L’esperienza storica è il secondo ambito di ricerca, analizzato in Verità e metodo, in cui è presente attivamente l’atteggiamento esistenziale del Verstehen (comprensione).
Lo storiografo è co-implicato nell’ambito storico indagato e, quindi, gli eventi storici non possono essere ricercati oggettivisticamente perché ogni essere umano vive all’interno di una tradizione storica “nella cui luce – scrive Gadamer – ci si mostra tutto ciò che è oggetto di comunicazione storica”[1].
E’ questa appartenenza a una tradizione che consente allo storiografo di indagare la storia, la quale, come è stato evidenziato, non può mai essere oggettivata perché colui che ricerca è sempre coinvolto esistenzialmente nell’ ‘oggetto’ ricercato.
Il rapporto di coappartenenza che unisce ogni interprete al proprio mondo storico consente l’interpretazione del passato, il quale è attivo nel presente con i suoi “effetti storici” (Wirkungsgeschichte)[2] ed è un elemento costitutivo della coscienza storica[3].
Il passato tramite la “storia degli effetti” appartiene quindi, in qualche modo, al presente, ma tale appartenenza non è identità perché tra passato e presente perché esiste sempre uno scarto ineliminabile, una “distanza”, che si manifesta anche nel fenomeno della “fusione degli orizzonti” (Horizontverschmelzung), che verrà descritto in seguito.
Tale “distanza – scrive il filosofo – non è un abisso spalancato davanti a noi, ma è riempito dalla continuità della trasmissione e della tradizione”[4].
Il passato, anche se costituisce ontologicamente ogni essere umano, è un’alterità rispetto al presente, quindi il fenomeno della distanziazione è specifico dell’esperienza storica. In effetti il passato è implicato in ogni istante della vita umana, ma è anche vero che c’è una distanza tra la storia passata e quella presente.
Questa distanza si situa all’interno del fenomeno della “fusione degli orizzonti”. Quest’ultima non è l’identità di presente e passato, perché altrimenti il passato non verrebbe colto come alterità. Nella fusione degli orizzonti l’alterità del passato viene interpretata alla luce dell’esperienza presente.
Secondo Gadamer, il passato viene ricompreso all’interno del presente, quindi è impossibile un ritorno archeologico al passato, ponendo tra parentesi l’esperienza storica attuale dell’essere umano, perché “nell’atto della comprensione si realizza una vera fusione degli orizzonti”[5] del presente e del passato.
Riguardo all’interpretazione del passato il filosofo esprime posizioni analoghe a quelle di Hegel[6], secondo cui lo Spirito è sempre presente nella sua attualità, per cui è impossibile l’immedesimazione in una situazione storica passata e la conseguente “restituzione del passato”[7]; la storia è infatti un cammino progressivo nel quale, come scrive Gadamer in riferimento a Hegel, “non si può ‘fare’ due volte una stessa esperienza”[8].
Il filosofo concorda quindi con Hegel nell’affermare l’impossibilità per l’interprete di situarsi esistenzialmente nella realtà storica specifica di un autore del passato come sosteneva l’ermeneutica romantica, la quale intendeva risalire al mondo dell’autore tramite l’analisi del testo, per “capire l’autore meglio di quanto egli stesso si sia capito”[9].
Gadamer è però antihegeliano nel sostenere l’essenziale finitudine dell’essere umano, quindi dell’interpretante, in continuità con l’insegnamento di Heidegger. Scrive infatti:
“Esperienza è […] esperienza della finitezza umana. Sperimentato nel senso più autentico è colui che è consapevole di tale finitezza, che sa di non essere padrone del tempo e del futuro. L’uomo sperimentato, cioè, sa i limiti di ogni previsione e l’insicurezza di ogni progetto. In lui si attua tutto il valore di verità dell’esperienza […]. L’autentica esperienza è quella in cui l’uomo diventa cosciente della propria finitezza”[10].
Egli nega, contrariamente a quanto sostiene Hegel, che sia possibile una comprensione assoluta della storia, perché l’essere umano, data la sua finitudine, non può mai raggiungere una conoscenza esaustiva del mondo storico, ma può soltanto interpretare quest’ultimo in modo prospettico, mantenendo un continuo dialogo con la tradizione.
Il riconoscimento della finitezza umana comporta, nell’ambito dell’ermeneutica storiografica, l’affermazione del carattere prospettico di ogni conoscenza storica. Infatti lo storico analizza il mondo storico secondo modalità interpretative che variano epocalmente e, all’interno della stessa epoca, sono diverse nei singoli individui. La verità storica può essere quindi compresa da diverse prospettive interpretative.
