Benedetto XVI ha una “grande sensibilità” per i mezzi di comunicazione, constata il suo portavoce

Joaquín Navarro-Valls spiega com’è stata gestita l’informazione alla morte di Giovanni Paolo II

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ROMA, domenica, 30 aprile 2006 (ZENIT.org).- Joaquín Navarro-Valls, portavoce vaticano, ha constatato che Benedetto XVI ha una grande “sensibilità” per i mezzi di comunicazione.

Il direttore della Sala Stampa della Santa Sede è giunto a questa conclusione sabato, durante la sessione di chiusura del quinto Seminario professionale sugli Uffici Comunicazione della Chiesa, svoltosi a Roma presso la Pontificia Università della Santa Croce.

“Ho trovato nella vita del Papa una grande sensibilità verso il mondo dei media”, ha affermato il suo portavoce. “E’ un intellettuale e sa i limiti dei media, conoscenza che non gli impedisce di avere una grande preoccupazione per il mondo dei media”.

Navarro-Valls ha rivelato che, paragonando il suo lavoro a quello che svolgeva ai tempi di Giovanni Paolo II, “ho lo stesso accesso diretto non solo alla persona ma al processo di decisioni”.

Il portavoce ha commentato che questo venerdì ha discusso quasi un’ora con il Papa sul tema dei mezzi di comunicazione. “Discutendo no, non si discute con un Papa”, si è corretto scherzando.

Nel corso di questa conversazione con il Santo Padre, “ho cercato di trasmettere al Papa una cosa: quando nella vita di una persona –anche di un giornalista – sale il livello morale, quello che produce anche è meglio”.

Quanto alla sua intenzione di abbandonare l’incarico che ricopre da 22 anni, Joaquín Navarro-Valls ha affermato di non voler dare “grandi notizie” e ha commentato elegantemente che “il Santo Padre conosce molto bene i miei desideri in questo momento e io conosco molto bene quali sono i desideri del Santo Padre”.

Joaquín Navarro-Valls ha raccontato la “untold history” (storia non raccontata, come ha detto egli stesso) dei mesi che hanno preceduto la morte di Giovanni Paolo II e si è concentrato sull’infrastruttura e la strategia comunicativa che ha seguito in quel momento dalla Sala Stampa della Santa Sede.

Il problema che si è presentato nei mesi precedenti al 2 aprile 2005 (giorno della morte del Pontefice) era “in che momento attivare l’infrastruttura comunicativa”. Navarro-Valls ha confessato che sapevano che dal momento in cui avessero deciso che “la Sala Stampa è aperta 24 ore” la città di Roma “si riempieva subito di giornalisti occupati o disoccupati di tutto il mondo”, e gli sembrava “una ingustizia” creare un allarme quando non ce n’era motivo. Per questo hanno attivato tale dispositivo solo due giorni prima della morte del Papa, dopo che i medici avevano dato il loro parere sull’evoluzione della malattia.

“In quei giorni il clima di sfiducia mutua tra l’istituzione e i media è sparito”, ha confessato il portavoce, aggiungendo che “si giocava con le carte scoperte, si spiegava come stavano le cose”.

Per Navarro-Valls, tutti i dispositivi informativi non servono a nulla “se manca il fattore previo e imprescindibile che è l’accesso alle persone: se il comunicatore non ha accesso diretto ai fatti, il resto non è credibile e non si può fare”. Per questo egli stesso si recava tutti i giorni dal Papa prima di informare i giornalisti.

Una delle questioni morali e comunicative che il dottor Navarro-Valls e la sua équipe si sono poste è stata come si doveva raccontare la fine della vita terrena del Pontefice. Hanno deciso di raccontarla per com’è stata, ha spiegato.

Navarro-Valls ha constatato “un’enorme congruenza tra la comunicazione alla fine del pontificato di Giovanni Paolo II e gli anni precedenti: non ci fu nulla da innovare”.

“Avrebbe Giovanni Paolo II approvato il modo informativo di quei giorni?”, si è chiesto a voce alta, rispondendo che “non si era mai parlato di questo con il Papa”. “Con i miei collaboratori abbiamo cercato di fare l’informazione in modo congruente con tutto il pontificato”, ha concluso.

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ZENIT Staff

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