L’avvenimento è particolarmente importante, perché – sottolinea la “Radio Vaticana” – è la prima volta che si celebra una beatificazione nell’Arcidiocesi siciliana di Palermo.
L’ha presieduta, nella cattedrale gremita, l’Arcivescovo emerito locale, il Cardinale Salvatore De Giorgi, in qualità di delegato di Benedetto XVI.
Hanno partecipato, tra le altre personalità, l’Arcivescovo di Palermo, monsignor Paolo Romeo, e tutti i presuli della Sicilia, regione della quale era originario il nuovo beato. Era presente anche il Vescovo di Mahagi-Nioka, monsignor Marcel Utempi Tapa, della diocesi congolese in cui padre Spoto è stato martirizzato dalla tribù dei Simba.
Sacerdote professo della Congregazione dei Missionari Servi dei Poveri – fondata a Palermo nel 1887 da padre Giacomo Cusmano, beatificato a sua volta nel 1983 da Giovanni Paolo II , Francesco Spoto era nato l’8 luglio 1924 a Raffadali.
Il 26 giugno 2006 il Papa ha autorizzato la promulgazione del decreto con cui è stato dichiarato il martirio del giovane sacerdote, aprendosi così le porte alla sua beatificazione.
Padre Spoto è morto nel 1964 perseguitato come missionario e per ragioni razziali dai guerriglieri dell’ex Congo Belga, dove – ha ricordato il Cardinale De Giorgi – visse “la drammatica esperienza di chi è costretto a sottrarsi ai continui agguati degli aggressori, pieno di preoccupazioni per la salute e la vita dei confratelli”.
Maltrattato, viene “colpito selvaggiamente al torace l’11 dicembre”, ha ricordato il porporato nella sua omelia; “sopporta per sedici giorni una estenuante agonia perdonando i suoi uccisori. A Natale entra in coma e due giorni dopo raggiunge l’Apostolo prediletto nel cielo”.
Secondo il Cardinal De Giorgi, “il segreto della santità del Beato Spoto” è “l’ubbidienza della fede”: “si è abbandonato alla volontà del Signore, senza riserve”.
“Ora che padre Spoto è stato elevato all’onore degli altari, rivolge a noi l’invito alla santità – ha sottolineato il porporato –, non compiendo necessariamente cose straordinarie, ma svolgendo i doveri di ogni giorno in famiglia, sul posto di lavoro, nella Chiesa e nella società, con amore grande e sincero a Dio, nell’osservanza della sua legge, e al prossimo mettendo in pratica il comandamento dell’amore vicendevole che Gesù ha lasciato come unica tessera di riconoscimento di noi cristiani”.
Il nuovo beato ha sempre manifestato una viva intelligenza e una forte volontà; nel Capitolo del 1959 – ad appena 35 anni – venne eletto Superiore generale della sua congregazione, ha ricordato all’emittente pontificia padre Giuseppe Civiletto – attuale Superiore generale –, che lo ha conosciuto di persona.
“Con fervore giovanile”, padre Spoto “diede impulso alla Congregazione, dedicandosi alla cura delle vocazioni, all’apertura di nuove case e inviando i primi confratelli in missione a Biringi, nel Congo”, ha proseguito.
“Per visitarli e incoraggiarli, nell’estate del 1964 partì egli stesso per il Congo, dove era in atto una sanguinosa guerra civile. Per loro, accettò il sacrificio della vita che il Signore gli chiese. Preso e selvaggiamente battuto dai Simba, dopo alcuni giorni morì in piena boscaglia il 27 dicembre 1964, offrendo la sua vita per la salvezza dei confratelli”.
“Sempre pronto a prestare generoso servizio a chiunque si trovasse nel bisogno. Fino al dono totale di sé”, il nuovo beato ha incarnato “nella sua vita di Servo dei Poveri” lo “spirito di carità senza limiti del Fondatore”, ha sottolineato padre Civiletto.
Nei suoi primi dodici anni di vita, il beato Francesco Spoto aveva imparato dai suoi genitori e dai fratelli a conoscere e amare il Signore.
Gli altri 28 anni li trascorse a Palermo rivelandosi un “uomo di carattere e attaccato al dovere, seminarista e studente applicato, religioso ubbidiente e tenace, sacerdote zelante e servizievole, superiore generale interessato alle vicende della Chiesa e della Congregazione”; negli ultimi quattro mesi è stato un “solerte e generoso missionario a Biringi”, dove ha raggiunto il martirio.
“In un mondo dominato dal relativismo e proteso all’edonismo e al materialismo quale é il nostro”, padre Spoto è “un esempio di come dare un senso alla vita: valorizzarla e spenderla per gli altri”, ha osservato il Superiore generale dei Missionari Servi dei Poveri.
Ciò si traduce, ha concluso, nel “vivere – pur in mezzo alle difficoltà e ai contrasti – nella gioia, quella gioia che per noi cristiani deriva dalla certezza di essere in comunione con Cristo, di essere sacrificio nelle mani di Dio. Questo vale. Di questo il Signore ha bisogno. Di questo ha bisogno il mondo”.