di José Antonio Varela Vidal

ROMA, giovedì, 19 gennaio 2012 (ZENIT.org) -  Padre Santino Brembilla è il primo italiano a dirigere la congregazione dei Montfortani. Missionario per molti anni in America Latina, parla con chiarezza delle sfide della vita religiosa nella nuova evangelizzazione e di altri aspetti della sua famiglia religiosa.

Qualche settimana fa, i superiori generali delle congregazioni religiose di tutto il mondo si sono riuniti per parlare della Nuova Evangelizzazione, e la domanda che è risuonata nell’ambiente è stata: che cambiamenti avverranno a breve tra i religiosi?

Padre Brembilla: Si è parlato di questa questione e ho apprezzato il fatto che tutti stiamo ritornando all’essenziale della vita religiosa: la conversione delle comunità e in particolare delle persone al Vangelo. Per questo occorre avere un’attenzione speciale alla formazione permanente, intesa come vivere con passione, intensità e profondità nel quotidiano, sempre alla luce della Parola di Dio. È fondamentale essere coerenti: prima di evangelizzare gli altri, dobbiamo convertire noi stessi e le nostre comunità al Vangelo. Abbiamo lasciato la riunione ben convinti che serve un profondo lavoro all’interno delle nostre Congregazioni.

A suo parere perché è “diminuita” questa passione?

Padre Brembilla: Sono molte le cause. Penso, ad esempio, all’avanzata della cultura della secolarizzazione nelle congregazioni. Anche se ripetiamo di credere e di vivere la nostra vocazione, lo stile di vita e i nostri pensieri riflettono invece molto della mentalità secolarizzata. Vi è un’altra causa, specialmente nel Nord del mondo, dove mancano nuove vocazioni: senza nuove generazioni che portano entusiasmo e voglia di cambiamento, le persone che avanzano nell’età si sono adagiate, perdendo la passione e la spinta che serve per il rinnovamento continuo del servizio di evangelizzazione.

Quali piste e orientamenti vengono dati per riprendere questa fedeltà evangelica?

Padre Brembilla: Nel nostro capitolo generale del maggio 2011 abbiamo indicato alcune linee orientative per seguire questo cammino che deve avvenire in noi, tra di noi e attraverso di noi negli altri. Senza un cambio profondo in noi e nelle fraternità, passando da una “vita comune” a una “comunione di vita”, non possiamo essere segni della buona notizia del Regno nella società di oggi.

Nell’assemblea dei Superiori Maggiori dell’anno scorso si sono identificati vari contesti difficili del vissuto della fede: indifferenza, quelli che hanno abbandonato, altri che “non ne hanno bisogno”… Che tipo di risposta potranno dare le congregazioni a questa sfida?

Padre Brembilla: Si esige da noi un nuovo modo di rapportarci con chi vive un ateismo pratico, con chi si è allontanato dalla fede o da un cammino di vita spirituale. Dobbiamo essere luce, segni, vivere in coerenza con il Vangelo. Le persone oggi, nonostante la secolarizzazione e il disinteresse per un cammino di fede, hanno sete di valori e il contatto, il dialogo, l’ascolto, la capacità di accompagnare in situazioni difficili, ad esempio, la famiglia in questo tempo di crisi finanziaria. È importante che i religiosi siano presenti e attenti, perché accogliendo le domande delle persone del nostro tempo possano avviare cammini per un recupero del senso profondo della vita.

Qualcuno si domanda quale è il ruolo della nuova evangelizzazione, diversa dalla missione ad gentes. I Monfortani, che operano in entrambi i due campi di azione, come agiscono?

Padre Brembilla: Fino a qualche decennio fa si parlava solo di evangelizzazione ad gentes, ma ora che molte società, un tempo cattoliche, si sono allontanate dalla fede, si parla di una loro nuova evangelizzazione. Essa è multi direzionale: non è diretta solo dal Nord al Sud del mondo e coinvolge tutti. Personalmente ho svolto per molti anni il mio lavoro apostolico in Perù, e lì nell’azione missionaria ho trovato più soddisfazione che in altri Paesi. L’Europa oggi si trova a dover rispondere ad una sfida importante.

Quale può essere l’aiuto dei missionari del “Sud” al “Nord”?

Padre Brembilla: Oggi servono persone appassionate. La missione di annunciare il Vangelo è possibile solo quando c’è questa passione che fa ardere il cuore, come ai discepoli di Emmaus. Da qui l’importanza di formare con cura le vocazioni alla vita religiosa che provengono dal Sud. Non dobbiamo preoccuparci tanto del numero, quanto della qualità, cioè della profondità e della coerenza di vita.

Come “far morire” il secolarismo che lei riscontra nelle congregazioni e ordini religiosi?

Padre Brembilla: Non è facile, perché è penetrato in modo tale che non se ne vede la fine. E mi riferisco a una vita molto comoda, direi borghese, dove si parla dei tre voti e tuttavia spesso non si vive la povertà e neppure l’obbedienza; dove l’individualismo è così radicato nella vita religiosa che diventa difficile trovare disponibilità per i necessari servizi missionari. Ci sono atteggiamenti che nei prossimi anni devono morire, se vogliamo rinnovarci.

Si sta dicendo in questi giorni che la Chiesa in Italia gode di molte agevolazioni, benefici, per cui si è aperta la discussione su quello che deve (o no) pagare la Chiesa…

Padre Brembilla: Secondo me è importante che l’informazione sia esatta e reale. Se le istituzioni religiose hanno attività di lucro, queste devono essere soggette alle leggi dello Stato, pagando le tasse per il bene comune. Nel contempo le opere caritative e di solidarietà devono essere pubbliche e conosciute perché ci sia il consenso della gente sulle esenzioni. Per esempio in Italia, nell’ambito dell’assistenza ai migranti che è una delle nuove povertà, ci sono religiosi che svolgono un servizio encomiabile e hanno bisogno di essere aiutati.

