Conversion of Raimondo Lullo

Fr. Pietro Messa ofm

Raimondo Lullo e il dialogo interreligioso

Le tre religioni coincidono non solo nel fatto che tutte parlano di un solo Dio, ma anche nell’immagine di Dio creatore e giudice del mondo che le caratterizza

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Se si fa ricerca su Lullo, esordisce Annamarie Mayer in uno degli ultimi testi pubblicati su questo tema, bisogna condurre l’investigazione del suo pensiero collocandolo nel suo tempo e nel suo ambito, ma simultaneamente dobbiamo fare riferimento al nostro tempo.

Oggi, riconosce la studiosa, non è facile tracciare una mappa delle religioni, come conseguenza della globalizzazione del mondo. Dal punto di vista della teologia cattolica abbiamo come guida per la convivenza, come per l’interazione teologica con le altre religioni, i documenti del concilio Vaticano II, che ha sottolineato il desiderio di Dio per una salvezza universale: la Chiesa cattolica non rifiuta ciò che c’è di vero e santo nelle altre religioni e guarda con sincero interesse a quegli stili di vita, dottrine e norme che possono portare un raggio della verità che illumina tutti gli uomini; tuttavia essa annuncia il Cristo che è «via, verità e vita» (Gv 14,6), in cui gli uomini devono trovare la pienezza della vita religiosa.

Siamo abituati a pensare che prima del Vaticano II fossero considerati esclusi dalla salvezza quanti si trovavano fuori dalla Chiesa cattolica. Per cogliere bene il pensiero di Lullo dobbiamo, invece, conoscere quale fosse la situazione ai suoi tempi.

È vero che il concilio Laterano IV nel 1215 professava una sola Chiesa universale di fedeli, fuori della quale non c’è salvezza, e che nel 1302 la bolla Unam sanctam di Bonifacio VIII ribadiva tale concetto. Lullo, tuttavia, decide di seguire altre piste, i cui presupposti già si trovavano nella Summa theologica di Tommaso, dove viene affermato che «ogni vero, da chiunque sia detto, viene dallo Spirito Santo». Con tale affermazione non si sostiene che ci sarà la salvezza per mezzo delle altre religioni, ma che esse non devono essere considerate un ostacolo tanto grave, perché possono contenere elementi o vestigia della verità posti in esse dallo Spirito di Dio.

Lullo segue questo tracciato, lasciando aperta la questione della salvezza. La sua posizione non può essere rifiutata, sottolinea la Mayer, solamente a causa del fatto che il suo obiettivo fosse la conversione degli infedeli. Tutte le religioni avevano, infatti, un comune obiettivo missionario, nella convinzione che chi non apparteneva a quella fede non poteva giungere alla salvezza eterna; era una società in cui la religione aveva una grande importanza anche politica e costituiva una questione comune che preoccupava allo stesso modo ebrei, cristiani e musulmani.

Durante il medioevo la discussione sugli attributi di Dio fu molto ricca e le tre religioni si posero a riguardo domande comuni. Lullo riconosce il potenziale interreligioso degli attributi di Dio, identificandoli come un punto comune tra i monoteismi: nel labirinto delle differenti credenze, gli attributi gli servono come mappa per il viaggio interreligioso.

La dottrina di Dio rispondeva a due domande, se Dio potesse avere degli attributi differenti dall’essenza e se la pluralità e la differenza degli attributi nella natura di Dio fosse reale o ipotetica; la pluralità degli attributi di Dio, differenti dalla sua essenza, poneva, infatti, un’importante questione: se essa è reale, si mette in pericolo l’unità di Dio; se gli attributi sono, invece, solo nella nostra mente, si cade nell’impossibilità di caratterizzare l’essenza divina. Il fatto che l’uomo debba utilizzare una pluralità di parole per parlare di Dio è segno della necessità di usare attributi differenti senza riuscire a nominarlo in maniera adeguata e mette in luce che, in ultima analisi, le categorie di pensiero umane sono inappropriate e limitate in relazione a Dio.

Gli attributi divini costituiscono un tema di discussione già nell’islam degli inizi. I Mutaziliti, affermando che tutto ciò che è eterno deve essere Dio, escludono la pluralità interna a Dio e sostengono che Dio e i suoi attributi sono la stessa cosa; gli Ashariti e Ghazâlî sostengono, invece, che gli attributi non sono né identici né differenti dall’essenza divina, ma correlati in quella stessa.

