Da bambini eravamo sempre scalzi. Forse perché “poveri”, forse perché abitavamo in aperta campagna, ove era agevole correre per i prati, giocare nel cortile sterrato di casa, camminare sul pavimento di mattoni o andare in paese su viottoli di terra battuta attraverso i campi. Soltanto per entrare in chiesa o a scuola, sulla porta indossavamo i sandali. Forma di rispetto?

La mia entrata in seminario a 10 anni segnò la data non solo del mio primo paio di pantaloni lunghi, ma anche il momento in cui infilai per la prima volta un paio di scarpe; ne ero particolarmente fiero anche perché – ricordo – erano lucide e, scricchiolando, si facevano notare.

Ero lontano dal pensare che Dio mi avrebbe chiamato a far parte dell’Ordine dei Carmelitani Scalzi.

Qua e là, a Venezia come anche qui a Verona, sono chiamati semplicemente Scalzi.

Quante volte mi è stato chiesto: perché “Scalzi”? I  motivi sono tanti e anche validi. Ma ce n’è uno che particolarmente mi piace: il bambino è praticamente sempre scalzo perché non cammina, né mai gli è chiesto di farlo con le sue gambe, né ha problemi dove mettere i suoi piedini, né ha località particolari da raggiungere.

Non ha scampo, né ha altra scelta: è libero di stare in braccio. La sua mamma è il suo stare, la sua mamma è il suo andare. Perché “bambino” non ha che la mamma.

Anch’io, perché “Scalzo”, non ho altra scelta che Dio. Meglio di così non posso stare o andare. È la più grande libertà che, con me, ogni uomo possa godere.

Ciao da p. Andrea

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