Nell’attuale periodo storico, in più diocesi italiane (ma anche all’estero) si registra un dibattito sulla conservazione delle ostie consacrate, al termine del Sacrificio Eucaristico. Per una lunga fase temporale, le Sacre Specie sono state conservate in un tabernacolo posto in posizione preminente nel presbiterio. Prima, sopra l’altare maggiore, poi – quando l’altare è stato rivolto verso l’assemblea dei fedeli – sempre in un luogo centrale, poggiato su un’apposita mensola. In tempi recenti, un sempre più alto numero di persone si sta accorgendo che, specie nelle chiese di recente costruzione, è posto al centro del presbiterio esclusivamente l’altare, mentre il tabernacolo è messo da parte, posizionato altrove. In alcuni casi (es. parrocchia Santa Paola Romana, Roma-Balduina), a troneggiare è la sedia del presidente dell’assemblea (quasi una “cattedra”), mentre il tabernacolo è posto sopra una colonnina a destra, in posizione defilata e con scarso decoro (esiste poi, semi-nascosta, una cappella dell’adorazione).
In altre situazioni, il Santissimo non è conservato nel presbiterio, ma è collocato al di fuori, in un luogo diverso (cappella, altare laterale, struttura di tipo monumentale).

A questo punto, tra i fedeli, sono sorti molti interrogativi. Perché il Santissimo non si trova più nel presbiterio? Perché nel presbiterio troneggia la sedia del celebrante? Da varie voci, riportate dai media, deriva pure la seguente considerazione: al di là di ogni concezione “architettonica”, se non addirittura “utilitaristica”, dovrebbe essere semplice comprendere che è dalla dottrina (dall’insegnamento) che scaturisce l’edificio di culto, e non viceversa. Per cui a pari dottrina dovrebbe corrispondere pari edificio. Se oggi si notano delle considerevoli differenze tra gli edifici moderni e quelli passati non si può fare a meno – affermano alcuni – di considerare che “forse” è cambiata la dottrina.

A questi punti, si aggiungono poi dei nuovi quesiti: perché nelle chiese di recente costruzione si tende a togliere il Crocifisso? Oppure lo si pone a un lato dell’altare? O lo si sostituisce con immagini del Risorto? Su quanto abbiamo riportato esiste disorientamento, e non mancano criticità mal dissimulate. Per tale motivo ci siamo rivolti a uno storico della Chiesa rivolgendogli vari quesiti. Queste le risposte fornite dal prof. Guiducci.

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Prof. Guiducci, partiamo dalla storia del tabernacolo…
Si. Certamente. Può essere utile ricordare, intanto, che il termine tabernacolo deriva dal latino tabernaculum. È diminutivo di taberna con significato di dimora. Non è quindi un ripostiglio, o un contenitore ove tenere da parte “qualcosa”.
Nella Traditio ebraica e cristiana manifesta il luogo della casa di Dio presso gli uomini. Infatti, nella Vulgata (san Girolamo), la parola tabernaculum fu utilizzata per tradurre l’espressione ebraica: מִשְׁכָּן mishkhan, che significa dimora.

Il tabernacolo aveva storicamente delle caratteristiche?
Sì. Molto importanti. Una prima caratteristica era la centralità del tabernacolo. Presso il popolo di Israele si trattava di un santuario che si poteva trasportare. Accoglieva l’Arca dell’Alleanza (in ebraico ארון הברית, ʾĀrôn habbərît). All’interno dell’Arca erano contenuti i dieci Comandamenti, la verga di Aronne fiorita, e la manna. Il tabernacolo veniva eretto nel deserto. Accompagnava gli israeliti nel loro esodo, dopo l’uscita dall’Egitto. Ne avevano cura i membri della tribù di Levi (Leviti). In seguito, con l’entrata nella Terra Promessa, fu sostituito dal Tempio (Gerusalemme).

Perché era centrale il Tabernacolo?
Perché richiamava alla Presenza di Dio. In pratica: il Signore non guarda dall’alto, come uno spettatore il suo popolo, ma lo accompagna. Ne condivide i vissuti.

