Le traduzioni nella lingua vernacolare dei testi liturgici non devono essere imposte alle conferenze episcopali. E’ quanto si legge nella lettera inviata da papa Francesco al cardinale Robert Sarah, prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, diffusa ieri, domenica 22 ottobre 2017, dalla Santa Sede.
Con la sua lettera, il Pontefice ritorna sul suo Motu Proprio “Magnum Principium” sulla fedeltà delle traduzioni liturgiche, il quale ha apportato una modifica al can. 838 del Codice di Diritto Canonico (CIC), entrata in vigore il 1° ottobre scorso.
Nella sua missiva il Santo Padre insiste sulla “netta differenza” che il Motu Proprio stabilisce tra “recognitio” (verifica) e “confirmatio” (conferma).
Francesco ricorda inoltre il “diritto” delle Conferenze episcopali di fare le loro traduzioni e la loro “responsabilità” di giudicare la fedeltà di queste traduzioni.
Nel testo, il Papa sottolinea infine che la “confirmatio” “viene concessa dopo che la versione è stata sottoposta alla Sede Apostolica per la ratifica dell’approvazione dei vescovi, in spirito di dialogo e di aiuto a riflettere se e quando fosse necessario, rispettandone i diritti e i doveri” dei vescovi.
Riportiamo di seguito il testo completo della lettera.
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Città del Vaticano, 15 ottobre 2017
Eminenza,
ho ricevuto la sua lettera del 30 settembre u.s., con la qualche Ella ha voluto benevolmente esprimermi la sua gratitudine per la pubblicazione del Motu Proprio Magnum Principium e trasmettermi una elaborata nota, “Commentaire”, sullo stesso finalizzata a una migliore comprensione del testo.
Nel ringraziarla sentitamente per l’impegno e il contributo, mi permetto di esprimere semplicemente, e spero chiaramente, alcune osservazioni sulla sopramenzionata nota che ritengo importanti soprattutto per l’applicazione e la giusta comprensione del Motu Proprio e per evitare qualsiasi equivoco.
Innanzitutto occorre evidenziare l’importanza della netta differenza che il nuovo MP stabilisce tra recognitio e confirmatio, ben sancita nei §§ 2 e 3 del can. 838, per abrogare la prassi, adottata dal Dicastero a seguito del Liturgiam authenticam (LA) e che il nuovo Motu Proprio ha voluto modificare. Non si può dire pertanto che recognitio e confirmatio sono “strettamente sinonimi (o) sono intercambiabili” oppure “sono intercambiabili a livello di responsabilità della Santa Sede”.
In realtà il nuovo can. 838, attraverso la distinzione tra recognitio e confirmatio, asserisce la diversa responsabilità della Sede Apostolica nell’esercizio di queste due azioni, nonché quella delle Conferenze Episcopali. Il Magnum Principium non sostiene più che le traduzioni devono essere conformi in tutti i punti alle norme del Liturgiam authenticam, così come veniva effettuato nel passato. Per questo i singoli numeri di LA vanno attentamente ri-compresi, inclusi i nn. 79-84, al fine di distinguere ciò che è chiesto dal codice per la traduzione e ciò che è richiesto per i legittimi adattamenti. Risulta quindi chiaro che alcuni numeri di LA sono stati abrogati o sono decaduti nei termini in cui sono stati ri-formulati dal nuovo canone del MP (ad es. il n. 76 e anche il n. 80).
Sulla responsabilità delle Conferenze Episcopali di tradurre “fideliter”, occorre precisare che il giudizio circa la fedeltà al latino e le eventuali correzioni necessarie, era compito del Dicastero, mentre ora la norma concede alle Conferenze Episcopali la facoltà di giudicare la bontà e la coerenza dell’uno e dell’altro termine nelle traduzioni dall’originale, se pure in dialogo con la Santa Sede. La confirmatio non suppone più dunque un esame dettagliato parola per parola, eccetto nei casi evidenti che possono essere fatti presenti ai Vescovi per una loro ulteriore riflessione. Ciò vale in particolare per le formule rilevanti, come per le Preghiere Eucaristiche e in particolare le formule sacramentali approvate dal Santo Padre. La confirmatio tiene inoltre conto dell’integrità del libro, ossia verifica che tutte le parti che compongono l’edizione tipica siano state tradotte [1].
