Inizia da dove era finita la terza audizione del cardinale George Pell davanti alla Commissione Reale australiana. E cioè dai 54 casi di abusi sessuali su minori compiuti da padre Gerard Ridsdale, il religioso predatore accusato di oltre 130 crimini, spostato di parrocchia in parrocchia per sei volte, che ora, a 81 anni, si trova in galera.
Puntuale alle 22 (ora di Roma) il prefetto della Segreteria per l’Economia entra nella Sala Verdi dell’Hotel Quirinale e si collega in video-conferenza con la legale Gail Furness che lo interroga sugli abusi avvenuti negli anni ’70 e ’80 nella diocesi australiana di Ballarat, dove ricopriva l’incarico di vicario episcopale del vescovo Ronald Mulkearns.
A scrutarlo, in prima fila, ci sono ancora le 14 vittime di abusi venute dall’Australia a Roma grazie ad una campagna di crowdfunding per ascoltare da vicino le deposizioni del cardinale. Ieri hanno chiesto udienza al Papa prima di tornare nel loro paese.
La Furness rilancia la domanda già posta durante la seconda audienza del 1° marzo: com’è possibile che il cardinale, allora consultore del vescovo, non fosse a conoscenza degli orrori compiuti da Ridsdale, notoriamente riconosciuto come pedofilo e omosessuale? Nelle mani della Commissione ci sono infatti documenti che attestano le segnalazioni di genitori, studenti e insegnanti sugli abusi compiuti dal religioso; molti provengono dalla scuola di Sant’Alfio, il collegio dei ‘Christian Brothers’ dove Ridsdale era cappellano.
Impossibile non sapere, dunque. La legale incalza e domanda a Pell se nella riunione di consultori del 1982 fossero emerse le voci sul conto di padre Ridsdale. L’ex arcivescovo di Melbourne e poi di Sydney nega con fermezza: “Non ero a conoscenza di tali discussioni”. Il tono, rispetto all’audienza di ieri, appare più disteso e il cardinale si mostra ben disposto a rispondere alle domande della Commissione d’inchiesta.
Molte di queste vertono sulla figura di Edward Dowlan, un altro religioso insegnante al St. Patrick College condannato a sei anni e sei mesi di reclusione. Sedici i capi d’accusa a suo carico per aver abusato di 11 studenti di quattro diverse scuole. Pell, che nella deposizione di domenica 29 febbraio respingeva le accuse di aver ignorato le segnalazioni sul prete, racconta che negli anni ’70 aveva sentito “qualche voce di comportamenti inadeguati”. “Avevo concluso che riguardassero comportamenti pedofili”, dice.
Nonostante ciò il nome Dowlan – come quello di Ridsdale e di tanti altri – non finì sul tavolo della polizia di Ballarat ma nei registri di un’altra parrocchia. “Non sapevo esattamente quello di cui era accusato – spiega Pell – ma 40 anni fa o più di 40 anni fa ho ipotizzato che con il trasferimento venissero adottate misure più adeguate”.
Interviene allora Peter McClellan, capo della Commissione Reale e chiede: “Ha fatto queste supposizioni, ma si è informato?”. “No non l’ho fatto!”, replica il ministro delle finanze vaticane ammettendo, come nella deposizione di domenica scorsa, di non aver mai saputo il nome né l’alto numero delle vittime, tantomeno che tali abusi fossero di pubblico dominio nella scuola.
Il focus si sposta quindi sul decennio 1987-1996, quando Pell, trasferito a Melborune, viene prima nominato parroco di Mentone e, qualche anno dopo, vescovo ausiliare. All’epoca il cardinale aveva avviato uno schema di risarcimenti per le vittime in modo da disincentivare cause giudiziarie onerose per la diocesi. Si chiamava Melbourne Response ed era stato duramente criticato dai sopravvissuti e dalle loro famiglie durante tutto il corso dell’indagine condotta dalla Commissione nazionale d’inchiesta.
Commissione che oggi chiede al porporato se, una volta nominato vescovo ausiliare, avesse proseguito la politica di rimozione dei sacerdoti piuttosto che quella della denuncia alle autorità. In proposito il cardinale richiama il diritto canonico in materia di ruoli e responsabilità ecclesiali, e sottolinea che “il vescovo ausiliare non ha il potere di prendere decisioni contro la volontà dell’arcivescovo”. Quando fu poi nominato egli stesso arcivescovo, “nelle decisioni che ho preso in materia di personale nessuno dei consultori o il comitato consultivo hanno colpe, perché erano le mie decisioni”, chiarisce.
