TORONTO, lunedì, 30 agosto 2004 (ZENIT.org).- In un discorso della primavera scorsa, Giovanni Paolo II ha sostenuto la tradizione morale cattolica in base alla quale l’alimentazione e l’idratazione artificiali ed altre misure a sostegno della vita devono essere valutate in termini di costi e benefici dell’intervento per il paziente.
Un gruppo di bioeticisti e di esperti della salute ha considerato, in un recente convegno presso l’Istituto Canadese Cattolico di Bioetica, alcune implicazioni del discorso papale in vista dell’intervento nel caso di alcune delle più comuni condizioni cliniche degli anziani e dei moribondi in cui vengono usate l’alimentazione e l’idratazione artificiali.
Il dottor William Sullivan, direttore dell’istituto, ha parlato con ZENIT delle conclusioni del convegno relativamente alle implicazioni dei principi e del pensiero esposti da Giovanni Paolo II nel suo discorso.
La prima parte dell’intervista è stata pubblicata nel Servizio Giornaliero del 29 agosto.
I partecipanti al congresso pensavano che ciò che il Papa ha affermato nel suo discorso sull’alimentazione e l’idratazione artificiali e lo stato vegetativo continuato o la non reattività in seguito al coma fossero rilevanti per le persone che si trovano in altre condizioni cliniche?
W. Sullivan: Sì, nel senso che il discorso papale afferma il valore e la dignità intrinseci di tutte le persone. Le decisioni sull’alimentazione e sull’idratazione artificiali, o ANH, non dovrebbero essere prese basandosi sull’idea che le persone con gravi danni cognitivi e/o limitazioni fisiche valgano meno o abbiano una dignità inferiore rispetto ad altre persone.
Il discorso papale afferma anche la distinzione tra misure ordinarie e straordinarie per il sostegno alla vita.
Ciò implica che i pazienti e le loro famiglie hanno la responsabilità di valutare con cura i benefici e i costi di varie opzioni di trattamento e di cura, alla luce della loro situazione personale. Questa responsabilità è la stessa che deve esistere nei confronti di ogni condizione clinica e di ogni paziente.
Perché i partecipanti al convegno pensavano che fosse importante considerare le implicazioni del discorso del Santo Padre per l’intervento nel caso di condizioni cliniche che interessano quegli anziani in cui l’ANH è usato più spesso?
Sullivan: Un principio di ragionamento è che i casi simili devono essere considerati in maniera simile. Un secondo principio è che i casi difficili portano a leggi non adatte. Ciò vuol dire che le condizioni rare o inusuali sono una base insufficiente per formulare politiche generali.
I partecipanti erano consapevoli del fatto che, dei casi in cui l’ANH viene usato nella cura degli anziani, in genere meno dell’1% delle situazioni coinvolge persone che si trovano in uno stato vegetativo persistente (PVS) o di irresponsabilità in conseguenza del coma. Ci sono molti fattori clinici particolari e contingenti che distinguono il PVS da altre condizioni come l’ictus, il morbo di Alzheimer, il morbo di Parkinson o il cancro della testa o del collo.
Questi fattori possono essere importanti per valutare i costi e i benefici dell’ANH in queste condizioni.
Potrebbe fornire alcuni esempi di come le differenze cliniche potrebbero cambiare la valutazione sull’alimentazione e l’idratazione artificiali in queste condizioni?
W. Sullivan: La gente che viene colpita da un ictus o dal morbo di Parkinson in genere è cosciente, può essere capace di ingoiare cibi e liquidi con l’assistenza di altre tecniche di alimentazione che comportano l’utilizzo delle mani e può essere capace di acconsentire ad una cura che viene proposta.
In questi casi, l’alimentazione con l’uso delle mani può essere un’alternativa efficace a quella attraverso i tubi. L’alimentazione con le mani può anche favorire un maggiore senso di solidarietà con i pazienti ed umanizzare la loro cura.
La gente affetta dal morbo di Alzheimer può non comprendere la ragione di un tubo per l’alimentazione e può tentare di respingerlo, a volte ferendosi gravemente. Un notevole peso per queste persone potrebbe essere l’uso di varie forme di controllo per evitare che espellano il tubo dell’alimentazione.
Coloro che hanno difficoltà nell’inghiottire a causa di un cancro alla testa o al collo potrebbero non rispondere positivamente all’ANH.
Ai pazienti con una condizione neurologica degenerativa come il morbo di Alzheimer dovrebbe essere sempre offerte l’alimentazione e l’idratazione artificiali, oppure non dovrebbero esserlo mai? Un volta iniziato l’ANH, a suo avviso, arrivati ad un certo punto, dovrebbe essere sempre interrotto oppure no? I partecipanti al convegno hanno considerato la questione?
W. Sullivan: Il convegno non cercava di stabilire cosa si debba concludere in ogni situazione in cui deve essere presa una decisione per l’ANH nei confronti di un paziente anziano.