Qui si può aggiungere che, alla luce del MP, il “fideliter” del § 3 del canone, implica una triplice fedeltà: al testo originale in primis; alla particolare lingua in cui viene tradotto e infine alla comprensibilità del testo da parte dei destinatari (cfr. Institutio Generalis Missalis Romani nn. 391-392).
In questo senso la recognitio indica soltanto la verifica e la salvaguardia della conformità al diritto e alla comunione della Chiesa. Il processo di tradurre i testi liturgici rilevanti (ad es. formule sacramentali, il Credo, il Pater noster) in una lingua – dalla quale vengono considerati traduzioni autentiche-, non dovrebbe portare ad uno spirito di “imposizione” alle Conferenze Episcopali di una data traduzione fatta dal Dicastero, poiché ciò lederebbe il diritto dei Vescovi sancito nel canone e già prima dal SC 36 § 4. Del resto si tenga presente l’analogia con il can. 825 § 1 circa la versione della Sacra Scrittura che non necessita di confirmatio da parte della Sede Apostolica.
Risulta inesatto attribuire alla confirmatio la finalità della recognitio (ossia “verificare e salvaguardare la conformità al diritto”). Certo la confirmatio non è un atto meramente formale, ma necessario alla edizione del libro liturgico “tradotto”: viene concessa dopo che la versione è stata sottoposta alla Sede Apostolica per la ratifica dell’approvazione dei Vescovi, in spirito di dialogo e di aiuto a riflettere se e quando fosse necessario, rispettandone i diritti e i doveri, considerando la legalità del processo seguito e le sue modalità. [2]
Infine, Eminenza, ribadisco il mio fraterno ringraziamento per il suo impegno e constatando che la nota “Commentaire” è stata pubblicata su alcuni siti web, ed erroneamente attribuita alla sua persona, Le chiedo cortesemente di provvedere alla divulgazione di questa mia risposta sugli stessi siti nonché l’invio della stessa a tutte le Conferenze Episcopali, ai Membri e ai Consultori di codesto Dicastero.
E nel chiedere la sua preghiera per me le assicuro la mia per lei!
Fraternamente,
Francesco
A Sua Eminenza Reverendissima
Il Signor Card. Robert SARAH
Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti Città del Vaticano
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NOTE
[1] Magnum principium: “Fine delle traduzioni dei testi liturgici e dei testi biblici, per la liturgia della parola, è annunciare ai fedeli la parola di salvezza in obbedienza alla fede ed esprimere la preghiera della Chiesa al Signore. A tale scopo bisogna fedelmente comunicare ad un determinato popolo, tramite la sua propria lingua, ciò che la Chiesa ha inteso comunicare ad un altro per mezzo della lingua latina. Sebbene la fedeltà non sempre possa essere giudicata da parole singole ma debba esserlo nel contesto di tutto l’atto della comunicazione e secondo il proprio genere letterario, tuttavia alcuni termini peculiari vanno considerati anche nel contesto dell’integra fede cattolica, poiché ogni traduzione dei testi liturgici deve essere congruente con la sana dottrina”.
[2] Magnum principium: “Si deve senz’altro prestare attenzione all’utilità e al bene dei fedeli, né bisogna dimenticare il diritto e l’onere -delle Conferenze Episcopali che, insieme con le Conferenze Episcopali di regioni aventi la medesima lingua e con la Sede Apostolica, devono far sì e stabilire che, salvaguardata l’indole di ciascuna lingua, sia reso pienamente e fedelmente il senso del testo originale e che i libri liturgici tradotti, anche dopo gli adattamenti, sempre rifulgano per l’unità del Rito Romano”.