La teologia ebraica e Maimonide seguono le tracce della Mutazilah, negando l’esistenza degli attributi reali in Dio. Gli effetti del Dio unico possono essere percepiti in maniera differente, ma Dio non è altra cosa che la sua essenza, una e singolare. Maimonide distingue cinque classi di attributi, la quinta delle quali riguarda gli attributi di azione, i soli che possano essere predicabili di Dio, in quanto non toccano la sua essenza. Ai tempi di Lullo, nella Corona d’Aragona prevaleva la Cabbala teosofica che affermava la presenza immanente di Dio per mezzo delle sue emanazioni divine, le quali lo aiutarono nella creazione del mondo e ora facilitano l’uomo nell’acquisizione di una conoscenza dell’essere intrinseco di Dio e dell’attività divina. Tali emanazioni, chiamate sefiroth, somigliano molto agli attributi divini, pur non identificandosi con essi. Anche nel misticismo sufi c’è qualcosa di simile nelle hadarât di Ibn’ Arabî, quale presenza di Dio come automanifestazione nel mondo.

La dottrina degli attributi di Dio viene descritta da Lullo dettagliatamente nei capitoli 4-102 del Libro della contemplazione, in maniera sintetica nel capitolo 178: essi caratterizzano Dio in maniera tale che senza di loro egli sarebbe impensabile, in quanto, pur essendo una sola sostanza, ha tuttavia molti attributi. In generale la pluralità degli attributi ha un carattere positivo in Lullo: tutti gli attributi sono d’una sola essenza divina e non introducono una pluralità essenziale in Dio, che lo farebbe composto o finito, perché le dignità divine si convertono le une nelle altre.

Le tre religioni coincidono non solo nel fatto che tutte parlano di un solo Dio, ma anche nell’immagine di Dio creatore e giudice del mondo che le caratterizza. La dottrina di Dio è il nucleo del pensiero interreligioso lulliano e gli attributi rappresentano il punto di partenza pragmatico della sua impresa missionaria: questo verrà mostrato idealmente nel Libro del Gentile. Quel che è decisivo è che, all’interno di ognuna delle tre religioni, c’è una corrente che parla degli attributi in maniera positiva.

Gli attributi divini esigono un’azione intrinseca di Dio e in questa maniera Lullo si sforza di dimostrare che conducono logicamente alla Trinità delle persone divine: secondo lui, l’idea che ebrei e musulmani hanno degli attributi divini risulta più povera, perché non presuppone la possibilità che l’essenza di Dio sia attiva in se stessa.

Lullo riconosce le differenze tra le religioni, ma non ritiene che siano insormontabili; il dialogo costante, razionale, potrebbe realizzare l’obiettivo di avere una sola fede e una sola legge. In questo suo nuovo metodo, il dialogo e gli scambi sono i tratti più importanti, in quanto lo scopo ultimo non è aver ragione, ma salvare gli infedeli. La sola e vera religione non è, tuttavia, per lui, una religione neutra, ma ha molto in comune con il cristianesimo, che più delle altre è capace di dare risposte plausibili; allora, si chiede la Mayer al termine della sua articolata esposizione, come può il dialogo non trasformarsi in un indottrinamento forzato? Lullo argomenta sempre da una prospettiva concreta, in cui prevale la religione cristiana, ma vuole trattare con equità le altre religioni attraverso la conoscenza reciproca dei rispettivi punti di vista, con un metodo, una forma di dialogo, che si ritrova nel Libro del Gentile, e che mostra la preoccupazione per l’effettiva validità delle tre religioni: secondo una classificazione moderna egli è un inclusivista. Non invoca la validità unica del cristianesimo, sebbene non pensi neanche che tutte le religioni siano equivalenti rispetto alla verità e alla salvezza. All’inizio di un dialogo, secondo Lullo, non si può affermare di avere il possesso esclusivo della verità unica, m
a bisogna supporre che le asserzioni dell’altro possano essere veritiere; senza arrivare alla relativizzazione delle differenti religioni sostiene la necessità di provare razionalmente la pretesa di verità delle varie posizioni. Tra le massime-guida c’è la frase: «Gli infedeli sono uomini come noi e della stessa natura»; solo a partire da questo presupposto si può entrare in un dialogo paritario e scoprire fondamentali punti comuni.

