È stata una celebrazione solenne e partecipata quella che si è svolta ieri nell’arcidiocesi di Burgos, in Spagna, dove sono stati beatificati cinque martiri della Guerra civile spagnola. Ovvero il sacerdote Valentín Palencia Marquina e quattro compagni laici – Donato Rodriguez, Germán García, Zacarías Cuesta e Emilio Huidobro – uccisi tutti nel 1936 in odio alla fede.
Il rito è stato presieduto dal cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, insieme al vescovo Fidel Herráez Vegas, nella Cattedrale gotica di Burgos, dichiarata dall’Unesco patrimonio dell’umanità.
Nella sua omelia – ampiamente riportata dal sito Aci Prensa – il cardinale ha ricordato che sono trascorsi circa 80 anni dalla morte dei cinque martiri, eppure “la loro memoria non solo non si è mai spenta, ma è sempre rimasta viva nei cuori dei sacerdoti e dei fedeli, che li commemorano con devozione e gratitudine”.
In quel “periodo di terrore” – ha proseguito Amato parlando degli anni bui della Guerra civile – “che sembrava aver cancellato dalla faccia della terra ogni traccia di giustizia e di bontà, il martirio di vittime innocenti fu un segno di speranza per una umanità non fratricida ma fraterna, accogliente, rispettosa…”. I Beati, ha detto, “si sono accostati alla ‘mensa’ del martirio come se fosse quella eucaristica: con attitudine di fede, speranza e carità”.
Il cardinale ha quindi rammentato le diverse iniziative che il sacerdote Valentín Palencia realizzò per tutti i poveri e gli emarginati di Burgos, specialmente i bambini, attraverso il Patronato di San José grazie al quale li educava e accoglieva. Opera che svolse fino all’inizio dell’estate del 1936, allo scoppio della Guerra, quando fu proibito celebrare i sacramenti e vennero incendiate delle chiese.
In quel periodo, ha raccontato il card. Amato, “alcuni fedeli consigliarono a Don Valentin di mettere via la tonaca per sfuggire ai anarchici che stavano uccidendo tutti i sacerdoti in circolazione. Ma il prete non volle abbandonare il suo abito né nascondere la propria condizione e, anzi, continuò a celebrare la Messa in segreto e a portare la comunione alle religiose”. Poi la notte del 15 gennaio 1937, tradito da alcuni conoscenti, lui e gli altri quattro giovani “furono arrestati, uccisi e abbandonati in un luogo solitario”.
Secondo il prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, le motivazioni del martirio si sintetizzano tutte in una frase espressa da un testimone: “Lo uccisero perché era un sacerdote”. E i giovani laici “per aver difeso la propria fede e condiviso la sorte del loro padre, maestro e amico”.
Questo sacrificio però non è avvenuto invano, ha rimarcato il cardinale: “I martiri rendono bella e vivibile la casa dell’uomo”, perché “invitano a non ripetere gli errori oscuri del passato, ma a costruire un presente luminoso e fraterno”. Essi “all’arroganza rispondo con l’umiltà, all’egoismo con la generosità, alla vendetta con il perdono, alla morte con la vita”.
“I martiri – ha aggiunto – sono portatori della misericordia divina, che placa la violenza con la serenità che genera concordia. Ancora oggi, i martiri sono gli agnelli che vincono i lupi” e l’umanità – ha sottolineato Amato – “ha bisogno più che mai oggi di vedere questo straordinario spettacolo di fraternità, gioia, rispetto, accettazione”.
In tale ottica, il messaggio che il martirio di Valentín, Donato, Germán, Zacarías e Emilio lancia oggi è di “sperare nel bene contro ogni speranza e continuare a diffondere sulla terra la buona notizia dell’amore fraterno e della misericordia”.