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Papa Francesco prega per mons. Ma Daqin. Nessun ruolo del Vaticano nelle sue 'ritrattazioni'

Padre Lombardi precisa la posizione della Santa Sede sulle dichiarazioni del vescovo di Shanghai che sul suo blog definiva un “errore” l’essersi dimesso dagli incarichi dell’Associazione patriottica

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Era un nodo da sciogliere in Vaticano l’affaire mons. Taddeo Ma Daqin, magari prima della partenza del Papa in Armenia. Il presule, 47 anni, ausiliare di Shanghai, da quattro anni ai domiciliari per essersi dimesso dall’Associazione patriottica, ha fatto parlare di sé il mondo intero per un recente articolo pubblicato sul suo blog in cui ritrattava la sua posizione nei confronti dell’AP, affermando di aver fatto un “errore” nel dimettersi ed elogiando pure il ruolo dell’organizzazione di controllo della Chiesa che, in un passaggio, veniva definito “insostituibile nello sviluppo della Chiesa in Cina”.

Un “voltafaccia” – come è stato definito da molti – che ha provocato sgomento e smarrimento tra i fedeli cinesi che, oppressi quotidianamente da innumerevoli difficoltà, riescono a mantenere viva la fiamma della fede anche grazie alla testimonianza di pastori coraggiosi. Qualcuno è arrivato a ipotizzare che mons. Ma abbia dovuto scrivere tale articolo sotto minaccia o che non sia stato scritto di suo pugno; altri affermano direttamente che si tratti solo di “fango”.

In questa intricata situazione, alcuni vescovi e sacerdoti avevano fatto emergere la teoria che sarebbe stata la Santa Sede a pilotare il cambiamento del presule in modo da facilitare i dialoghi mai avviati col governo cinese. Chiamato in causa, è quindi intervenuto padre Federico Lombardi che, in una nota diffusa oggi, ha chiarito in tre punti la posizione vaticana riguardo alla vicenda dell’ausiliare di Shanghai.

“In risposta alle richieste di notizie di diversi giornalisti – si legge – sono in condizione di dire” che “quanto alle recenti dichiarazioni attribuite a mons. Taddeo Ma Daqin, vescovo ausiliare di Shanghai, la Santa Sede ne è venuta a conoscenza tramite il suo blog e le agenzie di stampa. Al riguardo non si hanno attualmente informazioni dirette”.

“Ogni speculazione in merito ad un presunto ruolo della Santa Sede è fuori di luogo”, afferma il portavoce vaticano. E aggiunge: “La vicenda personale ed ecclesiale di mons. Ma Daqin, così come quella di tutti i cattolici cinesi, è seguita con particolare premura e sollecitudine dal Santo Padre, che li tiene presenti quotidianamente nella preghiera”.

Per un resoconto ampio e accurato della storia di mons. Ma Daquin bisogna rifarsi ad un articolo del noto giornalista Gianni Valente sul sito Vatican Insider. Eletto vescovo ausiliare il 7 luglio 2012 con il consenso della Santa Sede e del governo di Pechino, il presule alla fine della sua ordinazione episcopale dichiarò pubblicamente l’intenzione di abbandonare gli incarichi fino a quel momento ricoperti negli organismi “patriottici” di cui si serve la politica religiosa governativa, per dedicarsi interamente al ministero pastorale.

Gli apparati cinesi – spiega Valente – impedirono tuttavia al giovane vescovo di esercitare in maniera appropriata il suo ministero pastorale, percependo anzi la sua dichiarazione come un “tradimento” della fiducia. Costretto da allora a vivere in stato di residenza “sorvegliata” presso il seminario di Sheshan, il vescovo Ma non ha più celebrato Messe in pubblico. E il Collegio dei vescovi cinesi (organismo, non riconosciuto dal Vaticano, anch’esso sotto l’egida dal potere civile) lo aveva punito con il ritiro dell’autorizzazione a svolgere il ministero episcopale e una sospensione di due anni dal pubblico esercizio del sacerdozio. La misura punitiva era terminata nel 2014.

In questi anni, l’unico strumento di contatto di mons. Ma Daqin con i fedeli è rimasto il suo blog, seguito anche nei settori ecclesiali cosiddetti “clandestini”, ovvero quelli che tentano di rifiutare contatti con la politica religiosa governativa. Da quel pulpito digitale, il pastore confidava il suo sogno di una stretta di mano tra Papa Francesco e il presidente Xin Jinping oppure esprimeva i criteri da seguire nelle relazioni tra Chiesa cattolica e società cinese.

I lettori del blog consideravano il vescovo Matteo e la sua dolorosa vicenda come un caso emblematico di “resistenza” ai condizionamenti imposti dai funzionari politici alla vita della Chiesa. Almeno fino a qualche giorno fa.

Recentemente il presule aveva pubblicato una serie di lunghi interventi dedicati al suo predecessore, il vescovo gesuita di Shanghai Aloysius Jin Luxian, scomparso nel 2013, lodandone il modo di guidare la diocesi di Shanghai anche in virtù della sua collaborazione con l’Associazione patriottica.

Mons. Ma Daquin si diceva perciò “interiormente inquieto” per aver danneggiato “l’eccellente processo di sviluppo della Chiesa di Shanghai, che il vescovo Jin aveva costruito nel lungo periodo”.

Definiva quindi “poco saggia” la decisione di dimettersi dall’Ap nel giorno della sua ordinazione episcopale. Un gesto, spiegava, dovuto anche a pressioni subite “dall’esterno” che lo hanno portato a pronunciare parole e a compiere azioni “non corrette” nei confronti dell’Associazione patriottica. Di qui l’auspicio di poter fare gesti concreti per “correggere gli errori”. Quelli del passato, quelli del presente si vedrà.

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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