ROMA, mercoledì, 29 febbraio 2012 (ZENIT.org).- «In Europa dell’Est le persone credono per natura. Ma in molti non hanno mai appreso la profonda verità della fede». In visita al quartier generale di Aiuto alla Chiesa che Soffre, monsignor Mieczyslaw Mokrzycki racconta il disorientamento religioso dell’ex repubblica sovietica.

L’arcivescovo di Leopoli spiega alla Fondazione pontificia che dopo decenni di ateismo forzato diversi ucraini «cercano risposte al loro urgente bisogno di fede» nell’aiuto d’indovini o astrologi. «Tutti qui si fanno il segno della croce se passano di fronte ad una Chiesa - ironizza “don Mietek” per spiegare l’innata tendenza degli esteuropei di credere in Dio – ma la loro fede è priva di solide basi».

Per questo, in vista dell’anno della Fede indetto da Benedetto XVI, l’arcidiocesi di Leopoli sta organizzando diverse iniziative e, seguendo le indicazioni pastorali pubblicate dal Vaticano, numerosi pellegrinaggi. Queste occasioni, puntualizza monsignor Mokrzycki, non vanno intese come semplici «gite avventurose» ma come momenti di condivisione e di raccoglimento in preghiera.

L’ex segretario di Giovanni Paolo II riferisce con orgoglio dell’assidua partecipazione dei giovani alla vita della Chiesa. «E’ gratificante vedere quanti ragazzi, soprattutto studenti, partecipino ai nostri incontri perché desiderano condurre una vita giusta in cui Dio sia sempre presente». A preoccupare il presule sono invece i più piccoli, che soffrono la «mancanza di sicurezza affettiva» e spesso si rifugiano nell’uso di stupefacenti. «In Ucraina il numero di famiglie separate è sconcertante e cresce inarrestabile anche il numero degli euro-orfani: i figli degli ucraini che si sono trasferiti all’estero in cerca di lavoro».

Aiuto alla Chiesa che Soffre è dal 1963 al fianco della Chiesa in Ucraina, per la quale nel 2010 ha realizzato progetti per oltre 4,5 milioni di euro. Numerosi gli interventi di ricostruzione e restauro – tra cui la ristrutturazione della curia di Leopoli – e i progetti relativi alla formazione, come la pubblicazione del nuovo Catechismo della Chiesa greco-cattolica ucraina: «Христос наша Пасха» (Cristo nostra Pasqua).

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Per informazioni su Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS): http://www.acs-italia.glauco.it/

SPECIALE ASSISI: L'allocuzione della Rappresentante dei non credenti o agnostici

ROMA, sabato, 29 ottobre 2011 (ZENIT.org).- Per chiudere il nostro speciale su Assisi, pubblichiamo di seguito l’allocuzione pronunciata dalla filosofa, psicanalista e scrittrice Julia Kristeva, rappresentante dei non credenti o agnostici.

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Cos’è l’umanesimo? Un grande punto di domanda sulla questione più seria? È nella tradizione europea, greco-giudaico-cristiana che si produce questa realtà, che continua al tempo stesso a promettere, a deludere, a rifondarsi.

Signore e Signori,
Le parole di Giovanni Paolo II, “Non abbiate paura!”, non sono indirizzate unicamente ai credenti, perché esse incoraggiavano a resistere al totalitarismo. L’appello di quel Papa, apostolo dei diritti umani, ci spinge anche a non temere la cultura europea, ma, al contrario, ad osare l’umanesimo: nel costruire delle complicità tra l’umanesimo cristiano e quello che, scaturito dal Rinascimento e dall’Illuminismo, ha l’ambizione di aprire le strade rischiose della libertà.

1. L’umanesimo del XXI secolo non è un teomorfismo. Né “valore”, né “fine” , l’Uomo con la maiuscola non esiste. Dopo la Shoah il Gulag, l’umanesimo ha il dovere di ricordare a uomini e donne che se, per un verso, noi ci riteniamo gli unici legislatori, è unicamente attraverso la continua messa in questione della nostra situazione personale, storica e sociale che noi possiamo decidere della società e della storia.

2. L’umanesimo è un processo di rifondazione permanente, che si sviluppa unicamente grazie a delle rotture che sono delle innovazioni. La memoria non riguarda il passato: la Bibbia, i Vangeli, il Corano, il Rigveda, il Tao, ci abitano al presente. Affinché l’umanesimo possa svilupparsi e rifondarsi, è giunto il momento di riprendere i codici morali costruiti nel corso della storia: senza indebolirli, per problematizzarli, rinnovandoli di fronte a nuove singolarità.

3. L’umanesimo è un femminismo. La liberazione dei desideri doveva condurre all’emancipazione delle donne. Le battaglie per una parità economica, giuridica e politica necessitano di una nuova riflessione sulla scelta e la responsabilità della maternità. La secolarizzazione è a tutt’oggi la sola civilizzazione che manchi di un discorso sulla realtà della madre. Questo legame passionale tra la madre e il bambino, attraverso il quale la biologia diviene senso, alterità e parola, è una “reliance” che, differente dalla funzione paterna e dalla religiosità, le completa, partecipando a pieno titolo all’etica umanista.

4. Poiché risveglia i desideri di libertà di uomini e donne, l’umanesimo ci insegna a prenderci cura di essi. La cura amorosa per l’altro, la cura della terra, dei giovani, dei malati, degli handicappati, degli anziani non autosufficienti, costituiscono delle esperienze interiori che creano delle nuove prossimità e delle solidarietà inattese. Non abbiamo un altro modo per accompagnare la rivoluzione antropologica, già annunciata dalla corsa in avanti delle scienze, dai procedimenti incontrollabili della tecnica e della finanza, e dall’incapacità del modello democratico piramidale a canalizzare le novità.

5. L’uomo non fa la storia, noi siamo la storia. Per la prima volta, l’homo sapiens è in grado di distruggere la terra e se stesso in nome delle proprie credenze, religioni o ideologie. Ugualmente per la prima volta gli uomini e le donne sono in grado di rivalutare in completa trasparenza la religiosità costitutiva dell’essere umano. L’incontro delle nostre diversità qui, ad Assisi, testimonia che l’ipotesi della distruzione non è l’unica possibile. Nessuno può sapere quali esseri umani succederanno a noi che siamo impegnati in questa transvalutazione antropologica e cosmica senza precedenti. La rifondazione dell’umanesimo non è un dogma provvidenziale né un gioco dello spirito, è una scommessa.

Signore e Signori, l’età del sospetto non è più sufficiente. Di fronte alle crisi e alle minacce che si aggravano, è giunta l’età della scommessa. Osiamo scommettere sul rinnovamento continuo delle capacità di uomini e donne a credere e a conoscere insieme. Affinché, nel “multiverso” bordato di vuoto, l’umanità possa perseguire ancora a lungo il proprio destino creativo.