La dichiarazione finale del convegno richiama l’attenzione su alcuni principi morali e su un invito a prendere le decisioni sugli interventi a favore della vita nel solco della tradizione morale cattolica affermata nel discorso papale.
Una guida fondamentale per prendere decisioni su qualsiasi tipo di cura proposto, fra cui anche l’ANH, è stabilita nel paragrafo 7 della dichiarazione del convegno di Toronto: “Le cure non possono essere classificate in anticipo come ordinarie o straordinarie”, vale a dire come moralmente obbligatorie o opzionali. Deve essere fatta una valutazione accurata dei loro costi e dei loro benefici alla luce della situazione del paziente.
Il morbo di Alzheimer è uno fra i molti casi clinici di demenza. E’ difficile fare affermazioni generali sul fatto di offrire sempre, oppure mai, l’ANH alla gente affetta da demenza, perché nella letteratura medica ci sono limiti agli studi che ne mostrano i benefici e i costi.
Un principio fondamentale della medicina è “primum non nocere”, ovvero “in primo luogo non nuocere”. Se è evidente, in un caso particolare di demenza avanzata, che l’ANH ha, o potrebbe avere, pochi benefici e causa o potrebbe causare danni significativi, allora non dovrebbe essere somministrato, e se questo già accade dovrebbe essere sospeso.
A chi dovrebbe spettare la decisione se usare o no, in particolari circostanze, l’alimentazione e l’idratazione artificiali?
W. Sullivan: Le riflessioni del congresso hanno notato che è responsabilità del paziente e della famiglia prendere delle decisioni nei singoli casi dopo che essi abbiano considerato l’evidenza dei fatti alla luce delle circostanze personali di rilievo.
E’ invece responsabilità del personale medico di informare, in un contesto adatto, il paziente o la famiglia delle opzioni e dell’evidenza dei benefici o dei costi di ogni opzione. Sebbene la responsabilità per la decisione spetti al paziente, o alla sua famiglia o ad qualcuno che prende le decisioni al suo posto, il personale medico ha la facoltà di dare un’opinione di carattere medico.
A giudizio dei partecipanti al congresso le direttive anticipate in merito all’ANH sono una buona idea?
W. Sullivan: Sì, i partecipanti hanno pensato che queste direttive, se fatte in modo appropriato, potrebbero essere una buona idea. E’ importante che le persone anticipino e parlino con i loro cari e con coloro che li accudiscono circa la cura al termine della vita prima che si verifichi l’insorgenza di una crisi medica.
La dichiarazione dell’incontro di Toronto riconosce che ci possano essere variazioni culturali e giurisdizionali nella pratica delle direttive anticipate. In ogni caso, comunque, che formula delle direttive anticipate, il rappresentante del paziente che è au
torizzato a prendere delle decisioni, il personale medico e le istituzioni che attuano queste decisioni, dovrebbero sempre rispettare il valore e la dignità intrinseche del paziente.
Nel vostro congresso sono stati affrontati numerosi casi di vita reale concernenti l’uso di alimentazione e idratazione artificiali per pazienti nelle più varie condizioni mediche. E’ stato utile riflettere su tali argomenti alla luce della tradizione morale cattolica che distingue fra misure ordinare e straordinarie?
W. Sullivan: Sì. Il partire dai casi di vita reale ha fatto sì che le nostre discussioni fossero attinenti alle questioni concrete che la gente si trova ad affrontare. Ed ha assicurato, inoltre, che i partecipanti tenessero sempre presenti i fattori particolari e contingenti che possono avere un certo rilievo nel determinare i benefici ed i costi delle diverse opzioni.
Abbiamo trovato che alcune discordanze che sono emerse nel considerare i principi ad un livello astratto si sono dimostrate poi non essere moralmente rilevanti nei casi concreti.
Quali sono stati gli argomenti sollevati nel corso di questo incontro e su cui i bioeticisti cattolici dovranno dibattere in modo più approfondito?
W. Sullivan: Sono stati almeno due gli argomenti sollevati nel corso delle nostre discussioni. La prima questione riguardava il fatto se fosse un’esigenza morale per i pazienti prendere delle decisioni sulla cura in accordo con un piano premeditato per le loro vite. Un problema fondamentale qui è se i sentimenti hanno un ruolo nel riuscire a conoscere i valori, e se dovrebbero essere presi in considerazione in queste deliberazioni. Un’altra è in che modo possa essere valutata dagli altri questo tipo di conoscenza.
La seconda questione ha a che fare con il modo di intendere il costo di un trattamento. Alcuni confinano il costo alla modalità del trattamento in se stesso, considerandone così il dolore, la sofferenza, le spese. Altri considerano anche i costi della malattia di base.
Un problema chiave qui è cosa implica il rispettare la dignità delle persone che convivono con una incapacità cognitiva e/o fisica. Cioè, se il rifiutare il trattamento sulla base di un presente o di un anticipato deterioramento nel funzionamento cognitivo e/o fisico, o per te stesso o per un altro, è compatibile con il rispetto per la dignità ontologica di quella persona.