale dell’Organizzazione mondiale del commercio.
Il commercio, ha osservato l’Arcivescovo, non è meramente complementare rispetto all’aiuto e alla cancellazione del debito. “Il commercio è piuttosto una priorità per la crescita generale e sostenibile delle economie di molti Paesi in via di sviluppo”, ha affermato.
Responsabilità morale
Il Papa è intervenuto in diverse occasioni su questioni relative alla povertà e allo sviluppo economico. “Invito di nuovo i Responsabili delle Nazioni più ricche a prendere i provvedimenti necessari affinché i Paesi poveri, spesso pieni di ricchezze naturali, possano beneficiare dei frutti dei beni che appartengono loro in modo proprio”, ha affermato l’8 gennaio, nel suo discorso annuale al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede.
Anche il Catechismo della Chiesa cattolica parla chiaramente della questione: “Le nazioni ricche hanno una grave responsabilità morale nei confronti di quelle che da se stesse non possono assicurarsi i mezzi del proprio sviluppo o ne sono state impedite in conseguenza di tragiche vicende storiche” (n. 2439).
Per coloro che accusano la Chiesa di intromettersi in affari che non sono di sua competenza, il Catechismo precisa che la Chiesa lascia ai fedeli laici il compito di intervenire direttamente in tali questioni (n. 2442).
Peraltro, la Chiesa non propone uno specifico programma, poiché le azioni in questo campo possono legittimamente prendere una varietà di forme. Ciò che è importante, prosegue il Catechismo, è che ogni azione sia ispirata al messaggio del Vangelo, al bene comune e all’insegnamento della Chiesa.
Benedetto XVI ha ulteriormente approfondito il ruolo della Chiesa, nel suo messaggio per la Quaresima del 2006. Il principale contributo della Chiesa non consiste in soluzioni tecniche, ma nella proclamazione della verità di Cristo, ha spiegato. È Cristo, ha aggiunto il Papa, “che educa le coscienze e insegna l’autentica dignità della persona e del lavoro”.
Il Catechismo afferma inoltre che il dovere di portare aiuto alle nazioni più povere non è solo una questioni di giustizia, ma è anche un dovere di carità (n. 2439). E nel suo messaggio per la Quaresima del 2006, il Papa ha parlato del ruolo della carità, osservando che “nessun progetto economico, sociale o politico sostituisce quel dono di sé all’altro nel quale si esprime la carità”.
La povertà peggiore è quella di non conoscere Cristo, ha aggiunto il Papa, citando la Beata Teresa di Calcutta. Perciò, ha proseguito, “occorre far trovare Dio nel volto misericordioso di Cristo
: senza questa prospettiva, una civiltà non si costruisce su basi solide”.
In questa dimensione morale di sviluppo, la famiglia svolge un ruolo importante, come ha spiegato il Pontefice nel suo discorso rivolto il 16 ottobre scorso a Jacques Diouf, direttore generale della FAO (Food and Agriculture Organization).
Affrontando il tema dello sviluppo rurale, il Pontefice ha sostenuto che alla famiglia deve essere ridato il ruolo e il posto che le spetta. E i principi e valori morali che la governano devono essere considerati in modo prioritario.
In questo senso, gli ambiti come quello dei rapporti tra mariti e mogli, e quello della solidarietà familiare, devono essere tutelati. “Investire nel settore rurale deve permettere alla famiglia di assumere un ruolo e un posto adeguati, evitando le conseguenze dannose dell’edonismo e del materialismo che possono mettere a rischio il matrimonio e la vita familiare”, ha raccomandato.
Il Papa ha anche fatto appello ad un rinnovato impegno nella cooperazione e solidarietà fra Stati. In questo modo potrà essere edificato un reale spirito di giustizia, armonia e pace fra i popoli, ha concluso. Un messaggio estremamente opportuno per un mondo in cui molti soffrono condizioni di povertà materiale e spirituale.