L’incontro è stato aperto dall’ambasciatore Antonio Bernardini, della Rappresentanza Permanente d’Italia, che insieme al Meeting ha organizzato il convegno per raccontare ai delegati un’esperienza reale di dialogo e libertà.

Nel suo intervento introduttivo, ricorda un comunicato, Bernardini ha sottolineato “alcuni tratti del Meeting particolarmente rilevanti per il nostro lavoro alle Nazioni Unite: la curiosità, il dialogo e l’amicizia”, e “quello che è il cuore del Meeting, centinaia di persone che lavorano gratis all’organizzazione di questo evento”.

Il presidente del Meeting, Emilia Guarnieri, ha ricordato che spesso per definire l'esperienza riminese si dice “Abbiamo investito sul cuore dell’uomo”.

“Ci sentiamo definiti da quella fiducia nell’uomo che non si identifica con l’irragionevole ottimismo di chi non si accorge della violenza, delle guerre, del male che c’è attorno a noi e dentro di noi”.

“Nella vita quotidiana e anche in questi trent’anni di Meeting abbiamo visto tanti esempi di bellezza, di solidarietà, di grandezza, di speranza, di costruzione, di lavoro – ha confessato –. Abbiamo visto musulmani abbracciarsi con ebrei e cantare insieme alla cena dello Shabbat, carcerati venuti al Meeting a raccontare in una mostra il proprio percorso di cambiamento”.

“Sono proprio questi esempi che documentano che il cuore dell’uomo è capace di desiderare il bene e il bello ed è altrettanto capace di spendere la vita per costruirlo”. “Il Meeting è un luogo di libertà, in cui è possibile confrontarsi, guardare con serietà al prossimo imparando di più su noi stessi e sugli altri”.

Il giurista ebreo Joseph Weiler ha sottolineato dal canto suo che il Meeting è “unicità, apertura intellettuale, vita, gioventù, famiglia”. “E’ un’esperienza umana, è la realizzazione a livello privato dei più profondi ideali delle Nazioni Unite: Nazioni Unite, Popoli Uniti”.

Wael Farouq, professore di tradizione musulmana, ha invece raccontato gli ultimi sviluppi del Meeting Cairo, un fratello minore del Meeting nato in Egitto nell'ottobre scorso e a cui hanno lavorato 150 cristiani e musulmani.

“Questo piccolo gruppo di persone si è impegnato nella realtà egiziana”, ha indicato. “Dopo gli attacchi alla chiesa di Alessandria abbiamo preso in mano le armi della bellezza e dell’arte di fronte alla violenza. Quando la rivoluzione è iniziata, il gruppo del Meeting Cairo è stato in prima linea e ha partecipato a tutte le manifestazioni”.

“Forse poi la più grande iniziativa è stata la conferenza che si è tenuta due settimane fa, il 7 di maggio, con 5000 partecipanti per costruire un fronte liberale che assicuri la civiltà del Paese egiziano e un coordinamento fra i partiti liberali e dei poteri politici in parlamento per le imminenti elezioni presidenziali”.

“Ciò che questo gruppo ha fatto e l'esistenza stessa di questo gruppo non è altro che il risultato dell’esperienza che abbiamo vissuto al Meeting di Rimini: un’esperienza di liberazione da stereotipi e pregiudizi”, ha riconosciuto.

Sottolineando l'importanza del dialogo, ha aggiunto che questo “dovrebbe essere basato su un incontro, poiché è nell'incontro che la persona fa posto, nella sua vita, a un'altra persona e comincia a scoprirla”.

“In questo senso, la differenza è la base della conoscenza e il dialogo è uno degli strumenti per conseguirla, perché l'eliminazione della differenza per dialogare con l'altro non è meno aberrante dell'eliminazione dell'altro a causa della differenza”.