L’amicizia in Cristo come febbre di vita

Un libro ricorda Enzo Piccinini, “un ateo divenuto cristiano per caso”

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di Antonio Gaspari

RIMINI, martedì, 25 agosto 2009 (ZENIT.org).- Un amico, un maestro, un chirurgo unico, un innamorato di Cristo. Così è stato ricordato lunedì 24 agosto al Meeting di Rimini, Enzo Piccinini, scomparso prematuramente a causa di un incidente stradale nel 1999, dopo una vita spesa a testimoniare il mistero cristiano.

Nel presentare il libro “Un’avventura di amicizia” (edizioni Marietti), scritto da Emilio Bonicelli, il portavoce di Comunione e Liberazione, Alberto Savorana, ha parlato di “una persona che ha segnato la vita di tanti, di sicuro la mia”.

Il senatore Giuliano Bardolini ha ricordato la “Carovana”, la scuola fondata da Piccinini a Modena, che all’inizio contava solo tre o quattro bambini e che oggi conta oltre 600 alunni.

Emilio Bonicelli, giornalista e scrittore, corrispondente del quotidiano “Il sole 24 Ore” nonché docente alla Scuola di giornalismo presso la Facoltà di Lettere di Bologna, ha raccontato che la decisione di scrivere un libro su Enzo è nata nel 1999 quando scoprì di essere malato di leucemia.

“Non c’è più Enzo – ha riflettuto – e lui sarebbe stato il primo con cui condividere quel peso enorme. E invece, durante la malattia, ho dovuto riconoscere che Enzo era presente eccome, attraverso dei segni evidenti”.

Enzo Piccinini si definiva “un ateo diventato cristiano per caso”. Da giovane militò nella sinistra estrema. I ‘compagni’ gli dissero di diffidare dell’amicizia dei cattolici perché hanno un chiodo fisso: “Gesù Cristo”.

Poi partecipò alla recita dei salmi, ne rimase folgorato. L’incontro con un gruppo di persone che viveva un’amicizia sconosciuta, ma desiderata da sempre, gli cambiò la vita.

Iniziò a frequentare e militare nelle file di Comunione e Liberazione (CL). Si laureò, divenne medico e poi chirurgo. Quando era ancora studente universitario, in pieno clima di contestazione, davanti a un’assemblea gremita confessò pubblicamente: “Sono qui per dire che tutte queste cose non riempiono la vita. Per me la vita è cambiata perché ho incontrato una realtà che si chiama Gesù Cristo”.

Dopo appena due anni che frequentava l’università si sposò con Fiorisa che amava già dal liceo. Nacquero quattro figli. Nel frattempo crebbe la sua presenza in Comunione e Liberazione.

Appena la primogenita ebbe l’età per andare a scuola, Enzo fondò una cooperativa di genitori e insegnati “La Carovana”. In seguito, fondò anche un centro culturale “La collina della poesia”, cominciò a farsi conoscere come chirurgo, attento ai pazienti, soprattutto a quelli con maggiori problemi, moltiplicò i suoi incontri e incarichi in CL e divenne uno dei più stretti collaboratori di don Giussani.

Durante il giorno, operava e assisteva i pazienti, alla sera si dedicava all’educazione dei giovani, parlava di Gesù, dell’amicizia, del mistero e del senso della vita.

Era tanto diretto e provocatorio nel porre domande su quanto si faceva per rispondere a Cristo, quanto dolce e umano nel curare le amicizie.

Nel libro di Bonicelli in diversi raccontano che “era sempre di corsa, ma mai in affanno”. La sua era un’“amicizia senza tregua”

Molti si chiedevano se e quante ore dedicava al sonno, unanimi i pareri: “non l’abbiamo mai visto un’istante vivere senza questa tensione ad affermare Cristo”.

Al suo funerale, celebrata dal Cardinale Giacomo Biffi, parteciparono settemila persone. Molti erano stati suoi pazienti. Alcuni salvati dalla sua audacia di chirurgo.

Ha detto Bonicelli a ZENIT: “Un chirurgo così era difficile trovarlo. Non si arrendeva mai . Aveva gli occhi indomiti e curiosi di un bambino. Era uno che sapeva rischiare dove gli altri si fermavano. Se un malato si rivolgeva a lui per aiuto, Leo lo prendeva a cuore e non lo abbandonava, anche quando, dal punto di vista chirurgico, non c’era più nulla da fare. Ma se esisteva anche solo una piccola possibilità di soluzione, la perseguiva con tenacia”.

In un convegno a Bari sulla giornata del malato, in un discorso molto tecnico sulla motivazione e finalità della chirurgia, di fronte ad un medico che chiedeva con insistenza da dove aveva imparato queste cose, Piccinini disse: “Capisco che questo possa suscitare molte perplessità ma a me un certo don Giussani mi ha insegnato a fare il chirurgo”.

Appena informato della sua morte improvvisa don Luigi Giussani scrisse: “La cosa più impressionante per me è che la sua adesione a Cristo fu così totalizzante che non c’era più giorno che non cercasse in ogni modo la gloria di Cristo”.

Il Cardinale Angelo Bagnasco, allora Vescovo di Pesaro, lo ricordò con “affetto di padre e pastore”.

“Enzo – ha scritto Giancarlo Cesana nell’introduzione al libro di Bonicelli – è stato così intenso e presente da scacciare l’oscurità della morte, in effetti la morte non ha potuto niente sulla memoria di lui e la sua opera di generazione. Siamo pieni dei suoi figli, di quelli che attraverso lui, hanno incontrato la vita, cioè l’affermazione positiva di un significato per tutto ciò che esiste”.

“In Enzo – ha aggiunto – c’era la passione per la scoperta di Cristo, del volto umano di Dio, di Colui che ricostituisce, ricostituirà definitivamente anche la fragilità della carne”.

Nel dicembre del 2002, per dare continuità all’impegno ideale di Enzo Piccinini è stata costituita una Fondazione che porta il suo nome (www.fondazionepiccinini.org) e che promuove e sostiene opere di educazione e formazione, la ricerca scientifica e la preparazione alla professione medica e per finire, opere di cultura e documentazione.

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ZENIT Staff

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