Z come Zattera

Uno dei simboli più noti per indicare la Chiesa è la barca, che evoca Pietro, pescatore di uomini

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Nel Libro della Sapienza si possono leggere queste curiose parole: “mentre perivano i superbi giganti, la speranza del mondo, rifugiatasi in una zattera e guidata dalla tua mano, lasciò al mondo un seme di nuove generazioni” (Sap 14,6).

Siamo abituati come cristiani al linguaggio dei simboli. Uno dei simboli più noti per indicare la Chiesa è la barca. La barca di Pietro, il pescatore di Galilea, fatto pescatore di uomini dal Signore. Il simbolismo della zattera è abbastanza inusuale, ma le parole della Bibbia ci dicono addirittura che la speranza del mondo si rifugia in una zattera, guidata dalla mano di Dio.

La zattera è ciò a cui si aggrappano i sopravvissuti ad un naufragio. È la speranza di chi non vuole farsi travolgere dalle onde.

È quindi un simbolo legato ad uno degli elementi fondamentali nella storia umana, e si carica di molteplici simbolismi in tutte le religioni.

Per l’uomo primitivo che viveva in stretto contatto con la natura, le cose veramente importanti erano poche e riconducibili ai quattro elementi: il fuoco, la terra, l’aria e l’acqua, considerati dunque “divini”.

L’acqua tra i quattro elementi è il più presente nella speculazione simbolica, perchè esso più di ogni altro si carica di significati legati all’origine della vita e rappresenta per eccellenza il principio vitale che penetra le cose della natura.

Fin dall’antichità si parla dell’acqua come fonte originaria della vita e le religioni, dalla Genesi alle mitologie Indù, citano l’acqua come luogo di nascita delle creature animate e inanimate dell’Universo.

Inoltre l’acqua è collegata alle profezie degli oracoli, infatti, spesso, una profezia veniva rivelata attraverso una fontana o una sorgente, oppure erano gli stessi siti oracolari che terminavano con una fonte, come gli oracoli di Apollo a Didima, Delfi e Rodi.

L’acqua viene espressa come principio cosmico femminile, anima del Mondo, Madre per eccellenza, genitrice di vita.

Quest’aspetto femminile lo esprime attraverso attributi di passività, accoglienza, recettività.

Il suo stato liquido la rende libera da qualsiasi vincolo e le dà la capacità di trasformarsi e assumere qualsiasi forma, riempiendo gli spazi e colmando i vuoti. È l’elemento che mette in comunicazione, crea un ponte tra lo spirito e la materia.

L’acqua è anche simbolo dell’amore, poiché abbraccia senza costringere, e genera la vita.

L’acqua, inoltre, pulire da ciò che sporca, e pertanto- sempre in chiave simbolica- è purificatrice. Sono molte le religioni antiche che la utilizzarono ritualmente a questo scopo, con cerimonie di lustrazione, che avevano lo scopo di purificare persone e luoghi fisici attraverso l’aspersione di acqua. Ancora oggi nel Cristianesimo l’acqua è uno degli elementi fondamentali ed indispensabili per alcuni Sacramenti, in particolare il Battesimo, ovvero l’iniziazione alla vita cristiana, e l’inizio di una vita nuova.

Nell’immaginario collettivo l’acqua non ha mai perso completamente la connotazione cosmica di elemento originario, alla stregua del liquido amniotico dell’ambiente protettivo intrauterino.

Nella Bibbia si narra che all’inizio della Creazione lo spirito di Dio aleggiasse sulle acque; l’acqua quindi è vista come manifestazione della potenza creatrice di Dio.

Tutto l’antico Testamento esalta il segno di benedizione dell’acqua: il Diluvio e il passaggio attraverso il Mar Rosso segnano la sua forza distruttrice, ma anche la rinascita dell’umanità. Lo stesso Diluvio diventa un mezzo per cancellare ogni forma di vita impura, allo scopo di dare vita ad un nuovo mondo.

Il mare rappresentava anche il caos primordiale, quello su cui, come descritto dal Libro della Genesi, aveva aleggiato lo Spirito creatore di Dio, mettendo orine nel caos. Prima ancora di sollevare i continenti e di popolarli di vita, Dio separa le acque inferiori – l’oceano sotterraneo- da quelle superiori, l’oceano celeste.

Occorre tenere conto di questa cosmologia per capire perchè gli Ebrei nutrivano verso di esso una certa diffidenza e avevano paura di essere sommersi e sterminati dalle acque. Essi infatti si ritenevano circondati dall’acqua da ogni parte. Le grandi distese acquee erano sinonimi di pericolo. Gli Israeliti non erano un popolo marinaro come i vicini Fenici: erano gente di terraferma, abituata al deserto ed alla pastorizia sulle colline della Galilea e sulle montagne di Giuda. Quindi, per essi il mare rappresentava istintivamente un nemico, un luogo popolato fin dall’inizio da mostri, da spiriti maligni, come il Leviatano, il terribile mostro delle acque primigenie.

Il mare è dunque popolato dai mostri del caos originario, che in qualunque momento, se Dio non vegliasse continuamente sul Suo creato, potrebbero ritornare in vita e riportare tutto l’universo col suo splendore ad un immenso deserto d’acque.

La cosmologia ebraica fu senza dubbio influenzata anche dalle mitologie dei popoli pagani vicini ad Israele, come quello babilonese.

Molte volte il mare nel linguaggio simbolico della Bibbia indica le persone che non riconoscono Dio. Isaia paragonò i malvagi della terra, le masse alienate da Dio, al “mare che viene agitato, quando non si può calmare, le cui acque continuano a cacciar fuori alghe e fango” (Is 57,20)

Per descrivere le persone prive di fede la scrittura ricorre ad immagini marine: san Giacomo paragona chi è privo di fede e ha dubbi quando prega Dio, a “un’onda del mare mossa dal vento e spinta qua e là”. Costui non riconosce o non apprezza la straordinaria generosità e l’amorevole benignità di Dio. “Non supponga quell’uomo che riceverà alcuna cosa da Geova; è un uomo indeciso, instabile in tutte le sue vie”, precisa Giacomo (Gc 1,5-8).
Su questo mare pericoloso naviga dunque la barca della Chiesa, una barca che a volte può sembrare solo una piccola zattera, una zattera a cui attaccarsi per non affondare, per non essere preda furiose onde del mare. Una zattera per arrivare al porto sicuro che è la nostra meta.

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Paolo Gulisano

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