Don Francesco Bonifacio, vittima delle foibe, presto beato

Rapito dalla guardie di Tito, venne ucciso “in odio alla fede” nel 1946

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di Mirko Testa

CITTA’ DEL VATICANO, martedì, 8 luglio 2008 (ZENIT.org).- Con il decreto firmato recentemente da Benedetto XVI, la Chiesa di Roma ha riconosciuto il “martirio in odio alla fede” di don Francesco Bonifacio, un sacerdote istriano, vittima delle foibe, che per la sua bontà e generosità veniva chiamato in seminario “el santin”.

In questo modo verrà presto iscitto all’albo dei beati, questo sacerdote ucciso nel 1946 all’età di trentaquattro anni, la cui causa di beatificazione era stata avviata nel 1957 dall’allora Arcivescovo di Trieste, monsignor Antonio Santin.

La storia delle foibe è legata al trattato di pace firmato a Parigi il 10 Febbraio 1947, che impose all’Italia la cessione alla Jugoslavia di Zara – in Dalmazia –, dell’Istria con Fiume e di gran parte della Venezia Giulia, con Trieste costituita territorio libero tornato poi all’Italia alla fine del 1954.

Dal 1943 al 1945 le truppe jugoslave del maresciallo Tito, in collaborazione con i comunisti italiani, commisero un’opera di vera e propria pulizia etnica mettendo in atto gesti di inaudita ferocia.

Migliaia di persone vennero giustiziate e gettate nelle cosiddette “foibe”, le cavità carsiche profonde fino a 200 metri. Gli storici parlano di quattromila persone, ma i sopravvissuti indicano un numero di molto superiore, fino a ventimila.

In quell’epoca, 350.000 italiani abbandonarono l’Istria, Fiume e la Dalmazia. Intere famiglie italiane vennero massacrate, molti vennero legati con il filo spinato ai cadaveri e gettati nelle voragini vivi. Furono almeno 50 i sacerdoti uccisi dalle truppe comuniste di Tito.

Nella sola foiba di Basovizza, a pochi chilometri da Trieste, una delle poche foibe rimaste in territorio italiano, sono stati ritrovati quattrocento metri cubi di cadaveri.

Per decenni questa barbarie è stata coperta con i silenzi, mentre negli anni Novanta l’attenzione per il tema è aumentata fino a che il Parlamento italiano, con la legge n. 92 del 30 marzo 2004, ha istituito il “Giorno del Ricordo”, per conservare la memoria della tragedia delle foibe.

In quel clima di terrore civile portato avanti spesso con lo strumento della persecuzione religiosa padre Bonifacio recava conforto alla gente delle colline tra Buie e Grisignana, nell’attuale Croazia, e raccoglieva attorno a sé i giovani, dando vita a un’Azione Cattolica locale.

Nato a Pirano (Istria) nel 1912, da una famiglia umile e profondamente cristiana, e secondo di sette figli, Francesco ricevette l’ordinazione sacerdotale il 27 dicembre 1936, nella cattedrale di San Giusto a Trieste.

Dopo un primo incarico a Cittanova, assunse la responsabilità della curazia di Villa Gardossi, che raccoglieva diverse frazioni sparse nella zona di Buie. Don Francesco si fece subito amare, promuovendo numerose attività, visitando le famigle, gli ammalati, e donando quel poco che aveva ai poveri.

Il suo impegno lo rese un prete troppo scomodo per la propaganda antireligiosa della Jugoslavia di allora, ma nonostante le intimidazioni proseguì fino alla fine per la sua strada.

E’ la sera dell’11 settembre 1946 e don Francesco Bonifacio sta rincasando da Grisignana. A un certo punto viene fermato da due uomini della guardia popolare. Chi li vide raccontò che sparirono insieme nel bosco.

Il fratello, che lo cercò immediatamente, venne incarcerato con l’accusa di raccontare delle falsità. Per anni la vicenda è rimasta sconosciuta, finché un regista teatrale è riuscito a contattare una delle guardie popolari che avevano preso don Bonifacio.

Quest’ultimo raccontò che il sacerdote era stato caricato su un’auto, picchiato, spogliato, colpito con un sasso sul viso e finito con due coltellate prima di essere gettato in una foiba. Da allora i suoi resti non sono stati mai più ritrovati.

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ZENIT Staff

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