Con la crisi i nodi di sempre vengono al pettine. Nel nostro del paese, dove la politica ha costantemente cavalcato le mode e gli istinti del momento senza imporsi per la costruzione di infrastrutture capaci di supportare adeguati livelli si sviluppo, la politica energetica costituisce uno dei nodi più delicati del sistema.
Il fallimento del referendum, sembra aver evitato, a parere di chi scrive, un’ulteriore potente ferita nel corpo già malato del Paese.
Già l’uscita dal nuclerare fu molto onerosa. I costi certi di quella scelta, furono di oltre 6 miliardi di euro di risarcimento all’ENEL, di circa 1,5 miliardi di risarcimenti alle ditte appaltatrici e, di 160 milioni di Euro, come somme prelevate dalle bollette ogni anno e, da prelevare ancora, sino al 2020.
Questo senza tenere conto del fatto che da allora la bolletta elettrica è stata costantemente in crescita per la lievitazione del costo del petrolio e che, a poca distanza dall’Italia, si continua a comprare energia proveniente da centrali nucleari.
I conti, tuttavia, per essere corretti, dovrebbero anche tener conto del costo, in termini di dipendenza energetica, che l’infausta scelta ha determinato ed, inoltre, che un settore fiorente dell’industria nazionale, quella del nucleare appunto, è stato completamente distrutto ed il know how svanito. Danno non da poco, atteso l’importanza che esso riveste a livello globale.
Per la verità, va detto che un risparmio comunque c’è stato. Certamente, in termini minori oneri d’investimento per il completamento della centrale di Montalto di Castro, che nel frattempo è stata riconvertita, per i minori oneri di manutenzione dell’impianto, ma anche (e soprattutto) per lo smaltimento dei materiali residui della centrale, a fine ciclo produttivo.
Ma ritorniamo alla fame d’energia che si è determinata.
Partiamo da un assunto, sul quale sono certo in molti avranno da ridire, ma su cui nonostante tutto mi permetterò di insistere. I c.d. settori maturi costituiscono l’ossatura che ha permesso al nostro Paese di rimanere a galla, nonostante le note difficoltà della finanza pubblica. I c.d. settori maturi sono certamente quello dell’acciaio e, più in generale della siderurgia, della ceramica e della carta. E’ indubitabile che essi abbiano dato, in questa fase di crisi, un alto contributo in termini di Pil e sono voci importantissime, in termini di fatturato, della nostra bilancia commerciale.
Ma ecco l’altra faccia della medaglia. Le attività citate sono caratterizzati da un basso tasso di crescita della domanda, una scarsa differenziazione del prodotto, e sono molto aperti alla concorrenza internazionale. La natura del loro vantaggio competitivo è legata, quindi, moltissimo ai fattori di costo. I settori maturi in altre parole (e, scusandomi per le forzature che farò per amore della sintesi), sono caratterizzati da concorrenza, specialmente quella di prezzo, molto intensa. Stabili posizioni di vantaggio competitivo sono spesso associate ai vantaggi di costo generati da economie di scala o di esperienza, mentre un vantaggio legato alla differenziazione è generalmente frutto della fedeltà al marchio.
Ciò premesso, voce di costo primario è quello dell’energia. Il problema di fondo, infatti, è che i settori maturi sono molto energivori, e qui veniamo al punto. Nel nostro paese, negli ultimi anni, il costo dell’energia è andato per tali soggetti fortemente aumentando. Infatti, mentre il costo complessivo ha registrato un beneficio dalla scelta del solare, il costo medio per giga watt ora per tali soggetti sembra essere aumentato in modo esponenziale. Quali sono le ragioni di questo apparente paradosso ?
Bene, come ho accennato, la responsabilità deve imputarsi alla politica energetica che ha spinto molto sulle energie alternative ed, in particolare, la scelta per il solare. Vediamo più in dettaglio. Fatto pari a cento la produzione di energia nazionale, solo fino a tre anni fa poco più del 10% della produzione nazionale veniva dal solare. Ora la produzione di energia proveniente da fonti alternative è salita ad oltre 33,3%. Quello che è un indubbio vantaggio per il nostro Paese, ha però per i settori maturi una conseguenza a dir poco devastane.
L’effetto, infatti, sembra essere stato quella di un incremento molto forte del costo dell’energia durante le ore notturne, orario nel quale le industrie metallurgiche assorbono gran parte del fabbisogno di energia nazionale. Il risultato complessivo – come confermano i dati che la Confindustria palesa in ogni possibile incontro sul tema dell’energia – è un aumento medio del costo dell’energia per tali imprese nell’ultimo biennio che sfiora il 15%.
Una esagerazione confindustriale? Lasciamo ai tecnici del settore stabilire l’esattezza di tali calcoli, e quindi un’analisi più accurata. A noi basti rilevare che, oltre confine, e non nel lontano Belgio, ma in Serbia, Slovenia, Romania il costo dell’energia è molto inferiore e tale fatto determina un elemento di competizione non trascurabile.
Appare lecito a questo punto domandarsi a quale politica industriale, in particolare nel settore energetico, si stiano ispirando le classi dirigenti di questo Paese.
Le scelte del Governo sembrano infatti non sufficienti ad invertire la rotta.
Non è per le lamentele dei petrolieri che paventavano, in caso di vincita del comitato del Si, la perdita di 7,5 miliardi di investimenti, di 5.000 posti di lavoro diretti (senza tenere conto di un indotto molto più vasto), dell’11,5% del fabbisogno energetico nazionale, oltre che osservare che le nostre piattaforme sono per l’85% destinate all’estrazione di gas naturale e solo per il 15% al petrolio, che negli ultimi 40 anni le nostre piattaforme sono state ad incidenti zero, e che, infine, appena fuori dalle 12 miglia marine le acque territoriali degli Stati vicini sono pieni di piattaforme estrattive (vedi il caso della Croazia; idem per la Francia a ovest).
Il problema che si pone è, a nostro avviso, delle distorsioni che in termini di sviluppo del Paese.
Urge la necessità di rispondere con un piano energetico che tenga conto delle necessità, dei costi, dell’impatto ambientale e dei benefici per il bene comune.
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