«La droga è sempre un surrogato. E precisamente un surrogato della cultura. Serve a sostituire la grazia con la disperazione, lo stile con la maniera».
Cosa siano gli stupefacenti ce lo ricordano le parole di Pier Paolo Pasolini, nel giorno in cui nel mondo si celebra la giornata contro il consumo ed il traffico illecito di droga, indetta dalle Nazioni Unite nel 1987.
L’ufficio Onu contro la droga ed il crimine stima in 230 milioni le persone che, sul pianeta, assumono droga. Insomma, il 5% della popolazione mondiale tra i 15 ed i 64 anni fa uso di una qualche sostanza illecita. Ed ogni mese 18.000 vite vengono spezzate dall’abuso di stupefacenti. Cifre da una strage dietro la quale si cela un commercio illegale che fa registrare un fatturato da miliardi di euro: il mercato transnazionale dello spaccio genera enormi guadagni, arricchisce le reti di criminalità organizzata ed è spesso un vero e proprio bancomat usato per finanziare conflitti e guerriglie.
Lo scenario che ne vien fuori, più o meno visibile, quasi sempre volutamente e scientemente occultato, è quello di generazioni imprigionate dallo sballo, anche nella nostra Calabria, prigioniera di cosche ormai padrone dell’import-export di droga. Chi sta al timone della società fa sapere che le cose stanno cambiando in meglio, e giù con numeri, percentuali, statistiche. Poi, però, basta affacciarsi alle finestre del presente per scorgere agenzie educative ridotte a oasi in mezzo al deserto delle negazioni, delle omertà, delle impossibilità. Perché quantitativamente forse la droga che gira sarà sempre la stessa, se non di più, ma si nota comunque meno d’una volta perché è cresciuta la tolleranza al dolore di chi cade e di chi muore.
Si tratta di una realtà che impone un cambiamento. I tossicodipendenti, in particolare, non possono essere considerati solo emarginati-marginalizzati-solitudinalizzati, bensì persone da trattare certo con un approccio farmacologico, ma pure con un’accoglienza ed un sostegno psicologico che facciano crescere la capacità a sopportare la fatica, quella che fa guardare alla vita buona con ritrovata fiducia nelle responsabilità. E se lo Stato è tenuto a fare la sua parte, sul piano della repressione (con maggior determinazione) e su quello della prevenzione (con nuove risorse ed intelligenza), non può mancare l’assunzione di un impegno esteso che veda insegnanti e genitori, istituzioni pubbliche e religiose preparati e pronti a tutelare i ragazzi. Non basta, per quanto importante, l’informazione sui danni delle droghe: necessitano percorsi educativi, stimoli ed esperienze positive che orientino alla maturità. La lotta alle dipendenze va estesa soprattutto alle famiglie, affinché non scelgano, di fronte a un figlio a rischio, di restare in una condizione d’isolamento. Così pure la scuola è tenuta a proporre costantemente strategie e contenuti per la formazione della persona, valorizzando le discipline che contengano in sé straordinarie risorse formative e quegli elementi umani e socio-morali su cui fondare i progetti di educazione alla salute. Ma tutto sarà inutile se non vi saranno giovani liberi dagli schemi mentali e culturali del consumismo, capaci di raccogliere l’invito lanciato da Papa Francesco nell’agosto del 2013 nel mezzo di una riflessione sulle dipendenze: «Nella vita ci saranno sempre persone che vi faranno proposte per frenare, per bloccare la vostra strada. Per favore, andate controcorrente. Siate coraggiosi, coraggiose: andare controcorrente».
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Il bisogno di andare controcorrente
Qualunque lotta alla droga sarà inutile, se non vi saranno giovani liberi dagli schemi mentali e culturali del consumismo