“Esiste una tendenza a privare le organizzazioni cattoliche delle loro radici di fede”

Monsignor Cordes spiega la sorpresa provocata dalla “Deus caritas est”

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MURCIA (SPAGNA), lunedì, 27 marzo 2006 (ZENIT.org).- Alcune organizzazioni caritative cattoliche stanno perdendo di vista le motivazioni della loro attività, riconosce il Presidente del Pontificio Consiglio “Cor Unum”, l’Arcivescovo Paul Josef Cordes, illustrando i motivi per i quali Benedetto XVI ha scritto la sua prima Enciclica.

Il porporato tedesco ha visitato, nel fine settimana dell’11 e 12 marzo, l’Università cattolica San Antonio de Murcia, dove ha concluso la V edizione delle Giornate di carità e volontariato, organizzate annualmente da questa Università, ed ha presentato la “Deus caritas est”.

Secondo monsignor Cordes, uno dei fattori che spiegano la grande risonanza dell’Enciclica è il “fattore sorpresa”: “la sorpresa di vedere questo Papa, conosciuto come uno che tratta la dogmatica, la dottrina, in modo rigido, almeno questo è ciò che credeva la gente, pubblicare la sua prima Enciclica sull’amore di Dio per noi”.

In questa intervista rilasciata a “Veritas”, il Cardinale riconosce che “esiste il rischio che le organizzazioni caritative cattoliche riflettano il pensiero dell’uomo di oggi, della Chiesa attuale, e nella Chiesa attuale, di una eccessiva fiducia nei mezzi umani”.

“Esiste una tendenza a privare le organizzazioni cattoliche delle loro radici di fede, non per cattiva intenzione, ma perché è la corrente culturale dominante. E così il Papa ha voluto reagire contro questo”, aggiunge.

Come si spiega la grande risonanza che l’Enciclica “Deus caritas est” ha avuto in tutto il mondo?

Monsignor Paul J. Cordes: Credo che la prima spiegazione sia il fattore sorpresa. La sorpresa di vedere questo Papa, conosciuto come uno che tratta la dogmatica, la dottrina, in modo rigido, almeno questo è ciò che credeva la gente, pubblicare la sua prima Enciclica sull’amore di Dio per noi. A me sembra che questa sia una spiegazione importante.

D’altra parte credo che l’argomento in sé rappresenti un qualcosa che attrae sia i cristiani, sia la gente al di fuori della Chiesa: l’amore attrae sempre. Tuttavia l’uomo scopre spesso che questo desiderio d’amore è anche soggetto al fallimento e per questo la lettera del Papa è una risposta al desiderio di tanti uomini e che chiarisce le possibilità dell’amore.

Per questo ha avuto tale risonanza in tutto il mondo, come si è visto sui titoli dei maggiori organi di stampa. Anche i giornali che solitamente non sono favorevoli alla Chiesa hanno riprodotto brani dell’Enciclica ed hanno fatto commenti molto positivi.

Uno dei punti dell’Enciclica è l’avvertimento alle istituzioni caritative della Chiesa del rischio di perdere la propria identità e di “secolarizzare” la loro azione. Che cosa pensa di questo rischio?

Monsignor Paul J. Cordes: Lavorando in “Cor Unum” – il Dicastero della carità del Papa – trattiamo con molte organizzazioni cattoliche. La prima cosa che devo dire è che esse lavorano molto bene, fanno un gran bene all’umanità e reagiscono molto bene di fronte alla miseria, alle catastrofi, ecc.

D’altra parte esiste il rischio che le organizzazioni caritative cattoliche riflettano il pensiero dell’uomo di oggi, della Chiesa attuale, e nella Chiesa attuale, di una eccessiva fiducia nei mezzi umani. Le organizzazioni, molte volte, per poter lavorare hanno bisogno di soldi e chiedono donazioni ai privati, ma ricevono anche molti finanziamenti dagli Stati.

I Ministeri per la cooperazione allo sviluppo spesso le aiutano e questo è un bene. Ma insieme a questo aiuto esigono un rendiconto, dei risultati, per cui devono avere tecnici capaci di amministrare i soldi, istituire controlli, e in queste organizzazioni entrano spesso persone più interessate al lavoro che allo spirito che lo anima.