Spuntano altri due nomi durante l’interrogatorio: Frank Little, arcivescovo di Melbourne dal 1974 al 1996, morto nel 2008, e Peter Searson, sacerdote, pedofilo, incensurato. La Commissione ritiene di avere prove che Little custodisse un dossier segreto pieno zeppo di “lettere di denunce fatte da ogni sorta di persone, dai genitori in particolare, dalle vittime stesse”. Il presule era pertanto a conoscenza della presenza di preti pedofili nella sua diocesi, ma il suo provvedimento – come si legge nei documenti – fu quello di spostarli di parrocchia in parrocchia.
Little si dimise 4 anni prima nel 1996. “L’arcivescovo si è dimesso per motivi di salute, non è vero?”, domanda la Furness provocatoria. Pell risponde a tono: “Questo è quello che è stato detto, aveva infatti quattro o cinque diversi problemi di salute”. “Quando lei dice che è stato detto – incalza la consulente – sta suggerendo che ci sono altre ragioni per le dimissioni?”. “Si dimise 4 anni in anticipo – spiega Pell – e ho il sospetto che la sua situazione sia parallela a quella del vescovo Mulkearns che si è dimesso presto, forse con 8 anni di anticipo, probabile che una delle ragioni di queste dimissioni furono problemi sorti per il modo con cui ha gestito i casi di pedofilia”.
“Non mi sorprenderebbe pertanto se all’arcivescovo Little è stato chiesto di consegnare le sue dimissioni, ma di certo era malato”, afferma il cardinale. E aggiunge: “Sir Little in alcune occasioni non ha agito come avrebbe dovuto e certamente non ha dato e non ha cercato informazioni adeguate mettendole a disposizione del personale del comitato consultivo”. A tal proposito, il prefetto delle finanze vaticane menziona Denis Hart, suo vicario generale, la cui nomina – sostiene – ha rappresentato un buon passo perché era un “formidabile amministratore”.
Si passa a Peter Searson, parroco di Sunbury, abusatore seriale nel biennio 1984-86. Tutti sapevano, tanti reclamavano, soprattutto alcuni genitori insospettiti dallo strano modo del sacerdote di confessare i loro figli, facendoli sedere sulle gambe e accarezzandoli. Il prete, inoltre, registrava le confessioni violando il sigillo sacramentale. Mai, però, fu accusato, men che meno dall’arcivescovo Little; e questo fino alla sua morte, nel 2009.
Contro di lui fu stilato solo un documento di una pagina e mezzo che raccoglieva diverse segnalazioni e un giudizio sul suo grado mentale che lo inquadrava come “psicologicamente inadatto ad essere un pastore o parroco di una parrocchia”. Nelle stesse pagine si rende evidente che i responsabili della chiesa locale avevano deciso di rivedere costantemente la situazione, piuttosto che segnalare il parroco alle autorità.
Sulla condotta del sacerdote e su alcuni suoi comportamenti bizzarri (violenze su animali, camminava sempre con una pistola), Pell taglia corto: “Non sono mai stato informato che questo documento era stato preparato e non sono mai stato informato circa la varietà e la gravità dei problemi”, dice, “non credo che avrei potuto fare qualcosa di più di quanto ho fatto”.
“Non riesco a ricordare esattamente”, prosegue poi rispondendo ad una domanda su quando fosse venuto a conoscenza di tali casi. “Presumo che sia stata la prima volta che ho visitato la parrocchia di Sunbury… era un uomo sconcertante, è uno dei sacerdoti più spiacevoli che ho incontrato. Ho subito capito che era una personalità difficile”.
Impressione confermata da un elenco di rimostranze compilato dall’Ufficio dell’educazione cattolica, consegnato a Pell, allora vescovo regionale, nel 1989. Il cardinale, tuttavia, afferma d non aver mai ricevuto “nessuna adeguata informativa di base sui problemi a lungo termine di Searson”. McClellan contesta tali esternazioni, ma il porporato, sereno, ribadisce: “L’Ufficio dell’educazione non mi ha fornito informazioni”. “In realtà, non c’erano indicazioni precise sui comportamenti del sacerdote, e se non ha approfondito la sua curiosità con ulteriori indagini lo si deve solo alla fiducia che lui ha dato all’ufficio dell’educazione cattolica”.
Il porporato afferma quindi di essere stato ingannato dal “sistema dell’epoca” perché “sapevano che avrei fatto domande scomode se fossi stato meglio informato”. Mai e poi mai lui avrebbe accettato tali crimini e, anzi, avrebbe proceduto adottando “azioni decisive”. Cosa che invece il cardinale Pell non ha mai fatto. Ed è proprio questo ciò che le vittime, frustrate e deluse, ora gli rinfacciano.