Lebbra

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Lebbra: persone affette nel 24,6% delle diocesi del mondo

La Fondazione Il Buon Samaritano illustra i primi risultati dell’indagine su attività e progetti della Chiesa Cattolica riguardo alla cura del Morbo di Hansen

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“Casi del Morbo di Hansen si riscontrano”, in quasi un quarto, ovvero “nel 24,6% delle diocesi nel mondo”. Questo è quanto evidenziato dalla Fondazione Il Buon Samaritano nell’illustrare i primi risultati dell’indagine svolta sulle Attività e i Progetti della Chiesa Cattolica riguardo alla cura delle persone affette da questa malattia. Tale presentazione è stata effettuata questa mattina, nell’ambito del Convegno Internazionale sulla Lebbra dal titolo “Per una cura olistica delle persone affette dal Morbo di Hansen rispettosa della loro dignità”, in corso presso l’Auditorium dell’Istituto Patristico Augustinianum di Roma.
Il simposio di due giorni, con 45 nazioni rappresentate e 42 relatori e che volge oggi al termine, è stato organizzato dal Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, con la Fondazione Il Buon Samaritano e la Fondazione Nippon, in collaborazione con la Fondazione Raoul Follereau, il Sovrano Ordine di Malta e la Fondazione Sasakawa Memorial Health.
“Al sondaggio della Fondazione Il Buon Samaritano hanno risposto 760 diocesi, le quali registrano nei loro territori ancora molti pregiudizi circa la possibilità di contagio, nonché abbandono da parte delle famiglie e privazione dei servizi sanitari di base”. Quindi tornando alle attività e ai progetti della Chiesa Cattolica: “Sono presenti in quasi la totalità delle diocesi e riguardano vari ambiti, dall’assistenza spirituale e psicologica alla fornitura di beni di prima necessità come cibo e vestiti, fino alla totale presa in carico dei pazienti”.
In questo secondo giorno, i lavori sono iniziati con la sessione che ha esaminato il ruolo della Chiesa e delle altre comunità di fede nella lotta contro il Morbo di Hansen, includendo una tavola rotonda di dialogo interreligioso tra Chiesa Cattolica, Ebraismo, Islamismo, Induismo e Buddismo.
“Non basta il dispiacere, il modo migliore per voltare pagina è compiere una riparazione perché non è accettabile che in qualche luogo del mondo ci siano situazioni contro l’umanità, siamo tutti fratelli e sorelle” e bisogna dunque impegnarsi ad agire concretamente. Così si è espresso  Monsignor Jean-Marie Mupendawatu, Segretario del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, nell’introdurre la tavola rotonda.
Dopo la presentazione dei dati dell’indagine è stato letto un messaggio del Prof. Riccardo Di Segni, Rabbino capo della Comunità Ebraica di Roma. “Avvicinarsi al sofferente è un incontro tutt’altro che banale e il tema della malattia ci troverà sempre” uniti, ha scritto Di Segni. “La ricerca scientifica e la medicina ci sollecitano ad usare al meglio le nostre risorse intellettive”, ha concluso.
“Una malattia non è una scusa per infrangere i vincoli familiari, questo il Corano lo dice molto chiaramente”. Così Abdel Latif Chalikandi, Consigliere del Tawasul Europe Centre for Dialogue e Rappresentante Maqasid Institute. “Nessuna pratica religiosa può portare a disonorare la dignità umana”, ha aggiunto. Quindi ha concluso: “Il potere di Dio e la conoscenza dell’uomo si incontrano per il benessere degli esseri umani”.
Il Dott. P.K. Gopal, Presidente Integration Dignity e Economic Advancement of people affected by leprosy – IDEA ha affermato: “I missionari cristiani sono stati i pionieri nel fornire servizi ai malati del Morbo di Hansen in India, ma non c’è religione che non l’abbia visto anche come punizione divina”, ha spiegato. Infine un appello: “Non bisogna più utilizzare la parola lebbroso perché anche l’uso dei termini può contribuire al rispetto della dignità”.
“Con l’impegno dei Governi e della società civile si possono ottenere risultati davvero importanti”. Così il Dott. Phramaha Boonchuay Doojai, Monaco Buddista, Presidente di Asian Interfaith Network on AIDS – AINA, riferendosi alle attività volte a combattere il Morbo di Hansen in Tailandia. “Un piano di servizi integrati è stato avviato da Bangkok nel 1973”. Anche la comunicazione è importante, a partire dalla terminologia che non deve essere mai degradante nei confronti delle persone affette dal Morbo di Hansen: “cambiare le parole vuol dire cambiare anche gli atteggiamenti”, ha sostenuto. “Per ridurre lo stigma è importante favorire l’autostima – ha concluso – e questo sta avvenendo anche grazie al sostegno dell’Asian Interfaith Network”.
Il primo giorno del Convegno, giovedì 9 giugno, si era concluso con l’intervento del Prof. Yozo Yokota, Presidente del Centro per la Formazione e l’Educazione sui Diritti Umani. Abbiamo ricevuto segnalazioni relative persino ad “episodi di bullismo legati al Morbo di Hansen”, ha affermato Yokota, ribadendo come “l’accesso all’educazione sia un diritto spesso negato per le persone affette dal Morbo di Hansen”. “Gli Stati devono agire immediatamente – ha concluso – perché spesso queste persone perdono il lavoro per la paura del contagio anche se questa è infondata dal punto di vista scientifico”.

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ZENIT Staff

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