L’atteggiamento del Verstehen è presente, oltre che nell’indagine storiografica, anche nel rapporto che, in generale, ogni essere umano attua nei confronti del linguaggio, poiché quest’ultimo “è il mezzo universale in cui si attua la comprensione stessa”[11], infatti “ogni comprensione è interpretazione, e ogni interpretazione si dispiega nel medium di un linguaggio, che da un lato vuole lasciare che si esprima l’oggetto stesso e dall’altro, tuttavia, è il linguaggio proprio dell’interprete”[12].
Il terzo ambito di ricerca analizzato in Verità e metodo[13] è il linguaggio, che comprende sia l’estetica che la storiografia perché ambedue sono linguaggi[14].
Secondo Gadamer, l’essere umano può soltanto comprendere il linguaggio, poiché questo è inindagabile oggettivisticamente. Scrive infatti:
“E’ ben vero che la natura del linguaggio è tra le cose più oscure per il pensiero. Il linguaggio è così straordinariamente vicino al pensiero e così poco oggettivabile, che si può dire che di per se stesso nasconde la propria essenza”[15].
Il linguaggio è una dimensione trascendentale. Scrive infatti il filosofo:
“Il linguaggio sta sempre al di là di ogni critica dei suoi limiti. La sua universalità va di pari passo con l’universalità della ragione”[16].
Il linguaggio, come il Verstehen, è un ambito trascendentale e non può, quindi, essere inteso come un oggetto indagabile empiricamente. Scrive in proposito:
“Della comprensione (Verstehen) vale ciò che vale del linguaggio. Entrambi non si possono intendere solo come un factum che può divenire oggetto di indagine empirica. Entrambi non sono mai semplici oggetti, ma abbracciano e comprendono in sé tutto ciò che può divenire oggetto”[17].
Il linguaggio, che è inoggettivabile nella sua essenza, è fondamentalmente e implicitamente quello “ordinario o naturale”, cioè quel linguaggio che l’essere umano acquisisce nell’ambiente in cui vive e con il quale si rapporta al mondo.
Questo tipo di linguaggio è sempre a tergo di qualsiasi riflessione su di esso perché ogni riflessione lo presuppone.
Il linguaggio ordinario è di carattere connotativo e implica l’esperienza vissuta di colui che parla o ascolta, esso consente quindi il dialogo intersoggettivo.
Il dialogo ”è un processo di comprensione”[18] che implica l’ascolto reciproco degli interlocutori e permette una comunicazione di carattere esistenziale.
L’ermeneutica gadameriana dell’arte, della storiografia e del linguaggio è stata oggetto, come vedremo nel prossimo articolo, di accese critiche, tra le quali la più corrosiva riguarda l’assenza di un criterio di verità che permetta di distinguere un’interpretazione vera da una falsa.
La quinta parte è stata pubblicata sabato 7 febbraio 2015.
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NOTE
[1] Ibidem, p. 347.
[2] Cfr. ibidem, pp. 359-357.
[3] Gadamer esprime il proprio dissenso nei confronti dell’ “obiettivismo storicistico”, che, “tenendosi alla sua metodologia critica, chiude gli occhi davanti all’intreccio della storia degli effetti in cui la coscienza storica stessa si trova avviluppata” (H. G. Gadamer, La Wirkungsgeschichte. Elementi di una teoria dell’interpretazione, in H. G. Gadamer, P. Ricoeur, C. Lévi-Strauss, Problemi dell’interpretazione, cit., p. 118). A suo avviso, “bisogna imparare a conoscere meglio se stessi, riconoscendo che in ogni comprensione, se ne sia o no consapevoli in modo esplicito, è sempre all’opera questa storia degli effetti” (ibidem, p. 119). Le stesse considerazioni si ritrovano anche in Verità e metodo, cit., p. 351.
[4] Ibidem, p. 347.
[5] Ibidem, p. 357.
[6] Cfr. ibidem, pp. 409-416.
[7] Ibidem, p. 207.
[8] Ibidem, p. 409.
[9] Ibidem, p. 409.
[10] Ibidem, p. 413.
[11] Ibidem, p. 447.
[12] Ibidem.
[13] Cfr. ibidem, pp. 441-559.
[14] Cfr. ibidem, pp. 542-543.
[15] Ibidem, p. 436.
[16] Ibidem, p. 461.
[17] Ibidem, p. 464.
[18] Ibidem, p. 443.