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Per dar voce a tutte le "donne crocifisse"…

Il 19 febbraio, presso la Chiesa Nuova di Roma, un incontro con don Aldo Buonaiuto per dar voce a tutte le donne coinvolte nel racket della prostituzione. Per loro una Via Crucis il prossimo 26 febbraio

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“Se vuoi ti porto in Italia, lì c’è lavoro e con i soldi che guadagni, potrai aiutare anche la tua famiglia.” Una frase semplice, apparentemente bonaria e umile ma che cela l’inizio di un calvario. Non ha importanza in quale quartiere della città, su quale ciglio della strada lei sarà costretta a vendersi. L’importante è che a fine giornata consegni i soldi al magnaccia altrimenti, saranno torture.
“Non è semplice uscire dall’indifferenza e scegliere dove fermarsi per riflettere su un tema fatto di persone non considerate tali”. Così Don Aldo Buonaiuto ha introdotto l’incontro tenutosi venerdì sera, 19 febbraio, presso la Chiesa Nuova, a Roma, al fine di far conoscere le verità del mondo della prostituzione e delle connivenze sociali con la schiavizzazione femminile.
Durante la serata è stato poi presentato l’appuntamento che si terrà il prossimo 26 febbraio, alle 19.30, a partire dal Santo Spirito in Sassia (Via dei Penitenziari), ovvero una Via Crucis per tutte le donne crocifisse che vuole simboleggiare “la Via Crucis della prostituzione che amareggia il cuore di Dio facendo soffrire l’uomo oramai senz’anima, senza spirito e senza gioia”, come ha spiegato Buonaiuto.
“Noi siamo qui per costruire nuovi ponti in aiuto a quelle persone che non possono parlare”, ha spiegato invece padre Maurizio Botta, anch’egli organizzatore dell’incontro. “Nell’indifeso, nel sofferente, nell’assetato c’è Cristo. Ciò che si fa a loro, si riflette sul Signore”, ha detto.
Ed è anche vero, come sottolinea don Buonaiuto, che non tutti i poveri sono uguali: ci sono coloro che bussano alla porta in richiesta di aiuto, coloro che non possono cercarci se non lo facciamo noi e coloro che fanno di tutto per non farsi trovare come, quelle ragazze costrette a prostituirsi.
Ma che cos’è la prostituzione? Che cosa si cela realmente dietro questa realtà? L’atto del meretricio non è un lavoro; non rispecchia né rappresenta la dignità della persona. È piuttosto la condizione di colei che viene schiavizzata con l’inganno, con la forza, con le minacce e con le torture e che purtroppo – come spiega don Aldo – coinvolge molte giovani adolescenti costrette a trasferirsi in Italia con la promessa di dar loro un lavoro o addirittura, vendute direttamente dalle proprie famiglie in cambio di denaro.
Da qui hanno inizio storie drammatiche fatte di ritorsioni e di prigionia così come ha testimoniato, durante la serata, una giovane ragazza costretta a prostituirsi all’età di 23 anni e che ora è stata accolta nell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII fondata nel 1968 da don Oreste Benzi.
“Conoscevo due persone, un uomo e una donna, che mi avevano promesso un lavoro in Italia come badante”, ha raccontato, “una volta raggiunto lo stato italiano siamo arrivati a casa della signora dove si era presentato un albanese il quale, mi disse che dovevo mettermi sulla strada e prostituirmi. Io non sapevo cosa significasse prostituzione”. Poi – ha proseguito – “mi fecero vedere i vestiti corti e gli stivali che dovevo indossare  per ‘lavorare’ mentre la donna mi spiegava quello che ero obbligata fare una volta sulla strada, dalle 7.30 di sera fino alle 6 di mattina: indicare agli uomini i servizi che praticavo e i prezzi. Ciò che per loro era importante è che consegnassi i soldi”.
“Ero giovane, sola – ricorda la donna – non conoscevo l’italiano e non guadagnavo molto al giorno. Per questo motivo lei, insieme ad altri uomini, iniziarono a picchiarmi con pugni e calci fino a calpestarmi con dei tacchi e a torturami con delle pinze. Mi hanno strappato i capelli, tagliato un orecchio e perforato un polmone”.
“Per due settimane lei è stata picchiata tutti i giorni”, ha aggiunto don Aldo Buonaiuto, “si presentava davanti ai clienti strisciando per terra. Le ragazze indignate che si trovavano con lei, nel vederla andare con gli uomini sanguinante e con le ferite coperte con lo scotch, hanno chiamato i carabinieri che la portarono in ospedale dove rimase per lungo tempo. Dopo numerose cure mediche è stata portata nella nostra comunità dove ha ripreso a sorridere oltre che svolgere un lavoro dignitoso. I suoi criminali ora si trovano in carcere condannati per reato di schiavitù e di sfruttamento della prostituzione.”
“Loro, sono donne crocifisse”, ha sottolineato il sacerdote, “sono donne costrette molto spesso a bere la propria urina o ad abortire, nei casi ancor più estremi, sopprimono il concepito con metodi crudeli facendo uso di acqua ghiacciata e bollente fino all’utilizzo di ferri”.
La prigionia di queste ragazze è infatti segnata da dure minacce che le costringono a non scappare e a non denunciare. Condizione incrementata dalla costante clientela di uomini fra i 30 e i 50 anni che non provano alcuna pietà e rispetto verso quelle che potrebbero essere le loro figlie o sorelle. Si alimenta così il virus dell’indifferenza.
“Insensibilità testimoniata non solo dall’atto sessuale dei clienti perversi – ha evidenziato don Aldo – quanto da ragazzi e ragazze di 17 e 18 anni che, dopo essere usciti dalla discoteca, come ultima tappa di divertimento, si dirigono verso la prostitute per insultarle e ridere mentre gli lanciano addosso bottiglie di vetro, mentre spengono i mozziconi delle sigarette sulla loro pelle sputandogli in faccia.”
Obiettivo della Comunità Papa Giovanni XXIII non consiste solo nell’aiutare gli indifesi ma, anche, far conoscere pubblicamente e senza vergogna quanto il racket della prostituzione calpesti molte ragazze, spesso ancora bambine, negando loro il diritto di essere persone e di vivere come tali.

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Maria Anastasia Leorato

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