Gli interlocutori delle sue opere si trattano con cortesia e rispetto reciproco. Dimostrando un’alta sensibilità interreligiosa, Lullo non parla mai di idolatria o di fanatismo in riferimento alle altre religioni, ma le descrive come fedi che, anche se con alcuni limiti, possono esserne liberate con opportune spiegazioni. Ha inoltre la convinzione che, per valutare le altre religioni, bisogna basarsi su criteri che si fondino non solo su presupposti cristiani ma anche su presupposti logici comuni; in questo contesto è decisiva la sua idea che la logica generale coincida con la dottrina cristiana: rispetto al contenuto, ci si potrà basare sulla teologia della Trinità, sulla cristologia e sulla soteriologia e, rispetto alla forma, sul suo metodo razionale e sulla sua intenzione di dialogo.

Ciascuna credenza si caratterizza per assenza di dubbio: per questo motivo può essere orientata sia alla falsità che alla verità; sarà allora la ragione a doverne comprovare criticamente i presupposti, mentre l’Arte aiuterà l’intelletto a intendere Dio nella sua infinitezza e diverrà lo strumento in grado di risolvere i problemi che possono sorgere nella comprensione degli articoli della fede. Siccome le autorità sono fallibili e possono essere interpretate in maniere differenti, bisogna avere come base affidabile la ragione comune a tutti gli uomini; gli infedeli stessi non vogliono affidarsi a nuove autorità né cambiare una credenza con un’altra; piuttosto, partendo dal credere, vogliono conseguire l’intendere.

Lullo sonda i punti coincidenti per far capire e rendere più convincente la sua posizione agli altri. Basandosi sulla ragione, egli cerca verità religiose generali e universali e valori etici che ritiene compiuti in maniera somma nella religione cristiana; servendosi di un metodo apologetico nuovo, preferisce avvalersi di argomenti logici: le ragioni necessarie che, fondandosi sulla struttura della realtà, rivelano le connessioni logiche che vi sono tra aspetti diversi dell’essenza degli esseri.

L’innegabile tratto razionale della sua apologetica corrisponde alla ricerca di razionalità che caratterizza il pensiero medievale cristiano: per lui continuava a essere valido il progetto di teologia filosofica che coincideva con gli interessi dei dialettici del XII secolo. Efrem Longpré, assolvendo Lullo dall’accusa di razionalismo, sosteneva che la sua apologetica fosse benigna e rappresentasse la traduzione dello sforzo dialettico e razionale di Anselmo d’Aosta, dei vittorini e degli agostiniani del XIII secolo, soprattutto dei francescani Bonaventura e Ruggero Bacone: in un dibattito interreligioso è vantaggioso iniziare da argomenti filosofici, nel rispetto degli elementi veritativi presenti nelle altre fedi.

Questo atteggiamento era stato visto da Paolo Rossi come grande lezione di civiltà per noi: persone con visioni diverse del mondo possono discutere tra di loro; il rispetto per le idee altrui, la stima, la simpatia umana possono nascere su un terreno che ha a che fare più con il modo in cui le idee vengono affermate e difese che con il loro contenuto. Quello descritto nel Libro del Gentile è un clima di alta religiosità in cui ognuna delle tre fedi trova spazio: «pur difendendo una dietro l’altra le singole dottrine cristiane, Lullo pensava che, proprio a causa della superiorità di tali verità, occorresse raggiungere un’altezza da cui fosse possibile sorvegliare e seguire i sentieri delle singole religioni, individuando il punto in cui il loro discorso si arresta e il metodo per spingerlo innanzi». A lungo si è discusso sulla provenienza delle dignità divine, chiamate da Lullo, in questa opera, con il nome di virtù divine. Potevano derivare dalle sephiroth rabbiniche o dalle hadras musulmane, termini che rinviano agli attributi divini, o per influenza neoplatonica attraverso Agostino e Scoto Eriugena. Tutte queste sono ipotesi possibili, ma non tengono conto che nelle intenzioni di Lullo c’era il desiderio di partire proprio dal punto in cui il cammino delle tre grandi tradizioni religiose si era incrociato.

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Tratto da Raimondo Lullo, Libro del Gentile e dei tre Savi, a cura di Sara Muzzi e Anna Baggiani, Paoline, Milano, 2012.

Sara Muzzi è membro del Centro Italiano di Lullismo

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Sara Muzzi

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