PARIGI, giovedì, 5 aprile 2007 (ZENIT.org).- Monsignor André Vingt-Trois, Arcivescovo di Parigi, e David Messas, gran rabbino della capitale francese, hanno ritenuto utile rendere pubblica una dichiarazione congiunta sui malati terminali con cui desiderano contribuire alla promozione di una vera e degna assistenza alle persone al termine della loro vita.
L’Arcivescovo e il gran rabbino di Parigi hannon ribadito la loro opposizione a “ogni forma di eutanasia”, intesa come “ogni comportamento, azione o omissione, il cui obiettivo è dare la morte a una persona per porre così termine alle sue sofferenze”.
“Esprimiamo un’opposizione molto ferma a ogni forma di aiuto al suicidio e a ogni atto di eutanasia”, si legge in una dichiarazione comune resa pubblica il 2 aprile scorso. I due firmatari si basano sul comandamento biblico “Non uccidere”, che “esige dalla famiglia e da quanti prestano cure di non cercare di accelerare la morte del malato (…) e di non chiedere l’aiuto degli altri a questo scopo”.
Dichiarandosi consapevoli delle sofferenze del malato terminale, l’Arcivescovo e il gran rabbino esortano al ricorso alle cure palliative, previsto da una legge di due anni fa. “La sollecitudine dovuta ai nostri fratelli e alle nostre sorelle gravemente malati o anche agonizzanti (…) esige l’impegno nel porre rimedio alle loro sofferenze (…). Non possiamo quindi che rallegrarci per ciò che la legge invita a sviluppare (le cure palliative) in tutti gli ospedali e le strutture medico-sociali”, sottolineano.
Da questo punto di vista, il ricorso a una cura “che può avere come effetto secondario accorciare la vita” quando è l’unico modo di “alleviare la sofferenza di una persona in fase avanzata o terminale di una malattia grave e incurabile” viene giudicato “legittimo in certe condizioni”, sempre che “l’obiettivo perseguito amministrando questa cura (sia) unicamente alleviare le grandi sofferenze, non accelerare la morte”.
Mostrandosi contrari all’accanimento terapeutico, monsignor Vingt-Trois e il rabbino Messas affermano: “Senza rinunciare in nulla alle nostre convinzioni religiose e al rispetto dovuto a ogni vita umana, ci sembra giusto non intraprendere cure che non otterrebbero altro che un mantenimento della vita a prezzo di forzature o sofferenze spoporzionate”.
“Il fatto di non intraprendere (o di smettere di mantenere), per un malato determinato, questo o quel trattamento medico non dispensa dal dovere di continuare ad averne cura”, soprattutto di continuare ad alimentarlo “privilegiando la via naturale”. Tuttavia, se le circostanze eccezionali obbligano a “limitare o anche a sospendere l’apporto nutrizionale”, questo “non deve mai diventare un mezzo per accorciare la vita”, ricordano i firmatari della dichiarazione.
Questa analisi comune è il frutto dei lavori del gruppo di riflessione avviato dalla Diocesi e dal Concistoro di Parigi, un gruppo formato da membri del Servizio per i rapporti con l’ebraismo della Dicesi di Parigi e della Commissione per i rapporti con le altre religioni del Concistoro Israelita di Parigi.