Grande partecipazione all’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum per l’incontro con il noto regista di origine bolognese Pupi Avati. Il maestro è stato ospite d’onore in una conferenza dedicata al tema della famiglia, in quanto testimonial del progetto Amare le differenze, per un amore che fa la differenza, promosso dall’associazione “Nessuno tocchi la famiglia”.
In particolare, il maestro Avati si è soffermato sul delicato argomento del matrimonio, tema principale del suo omonimo film in sei puntate, andato in onda tre anni fa. Una grande opera che ha riproposto in tema autobiografico, sia l’amore profondo che ha unito i genitori del regista, sia i 50 anni di legame tra Pupi Avati e sua moglie Nicola, così battezzata in onore dell’amato nonno.
“Quando proposi ad Agostino Saccà, direttore di Rai Fiction, di girare una serie su un matrimonio durato mezzo secolo – ha esordito il maestro – pensava che si trattasse di un’opera in costume. Questo fa riflettere. Oggi i matrimoni durano otto, nove anni. Si rompono per delle sciocchezze. In questo scenario desolante, questo film mi è sembrato una provocazione”.
Nei racconti del regista è emerso soprattutto il forte legame che lo lega alla moglie. Un legame fatto di salite, discese, di momenti felici e di momenti difficili. Momenti che hanno anche affrontato una separazione, di otto mesi, ad appena sette anni dal matrimonio.
“Da venditore di pesce surgelato – ha confessato Avati – mi sono ritrovato a fare il regista. C’è stato un cambio di identità che ha compromesso il nostro rapporto. Ho capito che piacevo alle ragazze, non per quello che ero, ma per il lavoro che facevo, e me ne sono approfittato lo stesso”.
Segue una convivenza con un’altra donna. Un distacco da due amati figli che lo vedevano solo una volta a settimana e che provavano timore nei suoi confronti. “Non aprivano neanche i giocattoli che portavo. Mi sono reso conto che li stavo condannando a una situazione penalizzante – ha dichiarato il regista – Quindi, ho chiesto a mia moglie di riaccogliermi in casa e lei ha accettato, anche se ormai si era già vendicata. Il nostro rapporto, stranamente, ne è uscito arricchito, presto ho capito che non ero tornato per i bambini, ero tornato per lei”.
“Anche un’esperienza di tradimento insegna – ha proseguito – Diffidate da chi dice che non tradirà mai. Giuda tradì Gesù perché voleva essere amato più degli altri Apostoli. L’amore deve includere il tradimento, altrimenti si rischia di stare con l’altra persona in modo precario”.
Dopo 50 anni, Pupi e Nicola hanno festeggiato le nozze d’oro sposandosi una seconda volta. Questa volta più consapevoli, più adulti, consci di aver costruito nelle grandi difficoltà della vita quotidiana una splendida famiglia, con tre figli a cui hanno insegnato valori fondamentali, in grado di guidarli nel loro percorso da adulti.
“Fare il regista è un problema – ha detto Avati – il marito ancora peggio. Ma il matrimonio diventa straordinario nella sua parte conclusiva, quando senti che stanno per sopraggiungere i titoli di coda. Sono loro a creare la nostalgia più grande. Quando ho risposato mia moglie, la parte più bella è stata pronunciare ‘finché morte non vi separi’”.
Oggi, nel loro rapporto imperfetto, fatto ancora di frequenti liti, c’è un amore profondo che li porta a stare insieme e a sostenersi a vicenda. Un amore nato nella Bologna degli anni ‘60, tra un ragazzo timido e una delle ragazze più ambite della città. Un amore che ha superato il tradimento, la separazione, la povertà, dovuta a quattro anni di disoccupazione di Avati dopo l’insuccesso di due film, la difficoltà nell’accettare un terzo figlio, Alvise; non previsto, non voluto, e oggi diventato un regista di fama internazionale. Un amore che dura da mezzo secolo e che dovrebbe insegnare molto ai giovani di oggi, che nell’altro cercano solo la perfezione, quanto i rapporti più belli, e Pupi Avati lo ha raccontato, sono proprio quelli imperfetti.
Foto APRA
Pupi Avati: “I miei 50 anni di matrimonio, un legame imperfetto e meraviglioso”
Il celebre regista ha portato la testimonianza della sua vita familiare all’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum