Anche “no global” e femministe contro le derive eugenetiche della fecondazione artificiale

Intervista ad Andrea Galli

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ROMA, mercoledì, 25 maggio 2005 (ZENIT.org).- Pur avendo alle spalle una formazione culturale non cattolica, molti dirigenti del movimento “no global”, femministe e ambientalisti condividono la preoccupazione della Chiesa circa i rischi di pratiche eugenetiche collegate a tecniche di fecondazione assistita non regolamentate.

ZENIT ha intervistato Andrea Galli, membro dell’ufficio culturale della Conferenza Episcopale Italiana e collaboratore di “Avvenire”, che ha condotto un’interessante inchiesta sulla questione.

Quali sono le associazioni femministe e i gruppi no Global che muovono critiche alle tecniche di fecondazione in vitro?

Galli: Sono diversi e di rilievo. Proprio per questo femministe e no-global nostrani non li citano nel dibattito sul referendum: farebbero emergere quanto l’opposizione all’uso delle biotecnologie nell’ambito della riproduzione umana è diffusa nei loro ambienti di riferimento. Vandana Shiva, ad esempio, la ricercatrice indiana paladina mondiale nella lotta contro gli Ogm, una delle figure più riverite dal popolo di Porto Alegre, esprime una critica intransigente ad ogni pratica di fecondazione artificiale e di selezione genetica preimpianto. La canadese Naomi Klein, celeberrima autrice di “No Logo”, fustigatrice delle malversazioni delle multinazionali, ha firmato nel 2001 una petizione del Boston Women Health’s Collective, il collettivo femminista che si oppone alla fecondazione artificiale, per il divieto di ogni tipo di clonazione umana, anche quella chiamata, con orrido eufemismo, terapeutica. Dal mondo “liberal” vengono poi due delle associazioni più impegnate su questi temi, la californiana Genetics & Society e l’inglese GeneWatch, protagoniste rispettivamente al Social forum mondiale di Porto Alegre, lo scorso gennaio, e a Social forum europeo che si è tenuto a Londra lo scorso ottobre. Nel 2003, a Berlino, sempre la Genetics & Society e altre realtà legate a Porto Alegre, come la tedesca Heinrich Böll Foundation, hanno organizzato un importante convegno sui pericoli delle biotecnologie e delle pratiche di fecondazione artificiale, al quale hanno partecipato 70 organizzazioni provenienti da 30 Paesi.

Perché e per quali ragioni si oppongono?

Galli: Sicuramente non per un’adesione al Magistero della Chiesa, ma per una presa d’atto di rischi e problemi oggettivi. Emblematico è il caso del Women’s Global Network for Reproductive Rights, una rete di circa 2000 tra associazioni, gruppi e collettivi femministi sparsi nel mondo, presenza fissa nei maggiori social forum. E’ una realtà che si è battuta nei cinque continenti per il diritto all’aborto, attaccando duramente le posizioni della Chiesa cattolica su questo tema. Negli ultimi anni, però, ha criticato non solo gli eccessi delle campagne per il controllo della popolazione nei Paesi del terzo mondo, ma anche e soprattutto le nuove pratiche di fecondazione artificiale. Così come l’International Women’s Health Coalition, altro punto di riferimento a livello internazionale per le battaglie sulla “salute della donna”, che ha firmato nel 2002 un documento in cui si chiedeva alla American Society for Reproductive Medicine di impedire pratiche di selezione genetica degli embrioni per determinare il sesso del figlio.

Il motivo di queste inaspettate prese di posizione taciute in Italia da femministe e no-global lo ha spiegato una studiosa del pensiero femminista come Eugenia Roccella, secondo cui molti gruppi che hanno lottato in passato per l’autodeterminazione della donna si sono accorti che oggi non è più in questione la libertà di “quando e se” essere madri, ma la libertà “di chi” essere madri. Una libertà che minaccia di trasformarsi in violenza nei confronti della vita e dell’identità del nascituro.

Pur appartenendo ad ambienti culturali e religiosi diversi, sono sempre di più coloro che avvertono nelle proposte referendarie relative alla legge 40/2004 il rischio di una legittimizzazione di pratiche eugenetiche, con l’eliminazione dei deboli e degli imperfetti. Diverse associazioni per disabili ha avvertito la stessa minaccia. Che cosa emerge dalla sua inchiesta circa i rischi di pratiche eugenetiche?

Galli: I rischi sono reali e difficilmente negabili. Al World social forum di Bombay, nel 2004, una delle più note attiviste per i diritti dei disabili in India, Anita Ghai, ha parlato in modo accorato dei pericoli di una nuova eugenetica derivante dalla manipolazione “in vitro” della vita, temi affrontati in un altro grande convegno tenutosi sempre a Bombay nel 2004, in preparazione al World social forum. Purtroppo, anche di questi dibattiti su selezione genetica e diritti dei disabili la sinistra italiana che vuole abrogare la legge 40 non parla. Dando segni di una sorta di schizofrenia: da una parte ci si arroga il privilegio di essere l’ambito politico-culturale più sensibile ai diritti dei disabili e alle politiche sociali in loro favore, dall’altra si spinge il piede sull’acceleratore di pratiche eugenetiche, che fanno del disabile una persona con meno diritti di venire al mondo rispetto agli altri. Una persona di serie B o C.

I sostenitori dei referendum sulla legge 40/2004 continuano a definire illegittima e antidemocratica la scelta del non voto. Cosa puoi dirci al riguardo?

Galli: Questa è sicuramente una delle più stucchevoli polemiche alimentate dal fronte referendario. Che nonostante l’evidenza del diritto costituzionale e della storia politica italiana – penso agli appelli per l’astensione pronunciati negli anni dai vari partititi politici – cerca lo stesso di intorbidare le acque. Su questo argomento sono già state date molte e autorevoli risposte. Io, a chi desidera una risposta icastica sulla legittimità di non recarsi al voto il 12 e 13 giugno, mi limito a indicare il bel manifesto per l’astensione diffuso dai Ds in occasione del referendum sull’articolo 18 del 2003 (http://www.dsonline.it/partito/images/manifesti/paginaNON.pdf).

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ZENIT Staff

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