Celebrato al Meeting di Rimini un martire della Russia

Il sacerdote ortodosso padre Aleksandr Men’

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RIMINI, lunedì, 21 agosto 2006 (ZENIT.org).- Russo, di famiglia ebraica, battezzato negli anni più tremendi della persecuzione religiosa, divenne sacerdote ortodosso; perseguitato, testimoniò Cristo fino a quando non fu assassinato il 9 settembre 1990 a Mosca, in piena Perestrojka. Il suo nome è padre Aleksandr Men’, ed il Meeting di Rimini lo celebra con una mostra ed un Convegno.

Nel corso dell’incontro che si è svolto il 20 agosto al Meeting in corso in questi giorni nella città romagnola, Pavel Men’, fratello minore di Aleksandr, ha raccontato che la prima a incontrare Cristo in famiglia è stata la madre Elena.

“Dopo aver letto casualmente il Vangelo, Cristo diventò la cosa più importante e nel 1935, mentre Stalin affermava che il socialismo aveva vinto su tutto, lei si fece battezzare insieme ad Aleksandr nella chiesa catacombale”, ha detto.

Pavel ha poi ricordato alcuni insegnamenti della madre, la quale gli raccomandava continuamente: “Qualsiasi uomo viene da te, guardalo come Cristo stesso che viene da te”.

Padre Aleksandr Men’ nasce il 22 gennaio 1935. La Chiesa a quell’epoca era perseguitata e ricacciata nelle catacombe, ma ardente di fede. I primi ricordi d’infanzia di padre Men’ saranno infatti legati alla piccola comunità catacombale che si raccoglieva in gran segreto in una casupola a Zagorsk, nei dintorni dell’antico monastero di San Sergio, chiuso anni prima, intorno allo Starec Serafim (Batjukov).

La storia, la biologia, l’arte, tutto lo interessava e lo affascinava, ma sui dodici anni matura in lui la vocazione al sacerdozio. La figura di Gesù aveva così profondamente colpito Aleksandr che già a 14 anni aveva cominciato a scrivere un libro sulla Persona di Cristo.

Il libro intitolato “Il Figlio dell’Uomo” che continuò a scrivere per tutta la vita, ed è poi stato tradotto in 17 lingue e venduto in Russia in tre milioni di copie, lo mise in circolazione per la prima volta nel 1958 per i suoi parrocchiani e ne terminò la redazione solo pochi giorni prima di morire.

Il fratello Pavel, ha anche raccontato che Aleksandr “è vissuto per trenta anni alla periferia di Mosca, aiutando migliaia di persone ad incontrare Cristo nella propria vita, all’epoca in cui il regime cercava in tutti i modi di distruggere la religione in generale ed il cristianesimo in particolare”.

Pavel ha aggiunto che Aleksandr “cercava di dare risposta a tutte le domande che circondano l’uomo. L’apertura, diceva, non l’allontanamento dal mondo, è la cosa principale che il cristianesimo ci trasmette, e Cristo si fece piccolo per poter incontrare l’umanità”.

L’incessante flusso di persone che si rivolgevano a padre Men’, il moltiplicarsi di comunità di laici che seguivano il suo metodo educativo, i suoi libri pubblicati fuori dalla Russia con l’ausilio di pseudonimi, che poi rientravano clandestinamente e circolavano in decine di migliaia di copie, lo rendevano scomodo alle autorità comuniste, seppure il sacerdote mai si espresse in merito alla politica sovietica.

Padre Men’ non poté iscriversi alla Facoltà di Filosofia perché ebreo, e allo stesso modo fu espulso dall’Università alla vigilia della laurea perché ortodosso. Inoltre, ebbe difficoltà ad entrare in Seminario e venne continuamente trasferito da una parrocchia all’altra, quando non convocato costantemente nel palazzo della Lubjanka, Quartier generale del KGB.

Per queste sue sofferenze e per l’opera straordinaria di diffusione della fede, molti in Russia parlano di padre Men’ come di un santo.

Giovanna Parravicini, introducendo padre Romano Scalfi, Presidente di “Russia Cristiana”, ha ricordato il legame di quest’ultimo con padre Men’, “vissuto come una amicizia, una compagnia che viene da Cristo e non abbandona il suo popolo, e che anche dalle pietre di un’ideologia continua a creare i suoi figli”.

Padre Scalfi ha descritto la “grande umanità che si alimentava della fede” in Aleksandr Men: “È questo che rende la sua figura così attuale per la Russia, l’Italia e il mondo. L’umanesimo sganciato dalla fede tende a dimenticare questa unità, diventando prima utopico poi nichilista”.

“Cristo, diceva padre Men’, ci obbliga a sentire Dio vicino, coinvolto con la nostra vita; e non si limitava a denunciare il male, ma ripeteva che anche nelle evenienze più tragiche della vita è il volto di Cristo che salva, e che i tempi cattivi sono dominati dalla Sua figura luminosa. Essere testimoni di Cristo è essere in ogni circostanza salvatori del mondo”, ha continuato.

Per questo, ha poi concluso padre Scalfi, per Padre Men’ la Chiesa era un “laboratorio di resurrezione”.

Al Meeting è possibile visitare fino al 26 di agosto una mostra dal titolo “La legge di un uomo vivo. Testimone in URSS” che riporta la storia e le opere di Aleksandr Men’.

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ZENIT Staff

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