Cristo nella Casa dei Farisei, dipinto di Tintoretto / Wikimedia Commons, Public Domain

L’amore è dono senza riserve

Commento al Vangelo della XI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) — 12 giugno 2016

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Due persone sono di fronte a Gesù: nell’incontro con Lui vengono svelati i loro cuori. Un uomo con un nome e un titolo, Simone, eppure grigio e anonimo, fariseo attento alle apparenze; e una donna, senza nome eppure conosciutissima, perché “una peccatrice di quella città”. Entrambi debitori, l’uno inconsapevole, l’altra profondamente cosciente, entrambi senza nulla per rifondere il debito. Con loro, in questa domenica, anche noi siamo di fronte a Gesù; Egli “ha qualcosa da dire” a ciascuno, per far luce sul nostro intimo e annunciarci la Buona Notizia. Le parole dirette a Simone ci scrutano e interrogano con amore, quelle offerte alla donna ci consolano con misericordia.
Che cosa è l’amore? Esso risplende nei gesti ancor prima che nelle parole. E’ il frutto maturo che spande il suo “profumo” da dove non ce lo aspetteremo, dall’umiliazione del cuore contrito dei peccatori. L’amore è la pura gratitudine per sentirsi accolti e perdonati. Di nessun altro Gesù ha mostrato l’amore come esempio, se non quello di questa donna.
Innanzi tutto l’amore “sa” dove si trova Gesù. Come la donna che aveva “saputo” che Gesù era lì. Per amare, il cuore deve aver ascoltato l’annuncio che il Regno di Dio è vicino. Possiamo immaginare il cammino della donna identico al nostro: sposa infedele dell’Unico Sposo al quale era stata promessa sin dalla nascita, è attratta dal profumo di Gesù diffuso dall’annuncio del Vangelo, è certa che nella casa di Simone si sarebbe giocata l’ultima carta. I suoi amanti l’avevano lasciata sola, nessuno che l’avesse accolta e riscattata. Ella doveva andare da Gesù, lo imponeva la sua realtà, la attraeva irresistibilmente la sua presenza, la “sua fede” nasceva dalla delusione di ogni altra speranza e di ogni altro amore.
L’amore sgorga dall’umiliazione, si avvicina “da dietro”, sa che non ha diritti; non cerca spazio, non sgomita come spesso facciamo noi quando ci illudiamo di amare facendo e dicendo cose che vorrebbero colpire l’altro per legarlo.
L’amore “piange”, perché è frutto della verità; questa donna ama perché si conosce, immonda e indegna, che il solo toccarla infetta e rende impuri. Ma un dolore acuto le percuote il petto, un’angoscia mortale. Questa donna ha toccato la morte, ora deve toccare la vita. Gli occhi della sua anima guardano Gesù come nessun altro, lo vedono adagiato a mensa e ne intuiscono il destino, il sepolcro nel quale sarebbe stato adagiato, la sua stessa tomba. Come la Maddalena, con l’audacia figlia del perdono, cercando con le lacrime Colui che, solo, la può spalancare, mentre cresceva “la fede” che l’avrebbe “salvata” .
Le lacrime, solcando un viso, svelano sempre la debolezza che l’orgoglio vorrebbe nascondere. Piangendo, la donna si spoglia per accogliere Gesù nella sua intimità. Può farlo, perché dinanzi a lei vi è l’unico di cui non c’è da aver paura, che non esige perché non giudica. Le sue lacrime toccano il cuore di Gesù e, scese sui suoi piedi, li spingono ad entrare nel suo sepolcro per farne il loro talamo nuziale.
L’amore è dono senza riserve, restituisce a Dio ciò che gli appartiene. Per questo la donna “asciuga i piedi di Gesù con i capelli”, il segno della bellezza. Non a caso le suore di clausura si tagliano i capelli, per abbandonare la vanità. La bellezza che la donna aveva venduto ora è consegnata allo Sposo; è tornata a Lui, la “sua fede” è ormai adulta e le “sono perdonati i peccati”; la sua libertà si fa amore e dono, “va in pace” con Gesù e “non pecca più”, perché l’antidoto al peccato è l’amore che vince il timore della morte. Ora può “seguirlo” e “servire con i suoi beni”, come le donne “guarite da spiriti cattivi e da infermità” che chiudono il brano.
L’amore autentico, infatti, osa almeno quanto osa il peccato; non è mai mediocre, non si limita alle buone maniere, rompe gli argini, come ha fatto Cristo, amando oltre ogni limite, con tutto se stesso. L’amore autentico appare un centimetro più in là di quello che si deve fare per avere una ricompensa; quando ci si getta nel mare aperto della gratuità; appare disteso ai piedi di Gesù e non nel cortese invito a cena interessato e curioso di Simone.
Lui obbedisce alle regole non scritte del religiosamente corretto, e, dalla dura corteccia del proprio orgoglio, è sempre pronto a indignarsi e a “dire tra sé” che “gli immorali sono sempre gli altri”, in “un certo clericalismo di ritorno intento solo a «regolarizzare» le vite delle persone, pronto a condannare, invece che ad accogliere” (Papa Francesco). Giudica appoggiandosi sulla propria presunta conoscenza delle Scritture. Simone, tu ed io, tanto superbo da non comprendere Gesù e di essere, come la peccatrice, debitore di cinquecento denari, un’infinità. Ma il Signore non ci lascia nella cecità e ci invita a “vedere questa donna” che è entrata con Lui a casa nostra, immagine della Chiesa che attualizza nella storia ciò che ha fatto Gesù, quando, inginocchiato, ha lavato i piedi degli apostoli: “sapete che cosa ho fatto?” Vi ho amato “sino alla fine”. Fattosi peccato, “ha molto amato” piangendo le nostre infedeltà, pagando per noi il debito che non eravamo in grado di saldare. Guardando la Chiesa e accogliendo il suo annuncio possiamo imparare ad “amare molto” sperimentando, come la donna, l’amore infinito di Cristo che tutto e sempre “perdona”.

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Antonello Iapicca

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