Un po’ come succede con i discepoli di Emmaus (Lc 24,13-35)…
Esattamente.

Oltre la centralità, esistevano altre caratteristiche del tabernacolo?
Sì. La sua disposizione grafico-spaziale, simboleggiava (schema geometrico) anche la creazione, la struttura del cosmo, la storia futura del popolo d’Israele fino all’età messianica, il tempo del “regno dei cieli”.

Il Cristianesimo ha ripreso il concetto di dimora…
Sì. Certo. Ovviamente in altri termini. La riflessione sulla reale Presenza di Dio nel pane consacrato pose un’esigenza: era necessario individuare un luogo di adorazione. Nei primi secoli, in genere, le Sacre Specie erano tutte consumate dai presenti durante la celebrazione eucaristica.
In seguito, le Chiese locali divennero territorialmente molto vaste. Dopo la Messa restavano ancora delle Specie Eucaristiche. Si decise, ovviamente, di tutelarle in ambienti adatti ad assicurare una protezione da profanazioni.
In seguito, intorno al XII secolo, cominciarono ad essere costruiti dei tabernacoli. Non vennero mai considerati dei contenitori, ma dei “troni” eucaristici. Cioè, dei punti centrali di tutto l’edificio di culto.
Tale dato è confermato anche da un fatto storico. Quando cominciò l’uso delle “Quarantore”, l’adorazione dei fedeli era in direzione del tabernacolo perché non esisteva ancora un’esposizione solenne (come avvenne, poi, in seguito).

Quindi, nel tabernacolo, Cristo-Eucaristia dimora…
Ovviamente il Signore Gesù è presente in ogni angolo dell’universo. È nel cuore di ogni persona. Però, certamente, nel tabernacolo esiste la Sua reale Presenza. Non la memoria, il ricordo, il segno, l’emblema, ma la Presenza.
Per tale motivo, tutte le chiese vennero edificate con un disegno che direttamente e indirettamente riconduceva alla centralità del tabernacolo. Cioè alla Presenza di Dio. È vero che per un lungo periodo fu possibile celebrare Messe negli altari laterali, ma ciò non mutò mai la centralità dell’altare maggiore e del tabernacolo…

Si può quindi parlare di uno strettissimo collegamento tra l’altare e il tabernacolo…
Sì. Certamente. L’altare richiama alla Passio Christi. E la tovaglia che vi si stende si collega alla Sacra Sindone.
Il tabernacolo riconduce al Christus risorto, trionfatore del peccato e della morte.
Ciò lo si comprende bene se si tiene conto che l’intero Evento Pasquale è costituito dalla Passio-Mors-Resurrectio del Signore Gesù.

Sul piano storico, sono avvenuti dei cambiamenti?
Sì. In talune comunità evangeliche si sono sviluppate delle prassi conseguenti ad alcuni enunciati dottrinali.

Quali?
Partendo dall’idea della “Cena”, alcuni evangelici hanno ritenuto che l’altare doveva essere curato secondo i normali criteri famigliari. Quando si cena si apparecchia la tavola. Quando si è terminato di mangiare, la tavola viene sparecchiata. Da qui la conseguenza: molti altari di comunità evangeliche rimangono spogli in assenza di riti.
C’è poi un secondo aspetto. In vari evangelici non viene riconosciuta la transustanziazione, cioè la trasformazione del pane e del vino in Corpo e Sangue di Cristo. Da qui la conseguenza: terminata la “Cena” non c’è bisogno di conservare il pane con il quale si comunicano i fedeli. Non c’è quindi tabernacolo.

La prassi che Lei ha ricordato ha riversato effetti anche nel mondo cattolico?
Lei comprende che i discorsi generalizzanti rimangono sempre deboli. Però, si può cautamente affermare che in molte chiese cattoliche l’altare maggiore, al di fuori della celebrazione eucaristica, tende a rimanere una struttura disadorna, simile più a una qualsiasi tavola famigliare che alla mensa ove viene celebrato il Sacrificio Eucaristico.

