È un “no condizionato” quello che esprime il segretario dei vescovi italiani, mons. Nunzio Galantino, all’ipotesi avanzata dal ministro dell’Interno Marco Minniti di riaprire i CIE, i Centri di Identificazione ed Espulsione per i migranti. Un’ipotesi che ha scosso associazioni, giuristi e realtà ecclesiali impegnate nell’accoglienza come Migrantes, Caritas, Centro Astalli o nella solidarietà sociale come Cnca, che ricordano come in passato tali strutture siano state luoghi di detenzione.
Secondo il vescovo – intervenuto alla conferenza Migranti minorenni: vulnerabili e senza voce”, organizzata da Migrantes in vista della Giornata Mondiale del Rifugiato del prossimo 15 gennaio – “non possiamo non condividere il loro no, se questi dovessero continuare ad essere di fatto luoghi di trattenimento e di reclusione, che, anche se con pochi numeri di persone, senza tutele fondamentali, rischiano di alimentare fenomeni di radicalizzazione, dove finiscono oggi, nella maggior parte dei casi, irregolari dopo retate, come le donne prostituite, i migranti più indifesi e meno tutelati”.
Nonostante le varie assicurazioni del presidente del Consiglio e del ministro dell’Interno sulla loro diversa natura, nonostante “l’articolata posizione” dei Sindaci italiani e nonostante “la decisa richiesta” del Capo della Polizia, sorge comunque il “dubbio” – ha detto il segretario CEI – “che tali Centri risultino necessari realisticamente nel caso di chi irregolare ha commesso un reato, per il quale dal carcere stesso o attraverso misure cautelari, seppur eccezionali, previste dalla legge, potrebbe venire poi direttamente espulso”. “Per chi ha commesso un reato veramente ci vogliono i CIE?”, ha domandato Galantino a margine dell’incontro. E ha ribadito la sua posizione, affermando: “Va bene la riapertura, ma l’importante è che essi non divengano parcheggi abusivi e mal gestiti”.
Se sui CIE il “no” del numero due dei vescovi italiani è “condizionato”, sono invece due i “no chiari”. “No – ha detto – a forme di chiusura di ogni via legale di ingresso nel nostro Paese che sta generando un popolo di irregolari, che alimenta lo sfruttamento, il lavoro nero, la violenza”. È “contradditorio”, per il presule, “chiudere forme e strade per l’ingresso legale e poi approvare leggi per combattere lo sfruttamento lavorativo e il caporalato”. Lo stesso “no” perentorio vale per l’investimento nella vendita di armi piuttosto che in cooperazione allo sviluppo, accordi internazionali per percorsi di rientro, corridoi umanitari. “È un’ipocrisia di cui dobbiamo liberarci per favorire finalmente il diritto delle persone di vivere nella propria terra”, ha affermato Galantino, annunciando la firma, domani, di un protocollo di intesa col Ministero competente per aprire un “corridoio umanitario” con l’Etiopia per i profughi provenienti da Eritrea e Somalia, utilizzando fondi provenienti dall’8×1000
Accanto ai “no”, mons. Galantino – che ha voluto fedelmente attenersi al testo scritto per evitare di cadere, come già avvenuto, nel “fraintendimento” e nella “strumentalizzazione” a causa di alcuni giornalisti “superficiali” e titolisti “canaglie” – ha posto cinque “sì”. Perché, a partire dai volti e dalle storie dei migranti, soprattutto i minori, e in vista del loro futuro, “è importante, evangelicamente, che il nostro parlare sappia dire dei ‘sì’ e dei ‘no’ responsabili”. Dei “sì” e dei “no” senza, però, “la facile saccenteria, che talvolta rasenta l’arroganza dei primi della classe”; senza “la superficialità gridata da chi parla tanto di migranti ma forse non ha mai parlato con i migranti” e senza “il cinismo di chi forse non ha mai incrociato lo sguardo smarrito e implorante di una famiglia migrante fatta di uomini, donne e bambini”, ha detto.
Il primo “sì” è per “sbloccare e approvare una legge ferma che allarga la cittadinanza ai minori che hanno concluso il primo ciclo scolastico, così da allargare la partecipazione, cuore della democrazia, e favorire processi di inclusione e integrazione”. “Sì” anche ad una legge “ferma” che tuteli i minori non accompagnati, “non destinandoli a nuovi orfanatrofi, ma a case famiglia, a famiglie affidatarie, accompagnate da una formazione attenta a minori preadolescenti e adolescenti”. Stesso sì “all’identificazione dei migranti” che sbarcano sulle coste italiane, “anzitutto per un’accoglienza attenta alla diversità delle persone e delle storie, pronta a mettere in campo forme e strumenti rinnovati di tutela e di accompagnamento che risultano una sicurezza per le persone migranti e per la comunità che accoglie”.
“Sì” pure ad “un’accoglienza diffusa, in tutti i comuni italiani, dei migranti forzati, in fuga da situazioni drammatiche” e “sì”, ha rimarcato mons. Galantino, “ad un titolo di soggiorno” come protezione umanitaria o sociale “a giovani uomini e donne che da oltre un anno sono nei centri di prima accoglienza e hanno iniziato un percorso di scolarizzazione o si sono resi disponibili a lavori socialmente utili o addirittura già hanno un contratto di lavoro”.
Per il segretario della Conferenza Episcopale italiana, “si tratta di scrivere una nuova pagina del nostro Welfare sociale guardando anche a tutto quello che di positivo si sta facendo”. “Ripartire dalla legalità – ha detto – è un atto di intelligenza politica, che non va confuso con la proposta di allargare l’irregolarità e creare insicurezza per i migranti e per il territorio”. Quanto agli accordi che il Governo italiano sta siglando con alcuni paesi maghrebini, mons. Galantino, in risposta ad una domanda dei giornalisti, ha detto che si tratta di un “fatto positivo” e spiegando che, più in generale, è “positivo che le nazioni ad quo e le nazioni ad quem (ossia quelle di origine e quelle di destinazione dei flussi migratori ndr) parlino e si confrontino”.
Da parte sua la Cei, ha aggiunto, intende promuovere incontri tra i vescovi dei comuni italiani impegnati nell’accoglienza e i vescovi dei Paesi di origine degli immigrati. Il tutto, ha precisato, nasce dal “leale contributo che come Chiesa italiana vogliamo dare a partire dal Vangelo e dall’esperienza di accoglienza che facciamo come comunità credente”. “Il primo immigrato io stesso l’ho accolto nel 1984…”, ha detto Galantino, “e sono circa 30mila le persone attualmente ospitate in parrocchie, Centri e altre realtà che fanno riferimento alla Chiesa italiana. Quindi non parliamo per sentito dire ma perché ci siamo dentro”.