ROMA, lunedì, 28 agosto 2006 (ZENIT.org).- Sebbene si pretenda di estrarre cellule da embrioni umani senza nuocere o distruggere gli stessi, una recente ricerca in materia non solo non garantisce la sicurezza dell’embrione, ma solleva anche riserve di natura bioetica su tali tecniche.

Il 23 agosto la rivista scientifica “Nature” ha diffuso i risultati di una sperimentazione condotta da una azienda di ricerca genetica degli Stati Uniti, la “Advanced Cell Technology” (ACT), presieduta da Robert Lanza.

La sperimentazione si basa sullo stesso principio seguito nel procedimento di diagnosi “pre-impianto” (una opzione che si applica durante la fecondazione in vitro): vengono estratte attraverso una microscopica cannula alcune cellule dall’embrione nei primissimi stadi della sua vita. Le cellule, coltivate artificialmente, diventano così capaci di svilupparsi in tessuti del corpo umano.

Il gruppo di Lanza ha realizzato prima la sperimentazione su embrioni di topo e poi su quelli umani “soprannumerari”, prodotti da procedimenti di fecondazione assistita: le cellule immature estratte vengono così utilizzate per realizzare degli esperimenti, da cui si ottengono cellule staminali embrionali stabili simili a quelle che si ottengono a partire dagli embrioni intatti che in cambio vengono distrutti con questo processo.

L’articolo di “Nature” osserva tuttavia che permangono “preoccupazioni sul fatto che la rimozione di una cellula da un embrione possa ridurre le sue possibilità di impianto in utero, oppure alterare il suo sviluppo e causare più tardi problemi di salute per il bambino che ne risulterà”.

Gli stessi ricercatori, infatti, invitano alla cautela per un procedimento che non ha dissolto tutti i dubbi sulla sua sicurezza e su cui la Chiesa continua ad esprimere riserve di carattere bioetico.

Il Presidente della Pontificia Accademia per la Vita, il Vescovo Elio Sgreccia avverte che “le sperimentazioni annunciate restano sempre nell’ambito della procreazione in vitro, di produzione di embrioni in vitro o per clonazione o per la fecondazione artificiale” cosa che, “da un punto di vista non soltanto cattolico” ma delle “ragioni bioetiche”, è “un fattore negativo”.

“Se il risultato che si attende - cioè riprodurre cellule e non embrioni, cioè soltanto cellule embrionali - è il frutto di una manipolazione, di un processo che altrimenti darebbe un embrione, l’obiezione di carattere etico rimane tutta intera”, ha affermato domenica ai microfoni della “Radio Vaticana”.

E questo perché “quel risultato è ottenuto non per un processo biologicamente evolutivo, ma per un processo artificialmente prodotto”. Quindi, si tratterebbe di “un’artificialità sull’artificialità”, ha aggiunto.

In ultima analisi, “non si capisce (…) perché si vada producendo tutto questo, quando sappiamo già che le cellule staminali per usi terapeutici si possono ottenere attraverso le normali cellule staminali da soggetto adulto, che troviamo nel cordone ombelicale o nei vari settori del corpo umano”.

Ricordando che fra le diverse manipolazioni è contemplata anche la biopsia di una cellula da un embrione, il presule avverte che “la biopsia può anche danneggiare l’embrione”.

“Prima di poter escludere tutto questo, è necessario che si faccia un’adeguata sperimentazione sugli animali”, ha osservato.

Tuttavia, lamenta monsignor Sgreccia, vi è “una grande corsa a fare queste sperimentazioni sull’embrione umano anche per i fondi che vengono stanziati, per ottenere i quali si fa passare la sperimentazione esente da obiezioni etiche, anche quando non si è né sicuri dell’esito scientifico, né si possono escludere, anzi si moltiplicano a mio avviso, le obiezioni di carattere etico insite in questo tipo di procedimenti”.

In un commento apparso sul quotidiano “Avvenire”, don Roberto Colombo, Direttore del laboratorio di Biologia molecolare e genetica umana della Cattolica di Milano, ha detto: “Innanzitutto nello studio non ci dice che la biopsia embrionale è una tecnica altamente rischiosa, come dimostrano tutte le riserve con cui viene accolta la diagnostica pre-impianto”.

“Quindi – riprende don Colombo – sarebbe violato il principio della corretta valutazione rischi-benefici”.

Infine, scrive il quotidiano dell’episcopato italiano, “si tace la sorte a cui sono destinati i cosiddetti ‘embrioni sovrannumerari’ utilizzati per l’esperimento”.

“Il fatto che il loro destino non sarebbe quello di essere impiantati in utero, non autorizza nessuno –conclude l’esperto – a considerarli esseri umani di ‘serie B’. E quindi ‘materiale’ per la sperimentazione”.