E con riferimento al tabernacolo?
Per secoli si è insistito giustamente su una esposizione velata. E anche in canti euc aristici torna questa linea. Attualmente, si ha l’impressione che emerga un linguaggio che accentua principalmente il concetto di custodia, di mera conservazione delle particole consacrate, di “riserva eucaristica”.

Ci sono delle conseguenze?
Beh, tenga conto che il fedele – quando entra in una chiesa moderna – sovente neanche si accorge dove sta il Santissimo Sacramento. E, nella migliore delle ipotesi, va alla ricerca del lumicino rosso che avverte della Presenza del Signore. Quando, poi, questi lumicini, sono tenui (o la chiesa non è illuminata), non è facile individuare il tabernacolo. A questo punto salta un percorso ascetico.

In che senso?
Vede, le nostre chiese – sul piano storico – sono sempre state costruite avendo alla base un itinerario spirituale. Il percorso è simboleggiato dalla navata centrale. Il rosone richiama la Perfezione, la Sapienza di Dio “Luce del mondo”, il battistero è il luogo dal quale inizia un itinerario ecclesiale, le immagini laterali (statue, dipinti, ecc.) richiamano il sostegno della Vergine Maria e dei santi, le finestre laterali sono simbolo dei Sacramenti (la Luce della Grazia), e – alla fine – si arriva all’altare maggiore, alla Presenza di Dio.

Ciò viene accompagnato anche da manifestazioni di fede…
Certo. La prima è quella di inginocchiarsi. Atto di adorazione.
La seconda è quella di segnarsi con l’acqua benedetta. Perché nella Chiesa e nella vita quotidiana tutto avviene “nel nome del Padre, del Figlio, e dello Spirito Santo”.
Inoltre, alcune esclamazioni richiamano la gioia dei pellegrini che si avvicinano al santuario di Dio finalmente raggiunto: “Sia lodato e ringraziato ogni momento il Santissimo e Divinissimo Sacramento”.

Prof. Guiducci, qualcuno ha scritto che le moderne chiese sono grandi, sono dispersive, sono fredde, non aiutano la concentrazione. Meglio una cappella dell’adorazione…
Vede, qui bisogna essere chiari. Intanto, molte chiese moderne (che ben conosco) sono inadatte alla loro funzione perché “brutte”, incapaci di comunicare la sacralità del luogo. Alcune sembrano casermoni. Altre rimangono vicine a dettami estetici poco liturgici. Altre potrebbero tranquillamente ospitare un incontro di boxe, in considerazione del disegno geometrico…
Ora, noi stiamo parlando di chiese cattoliche. Non di aule assembleari. Non di ambienti per manifestazioni culturali.
Allora, se parliamo di chiese, dobbiamo tornare al perché storico della chiesa. La chiesa è la Casa di Dio, ove i fedeli adorano, lodano, ringraziano e invocano singolarmente e comunitariamente il Signore Risorto, Dio della Vita e della Storia.
La conclusione è semplice. Se la chiesa è la Casa di Dio, allora è tutta la struttura che è al servizio dell’adorazione divina e non l’incontrario. Non è la liturgia che in qualche modo si deve adeguare all’astrattismo di alcuni architetti, ma è la creatività umana che deve essere capace di ricondurre sempre a un punto centrale. Ove è collocato l’altare del Sacrificio e il tabernacolo con il Cristo Risorto.

Prof. Guiducci, alcuni fedeli comunicano che nelle loro chiese si vanno togliendo i Crocifissi, sostituendoli con immagini di Gesù Risorto. La spiritualità della Croce sta mutando?
C’è qui un aspetto che trae origine, probabilmente , da aspetti (non ben compresi) della spiritualità ortodossa.

