Nonostante siano pochi coloro che  sanno di che si sta parlando, sono invece molti ad esprimere pregiudizi e valutazioni ideologiche in un senso o nell’altro.

Per far luce su un tema che è stato al centro del dibattito teologico per almeno tre decenni, ZENIT ha intervistato Mons. Krzysztof Charamsa, segretario aggiunto della Commissione Teologica Internazionale, ufficiale della Congregazione per la dottrina della fede, docente di teologia dogmatica alla Pontificia Università Gregoriana e all’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum a Roma

Per molti cattolici europei la teologia della liberazione è sinonimo di militanza comunista. Cosa ha detto a tal proposito la Congregazione per la dottrina della fede?

Nell’immaginario comune effettivamente molte volte rimane ancora la convinzione da lei accennata. La Congregazione per la dottrina della fede ha affrontato la questione nelle sue due istruzioni su alcuni aspetti della teologia della liberazione: Libertatis nuntius, pubblicata nel 1984, e Libertatis conscientia del 1986. In particolare nel primo testo si trova una sintetica riflessione sul rapporto tra il pensiero teologico e la cosiddetta “analisi marxista” (Libertatis nuntius, cap. VII). Infatti, bisogna riconoscere che i teologi della liberazione, con competenza e serietà, cercavano una conoscenza scientifica della situazione intollerabile ed esplosiva della povertà e della miseria. In questo ambito si confrontavano con la filosofia e con il metodo di analisi marxista. Ma bisogna anche riconoscere che tale confronto necessita sempre un attento discernimento di criteri epistemologici che il teologo intende adoperare. A tale riguardo interveniva la Congregazione, rilevando come alla lettura marxista della realtà sociale sono presupposti certi a priori ideologici e inconciliabili con la concezione cristiana dell’uomo e della società e, conseguentemente, con la riflessione teologica su tali realtà. Così si metteva in guarda da certi approcci della teologia della liberazione che potevano ingenerare una grave ambiguità nell’animo dei loro lettori.

Di recente sono stati ripubblicati dalla Libreria Editrice Vaticana i documenti da lei menzionati in due volumi, uno sull’istruzione Libertatis nuntius su alcuni aspetti della teologia della liberazione e l’altro sull’istruzione Libertatis conscientia su libertà cristiana e liberazione. Può spiegarci di che si tratta?

Si tratta di due nuovi libri della collana Documenti e studi, che stiamo curando nella Congregazione e per cui personalmente, all’interno del Dicastero, sono responsabile da qualche anno. È una collezione di volumi, dove vengono raccolti i maggiori documenti della Congregazione, riproposti nell’originale latino e nella traduzione italiana, insieme ad un’introduzione del Cardinale Prefetto, che ne ripresenta l’insegnamento nel contesto attuale, e a commenti preparati da esperti teologi che ne illustrano i temi principali. La serie è uno degli strumenti divulgativi della promozione della conoscenza della dottrina della fede anche nel più vasto pubblico di lettori.

Le due istruzioni pubblicate nei volumi 9 e 10 della serie, costituiscono in sé un’unità logica. Mentre il primo documento rileva piuttosto i principi che devono guidare un’autentica teologia della liberazione, mettendo in guardia da possibili lacune o errori, il secondo testo è più propositivo ed indica la strada di uno sviluppo coerente della teologia della liberazione, che nasce dall’accoglienza del messaggio biblico sulla libertà e sulla liberazione ed è legata alla tradizione della dottrina sociale della Chiesa.

Quali errori e quali meriti si possono trovare nella teologia della liberazione?

Penso che il primo errore è stato accennato pocanzi ed è costituito proprio da un non sufficiente discernimento dell’epistemologia marxista non di rado adottata nel passato. Mentre tra i meriti sottolineerei l’amore preferenziale per i poveri (cfr. Documento di Puebla, n. 382). La forte presa di coscienza di questo specifico carattere della missione della Chiesa nella storia, che sta in un’opzione preferenziale per i poveri (Puebla, nn. 733, 1134), a lungo andare e giustamente compreso, è stato indubbiamente un merito specifico e un impegnativo dono della sensibilità latino-americana per la Chiesa intera e per la riflessione teologica in ogni parte del mondo. I teologi della liberazione hanno ricordato a tutti il carattere spiccatamente evangelico dell’opzione per i poveri, della necessaria e continuamente rinnovabile sensibilità ecclesiale per tutte le forme di povertà.

Di fatto, molti osservano che la teologia della liberazione ha denunciato gravi situazioni di ingiustizia sociale. Cosa può fare la Chiesa per aiutare le vittime senza entrare in politica?

Risponderei con due immagini. La prima la colgo dalla copertina del nostro primo volume sulla teologia della liberazione. È l’immagine del Risorto di Perugino. I cristiani guardano tutta la realtà a partire da quella liberazione che ci ha portato il Signore Gesù, piegato sotto il giogo della croce, fattosi povero tra i poveri, ma risorto per la nostra salvezza. È a partire da questa alta prospettiva spirituale della liberazione che la Chiesa intende mettersi a fianco delle vittime di ingiustizie, di marginalizzazioni e di stigmatizzazioni, di odi e di violenze, di povertà inaccettabili.

Il secondo messaggio lo colgo dalla zelante esortazione apostolica di papa Francesco Evangelii gaudium (24 novembre 2013) che, in maniera programmatica, riprendeva l’insegnamento precedente e plasticamente identificava quattro principi spirituali, proprio senza entrare in politica, ma per avanzare nella costruzione dei popoli in pace, giustizia e fraternità. I principi che orientano lo sviluppo della convivenza sociale e la costruzione di un popolo in cui le differenze si armonizzino all’interno di un progetto comune (n° 221) ma anche i principi universali della dottrina sociale della Chiesa nel venire incontro alle vittime di povertà. Le quattro immagini paradigmatiche del Papa che qui elenco, rinviando al suo magistero, sono: “il tempo è superiore allo spazio” (nn. 222-225), “l’unità prevale sul conflitto” (nn. 226-230), “la realtà è più importante dell’idea” (nn. 231-233) e “il tutto è superiore alla parte” (nn. 234-237). Sono convinto che oggi, per aiutare chi soffre, per mettersi a fianco delle vittime delle ingiustizie e dell’odio, per dare la mano a tutti i lebbrosi ingiustamente emarginati, per affrontare le varie forme della povertà, abbiamo il dovere di far nostro il programma della Evangelii gaudium, di accoglierlo, rifletterne sulla sua visione profetica e farci missionari della gioia di Dio, del Suo conforto e della Sua consolazione per l’umanità.