“È la fine di un incubo”. Sono queste le prime parole pronunciate da Meriam Yahya Ibrahim, la donna sudanese condannata a morte nel suo Paese per apostasia ed espatriata con l’intervento del governo italiano, appena giunta negli Stati Uniti con un volo proveniente da Roma. Meriam e la sua famiglia sono arrivati stanotte all’aeroporto di Filadelfia, dove hanno fatto scalo prima di trasferirsi a Manchester, nel New Hampshire. È qui che vogliono trasferirsi, dove già vive un fratello del marito.
Ad accogliere la donna, il marito e i loro due figli, una decina di persone, oltre al sindaco di Filadelfia, Michael Nutter. Quest’ultimo ha paragonato la vicenda di Meriam a quella di Rosa Parks, icona della lotta per i diritti civili dei neri dopo che si rifiutò di cedere il suo posto in autobus a un bianco, e le ha regalato una riproduzione della Liberty bell, simbolo di Filadelfia e dell’indipendenza americana. Nei giorni scorsi Meriam e la sua famiglia erano stati ricevuti in Vaticano da papa Francesco, il quale l’aveva ringraziata per la sua “testimonianza di fede”.