Anche i donatori tendono a porre condizioni sull’utilizzo dei finanziamenti. Ad esempio, quando gli Stati danno dei soldi, è molto difficile che la Chiesa li possa utilizzare per progetti pastorali. Dovranno essere progetti sociali, per la salute, la costruzione di abitazioni, o la lotta alla fame. E tutto questo fa sì che le organizzazioni cattoliche assomiglino sempre di più alle organizzazioni che stanno al di fuori della Chiesa, come la Croce Rossa, le Nazioni Unite o l’UNICEF.

Esiste una tendenza a privare le organizzazioni cattoliche delle loro radici di fede, non per cattiva intenzione, ma perché è la corrente culturale dominante. E così il Papa ha voluto reagire contro questo. Noi nel nostro Dicastero dedichiamo molto tempo a lottare, con un certo successo, contro questa impostazione, facendo riunioni e chiarendo qual è il nostro spirito. E questa Enciclica dà in questo senso una nuova possibilità.

Quali sono secondo lei le sfide che questa Enciclica ha individuato per l’azione caritativa della Chiesa a partire da oggi?

Monsignor Paul J. Cordes: Anzitutto, l’immagine del magistero ecclesiale ha compiuto grandi passi in avanti con il magistero di Giovanni Paolo II, il quale negli ultimi mesi di vita ha posto in rilievo con grande forza la dignità e la grandezza della figura del Pastore di Roma. Anche questa Enciclica ha, in un certo senso, aperto la porta a molte persone.

Riguardo il nostro compito attuale, quello di mettere in pratica le idee di questa Enciclica e di instillarle nella mente delle persone responsabili dell’azione caritativa della Chiesa, devo dire che si tratta di un compito molto difficile da realizzare. Durante la fase preparatoria dell’Enciclica, sono stato con il Santo Padre e gli ho detto: “la mia esperienza è che, una volta che il testo è stato scritto, inizia il lavoro”. Il lavoro ancora non è stato fatto.

Abbiamo fatto un congresso come punto di partenza dopo la pubblicazione dell’Enciclica, al quale hanno partecipato 250 personalità di tutto il mondo – Cardinali, Vescovi, responsabili laici – per porre alla loro attenzione le idee contenute nell’Enciclica.

Ora dobbiamo iniziare a contattare le diverse Caritas nazionali e le grandi organizzazioni che, come”Manos Unidas” per la Spagna, esistono in tutto il mondo. Ma ancora non sappiamo bene come fare. Io ho scritto una lettera al CELAM (Consiglio Episcopale Latinoamericano) offrendomi di andare personalmente per affrontare queste tematiche.

Dobbiamo trattare questi argomenti con i Vescovi e soprattutto con i responsabili delle organizzazioni, perché in definitiva resta nelle loro mani la possibilità di dare ad esse una fisionomia cattolica o lasciare che siano semplicemente un’altra ONG in più.

Riguardo il lavoro che attualmente viene svolto, molte organizzazioni cristiane lavorano in Paesi non cristiani, soprattutto islamici. Dopo gli ultimi avvenimenti (ad esempio, la reazione alla pubblicazione delle vignette su Maometto) lei crede che il lavoro sia diventato più difficile?

Monsignor Paul J. Cordes: Noi abbiamo lavorato una volta con una organizzazione protestante in Afghanistan. Il lavoro nei Paesi islamici è molto difficile e la stessa collaborazione con i cristiani non cattolici presenta molte difficoltà. Spingersi oltre, qualche volta è possibile, ma esiste il problema di trovare persone affidabili.

Se la gente dà i soldi alla Chiesa, predente giustamente che questa li distribuisca equamente. Per questo, l’dea di collaborare con gli islamici è una idea buona, ma la sua realizzazione è molto difficile. Talvolta funziona, ma ha molti limiti.

Sono stato una volta in Pakistan, in un campo profughi diretto da musulmani. Lì ho avuto una discussione con loro ed ho capito che non avevano questa particolare propensione ad aiutare i poveri. Fanno magari molte cose, ma questo sentimento non ce l’hanno, perché è un patrimonio cristiano quello di aiutare i poveri. Per questa ragione il nostro modo di pensare e di agire non è facilmente applicabile ad altre r
eligioni.

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ZENIT Staff

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