Chiesa e politica alla luce dell’enciclica di Benedetto XVI “Deus caritas est”

Commento di Ramiro Pellitero, professore di Teologia Pastorale

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PAMPLONA, martedì, 28 gennaio 2006 (ZENIT.org).- Pubblichiamo la traduzione di un’analisi del ruolo della Chiesa nella politica, alla luce della prima Enciclica di Benedetto XVI “Deus caritas est” sull’amore cristiano, svolta da don Ramiro Pellitero, docente di Teologia Pastorale presso l’Università di Navarra (Spagna).

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AMORE, CHIESA E POLITICA

La recente Enciclica di Benedetto XVI afferma che, secondo la dottrina sociale della Chiesa, il compito politico non è “un incarico immediato della Chiesa”. Allo stesso tempo segnala che il dovere immediato di lavorare per la giustizia “è invece proprio dei fedeli laici”. Ovvero, dei cristiani che si muovono in seno alla società civile: i professionisti, i padri e le madri di famiglia, ecc.; non gli ecclesiastici, ma la gente della strada.

Sorge una domanda inevitabile: chi è dunque “la Chiesa” se questa si distingue dai fedeli laici? La Chiesa non è, secondo il Concilio Vaticano II, il Popolo di Dio, costituito in gran parte proprio dai fedeli laici?

Evidentemente, il documento, nell’affermare che non spetta alla Chiesa in modo immediato il compito politico, si riferisce alla Chiesa come istituzione distinta dallo Stato. D’altra parte, quando sostiene che sono i fedeli laici a cui (più) propriamente corrisponde il compito politico, pensa alla Chiesa come Popolo di Dio e “comunità d’amore” nel mondo, composta da tutti i battezzati. In essa ciascuno dei fedeli ha una propria vocazione e missione, complementare a quella degli altri.

Qual è dunque la funzione che sia la Gerarchia, sia i fedeli, hanno rispetto a questo compito politico. La Chiesa (istituzione), rappresentata dalla Gerarchia (il Papa e i Vescovi), non ha come missione “la battaglia politica per realizzare la società più giusta possibile. Non può e non deve mettersi al posto dello Stato. […] La società giusta non può essere opera della Chiesa, ma deve essere realizzata dalla politica”. La missione della Chiesa è di orientare le attività umane verso la verità e l’amore. Proprio per questo però “non può e non deve neanche restare ai margini nella lotta per la giustizia”.

Come si esplica questo intervento ecclesiale nella lotta per la giustizia? Anzitutto con la “argomentazione razionale”. La Chiesa istituzionale ha il dovere di far sentire gli argomenti della verità e dell’amore in ogni caso concreto in cui la giustizia si veda minacciata dall’errore e dalla menzogna, o in cui si diffonda la violenza e l’odio. La sua voce è rivolta ai cristiani, ma è diretta ad esporre le sue argomentazioni razionali anche ad ogni essere umano di buona volontà.

La Chiesa contribuisce anche alla costruzione della giustizia risvegliando le forze spirituali che sono in grado di operare rettamente, cosa che sempre richiede anche rinunce. E questo lo fa nella quotidianità del suo lavoro di formazione dei cristiani e trasmettendo alla società gli ideali di una vita coerente con il Vangelo.

Sono i fedeli laici che hanno il dovere immediato di operare in favore di un ordine giusto nella società e, come dice il Concilio Vaticano II, lo fanno “quasi dall’interno” della stessa società civile, della cultura e della politica. L’Enciclica segnala con forza: “Come cittadini dello Stato, essi sono chiamati a partecipare in prima persona alla vita pubblica”.

Di conseguenza essi non possono esimersi dall’intraprendere le diverse attività dirette alla promozione del bene comune, ma devono modellare rettamente la vita sociale, rispettando la sua legittima autonomia e collaborando con gli altri cittadini. Non possono lasciare che la fede sia ridotta all’ambito privato, né che le sue manifestazioni siano confinate all’interno dei templi di pietra, ma devono operare per plasmare la società civile allo spirito del Vangelo. La loro attività politica deve essere impregnata di amore e di servizio.

Questa attività politica dei fedeli laici, svolta individualmente o in modo associato con gli altri cittadini, deve distinguersi dalle attività caritative ufficiali o istituzionali della Chiesa, su cui si sofferma in particolare l’Enciclica, interessata a che queste non perdano la loro caratteristica specifica cristiana.

In definitiva, i fedeli laici sono al contempo cristiani e cittadini. Sono Chiesa che incide nel mondo e sono cittadini del mondo che edificano la Chiesa. Ad essi compete direttamente la vita pubblica e l’azione politica. Non possono esimersi dall’intervenire in essa, ciascuno secondo i propri doni e le proprie capacità.

I Vescovi (e di conseguenza i sacerdoti) si devono occupare della giustizia secondo le proprie competenze e responsabilità, dal punto di vista della solidarietà e dell’amore, come cittadini, cristiani e pastori della Chiesa. In quanto ministri sacri si dedicano al servizio dei fedeli nell’insegnamento autentico della fede, nell’amministrazione dei sacramenti e nella guida della comunità cristiana. E pertanto hanno il diritto e il dovere di parlare quando sono in gioco i diritti fondamentali della persona.

Quando l’Enciclica dichiara che la Chiesa deve preoccuparsi della formazione etica, sta dicendo che i pastori non devono dedicarsi alla politica dei partiti, ma sì ad incoraggiare i fedeli laici ad intervenire nelle questioni etiche e politiche, ad ogni livello.

In sintesi, è la Chiesa nel suo complesso che si adopera sia per la giustizia, sia per l’amore. Ciò che cambia è il “modo” complementare in cui i fedeli cristiani partecipano a questa azione, ciascuno secondo la propria posizione nella Chiesa e nel mondo.

Ramiro Pellitero
Professore di Teologia pastorale
Università di Navarra

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ZENIT Staff

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