In che senso?
Nella spiritualità della Chiesa Latina ha progressivamente trovato spazio una contemplazione del Christus patiens, grazie anche alla predicazione dei Francescani e a quella di altri Ordini.
Secondo alcuni, questo insistere sui Dolori di Gesù, sull’agonìa, ha favorito degli itinerari di santificazione segnati fortemente da sofferenze personali, da discipline, dall’insistenza sulla corruzione della natura umana, da pessimismo con riferimento all’uomo redento, da ambienti tetri, da decorazioni macabre (con ossa umane), da mancanza di gioia, di letizia interiore…
Nella Chiesa d’Oriente, ha prevalso nel tempo una visione spirituale più legata alla divinizzazione originaria della natura umana, alla partecipazione di quest’ultima alla vita trinitaria, da cui deriva il suo carattere “dialogale” con il cielo…
A questo punto, qualcuno – forse – ha ritenuto utile una minore esposizione di Crocifissi e una migliore ostensione del Gesù Risorto.
La conseguenza, in alcune chiese, è stata evidente. Dall’altare è stato tolto il Crocifisso. In alcuni casi, l’immagine dell’Uomo dei dolori è stata collocata a un lato dell’altare, creando una situazione che lascia un po’ perplessi.
In altre situazioni, il Crocifisso è stato tolto del tutto, e si fatica un poco a ritrovarlo (in alto… in qualche parete… sotto l’altare…appoggiato a una colonna…).

Una situazione che disorienta…
Sì. È un qualcosa che genera confusione. Che rende perplessi. Per vari motivi. Esiste un rapporto inscindibile tra il Crocifisso e l’altare. Non sono realtà diverse. Che si possono separare. Sono un’unica realtà. Su “quell’altare” è posta la Croce. Su “quell’altare” Cristo si immola. Su “quell’altare” è mostrato ai fedeli il Corpo e il Sangue del Crocifisso. Tutto proviene da “quella” Croce.

Questo è un dato-chiave…
Sì, è fondamentale. Perché la Redenzione è passata attraverso la Croce. Certo, non si è fermata al Venerdì Santo. Ma ha comunque affrontato l’Ora profetizzata nei secoli, e ricordata dallo stesso Gesù ai suoi discepoli.

Quindi non esiste “squilibrio” nell’insegnamento cattolico…
Non c’è alcun squilibrio perché l’Evento Pasquale include la Sofferenza del Figlio di Dio, l’Oblazione totale, la Deposizione, la Risurrezione. A questo punto, insistere sulla “tristezza” permanente nella Chiesa è un fatto debole per un motivo…

Quale?
Perché è proprio guardando al tabernacolo che ci si rende conto di essere in presenza del Risorto.
In tal senso, tutto il Mistero Pasquale è segnato da un percorso che si conclude con un Evento di vittoria: l’altare (Passio), la tovaglia dell’altare (deposizione), il tabernacolo (Cristo trionfante).
Evidentemente, la vittoria del Signore Gesù si colloca nel grande Mistero della nostra Redenzione. Quindi, la gioia cristiana è una letizia interiore. Nasce dalla consapevolezza che siamo dei redenti. Delle persone nuove in Cristo.

Possiamo trarre qualche conclusione?
Non è semplice. Comunque si può affermare, da una parte, che il fedele deve rimanere attento alle indicazioni che riceve dall’autorità ecclesiastica. Dall’altra, si può forse accennare al fatto che in taluni luoghi di culto si osserva una minore attenzione alla Presenza reale di Gesù-Eucaristia.
Lo si denota in tante piccole situazioni. Osservando, ad esempio, alcune celebrazioni dell’Eucaristia emergono, in alcuni casi, realtà deboli. Ad esempio: rito della Consacrazione divenuto “celere” perché l’omelia è andata per le lunghe, o una genuflessione (gesto di adorazione) affrettata, o un distribuire l’ostia consacrata con un comportamento poco liturgico.
Altri esempi: persone che entrano in chiesa senza inginocchiarsi (tanto non c’è il Santissimo), senza fare il segno della croce, parlando tra loro stile salotto. Si potrebbe continuare ma si lascerebbe in tal modo il sentiero della cronaca bianca.
È meglio, quindi, evidenziare solo un’idea. Inginocchiarsi davanti alla sedia del celebrante non ha senso. Ricollocare al centro dell’abside il tabernacolo, e spostare ai lati le sedie dei celebranti, sarebbe meglio. Si tornerebbe a contemplare Gesù Vivo che nell’Ultima Cena dona Sé stesso.

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fonte: CarloMafera.wordpress.com