La congregazione dei Missionari Monfortani ha compiuto 300 anni, con una importante presenza in Haiti di quasi 150 anni, e nel Perù di 50 anni. Che significa tutto questo per lei?

Padre Brembilla: Sono stato in Perù per questo anniversario e molti mi dicevano: “siamo riconoscenti per tutto il bene che avete fatto nel Paese; la presenza della comunità monfortana è stato un dono del Signore”. Per noi questo è un motivo che ci spinge a continuare con la stessa passione e dedizione, vivendo il nostro carisma a servizio del Vangelo.

Parlando dell’evangelizzazione in America Latina, anche qui le critiche non mancano... Che giudizio dà al lavoro che si sta realizzando in questo continente?

Padre Brembilla: La mancanza di una presenza maggiore, più profonda e autorevole della Chiesa cattolica, è un problema serio. Mi ricordo nella mia missione in Perù, quando arrivai nella selva di Uchiza, regione di san Martin: la zona che mi affidarono comprendeva 80 paesi, con una sola chiesa nella cittadina di Uchiza, frequentata solo da persone di una certa età. Quando iniziai a lavorare nelle comunità e a visitare i paesetti, una signora mi disse che, pur essendo cattolica, ogni fine settimana frequentava un gruppo evangelico per poter ascoltare la Parola di Dio e cantare, perché i cattolici non si riunivano. Un’altra signora mi diceva che lei non andava al culto perché era cattolica, ma vi mandava i figli altrimenti quando avrebbero imparato la Parola di Dio? Penso che il vuoto lasciato dalla nostra Chiesa sia la causa del graduale allontanamento della gente che desidera vivere la fede. Ho lavorato con molti laici, riunendomi mensilmente con loro perché fossero in grado di animare le comunità cristiane. Era un modo per trovare comunità preparate e animate al mio passaggio. La formazione dei laici è da continuare o da riprendere come una priorità, perché con la preparazione di lai ci impegnati – che si assumono la loro responsabilità – si rafforzeranno le comunità cattoliche.

E i Monfortani, come potranno rispondere alla nuova evangelizzazione?

Padre Brembilla: Abbiamo celebrato da poco i 300 anni dell’inizio della Congregazione e nel 2016 celebreremo i 300 anni dalla morte del Fondatore. Per questo abbiamo pensato – specialmente a partire dal 2012, anno nel quale cade il trecentenario della redazione del Trattato della Vera Devozione a Maria del Montfort – di proporre ai confratelli della congregazione una riflessione seria per riappropriarci della spiritualità monfortana, attingendo anche alle altre Opere. Così potremo arrivare a celebrare i 300 anni dalla morte del Fondatore, non solo con gesti esteriori, ma attraverso un cammino che rinnovi la vita personale e quella delle comunità. Quando abbiamo incontrato il Papa, nel mese di maggio 2011, lui, con un grande sorriso in volto, ci ha detto che Giovanni Paolo II è  una grande figura che ha diffuso per tutto il mondo la profonda spiritualità del nostro santo fondatore. E anche nell’omelia della messa di beatificazione, il Papa ha citato due volte il Montfort, indicandolo come un Santo che ha avuto un grande influsso nella spiritualità del nuovo Beato.

Qualche altra ‘prospettiva’ da anticipare ai lettori?

Padre Brembilla: La nuova Amministrazione generale ha espresso il desiderio che si metta al centro il carisma ereditato dal Montfort, visto che la nostra congregazione - per ragioni storiche - ha svolto attività molto diversificate quali parrocchie, scuole e altro, smarrendo la propria specificità dell’evangelizzazione, attraverso le missioni per rinnovare lo spirito cristiano e riscoprire la gioia del battesimo. Il nostro Capitolo Generale ha chiesto di fare delle scelte coraggiose e audaci per riprendere questo percorso di coerenza con il carisma del Fondatore.

Quale è lo sviluppo attuale della congregazione?

Padre Brembilla: Non siamo molti, un po’ meno di 900 religiosi, presenti in 27 paesi. In questi ultimi anni ci stiamo un po’ stabilizzando come numero con le vocazioni provenienti dalle Filippine, Indonesia, India, così come dall’Africa e dall’America Latina. E siccome in Europa c’è un forte declino, stiamo pensando a cammini di collaborazione internazionale in quelle realtà storiche che presentano nuove sfide, per creare comunità internazionali che approfondiscano la formazione nella spiritualità monfortana, Un esempio è la Francia, luogo dove siamo nati. Questa scelta ci porterà a lasciare certi impegni pastorali, per esempio le parrocchie, riconsegnandole al clero diocesano.

A che punto è il processo per dichiarare San Luigi Maria di Montfort Dottore della chiesa?

Padre Brembilla: Anche se il processo è stato in parte interrotto, il Papa stesso ha invitato a continuare a lavorare su questo progetto. Il padre Lethel, carmelitano, che ha animato il ritiro di quaresima alla Curia in Vaticano, alla presenza del Papa, ha avuto la netta sensazione che Benedetto XVI, ascoltando le riflessioni sul Montfort, ha avuto un nuovo sguardo sulla figura del Montfort.

Cosa richiede la Chiesa per attribuirgli questo titolo?

Padre Brembilla: È importante presentare la sua opera nella sua completezza e non in modo parziale come fanno alcuni movimenti, che ne travisano il contenuto… Bisogna fare studi più accurati e organizzare incontri in diverse parti del mondo che mettano in luce l’influsso che il Montfort esercita anche oggi sulla spiritualità nella Chiesa.